LogoLogo

1999 - IL TESTAMENTO DEL VESCOVO

Da Tragnone a Fidel Castro

"Da Tragnone a Fidel Castro"
1992-2003: gli Eventi che Sconvolsero L'Aquila

Un Libro di Angelo De Nicola


Indice Capitoli

Prefazione | 1992 | 1993 | 1994 | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003



Segui Angelo De Nicola su Facebook
1999
L'arcivescovo Mario Peressin durante la Perdonanza del 1992; alle sue spalle, si intravede il sindaco Marisa Baldoni. Ancora più dietro il futuro successore, un giovane mons. Giuseppe Molinari.



Da Tragnone a Fidel Castro
11 ottobre 1999, Sant'Alessandro

Ad un certo punto mi prese sottobraccio, con un plateale moto d'affetto, come se fossimo dei vecchi conoscenti, sicuramente assai intimi visto che lui era nella più ufficiale delle vesti, con i paramenti sacri ed il cappello rosso da sembrare un cardinale, per quella attesissima cerimonia nel cimitero monumentale dell'Aquila. Dove, in quella gelida mattina del 28 dicembre 1991, s'era radunata tanta di quella gente quasi fosse la "via crucis" pasquale del Papa. Così, con me sottobraccio, l'arcivescovo Mario Peressin fece tutto il viale d'ingresso del cimitero chiacchierando amabilmente con il regista Franco Zeffirelli, venuto da chissà dove per l'inaugurazione del monumento antiabortista "Ai bimbi mai nati" del "Movimento per la vita". Monumento voluto e sponsorizzato dal capo della Curia aquilana, da sempre strenuo combattente contro la legge sull'interruzione di gravidanza, e realizzato su iniziativa di padre Andrea D'Ascanio dell'Armata Bianca, movimento mariano antiabortista.

Un frate che farà molto parlare di sé, negli anni successivi soprattutto per la clamorosa inchiesta per presunti abusi sessuali, anche su minori, all'interno di quella che, secondo gli inquirenti, aveva tutte le caratteristiche di una setta: i responsabili dell'Armata Bianca vennero, infatti, rinviati a giudizio con l'accusa di aver organizzato l'associazione, apparentemente dedita ad attività religiosa, allo scopo di commettere violenza sessuale, violenza privata e truffa. Il caso, poi, si sgonfierà nel processo di primo grado. Dopo la richiesta di una condanna a 7 anni di reclusione per Padre Andrea avanzata dal Pm, il Procuratore della Repubblica Nicola Trifuoggi, il 25 ottobre 2003 arriva una mite sentenza del Tribunale dell'Aquila: condanna per il frate ad un anno e sei mesi di reclusione ed al risarcimento di quattromila euro per il solo reato di violenza privata (pena sospesa), assoluzione per gli altri nove aderenti al movimento imputati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, con il trasferimento all'estero di ingenti capitali, e violenze sugli adepti. Respinta, dunque, dal Tribunale l'accusa di aver abusato sessualmente di un bambino di quattro anni, dopo averlo obbligato a prendere la comunione.

"Che monsignor Peressin ti ha convertito?" mi disse un collega (usando, per la verità, l'espressione "zi' prete") dopo che, approfittando di un suo momento di distrazione, riuscii a staccarmi dalla cortese ma ferma presa di Peressin, confondendomi tra la folla assiepata davanti al monumento da inaugurare terminato il corteo spontaneo lungo i viali tra due ali di cipressi. In effetti, non sono mai riuscito a spiegarmi quel suo gesto. Sono certo che mi avesse scambiato per qualcun'altro. Uno strano gioco del destino, per lui e per me, dal momento che io ero, da un po' di tempo, il nemico pubblico numero uno dell'alto prelato di origini friulane venuto all'Aquila, come coadiutore prima e successore quindi del poi cardinale Carlo Martini, dall'aprile del 1983 (anche se Peressin si insediò solo il 28 agosto successivo, giorno della Perdonanza). D'altra parte, un po' per una serie di coincidenze, un po' perché evidentemente ci misi (me ne rendo conto solo ora, col senno di poi) una certa determinazione, toccò spesso a me portare alla luce le non poche "stranezze" sul conto di un personaggio, monsignor Peressin, che ha fatto assai discutere e la cui ombra sembra ancora gravare, a quattro anni e mezzo dalla sua morte, sulla Chiesa aquilana.

* * * *

Le coincidenze, appunto. Fui io, infatti, nel lontano 1987 ("E il vescovo finì in Procura" (1)) a far emergere, apprendista cronista della giudiziaria, un'inchiesta per un abuso edilizio di cui Peressin era accusato. Un abuso non da poco visto che l'arcivescovo malato di decisionismo aveva, di fatto, "guadagnato" un intero piano coprendo l'estesa terrazza nella parte posteriore del palazzo della Curia finendo però con l'oscurare la vista ad alcuni vicini con i soliti lavori realizzati nei giorni a cavallo di Ferragosto. La "comunicazione giudiziaria" che l'allora Pretore dell'Aquila, Bruno Costantini, inviò al prelato nell'aprile 1989, fece scoppiare il putiferio segnando di fatto l'inizio della "carriera" sui giornali dell'arcivescovo.

Un lunga e costante carriera, con alcuni picchi. Scrive Mario Narducci, da sempre punto di riferimento del giornalismo cattolico in città, in una "lettera aperta alle testate giornalistiche e televisive":

La verità è che da qualche tempo mons. Peressin è diventato, suo malgrado, il protagonista di una telenovela che non accenna a finire, Il più delle volte, poi, viene gettato in prima pagina nemmeno per "merito" dei giornali , visto che le notizie vengono desunte direttamente dal Bollettino diocesano sì da essere in presenza di falsi scoop, anche se di talpe buone. Perché nessuno ci toglie dalla testa che certi giornali si giovino ormai di quinte colonne in abito talare (quando lo portano) per dare risonanza alle cose già scritte. Peressin fa notizia. Ma è fare notizia quella che deriva dal fare il proprio dovere? Essere contro l'aborto; rilevare, per ragioni pastorali, quanti aborti vengono operati da gente che è credente, visto che si confessa; stabilire il tempo dei matrimoni, rientra nelle competenze dell'arcivescovo. Dove sta la meraviglia? Probabilmente, si dirà, nella vicenda della evasione fiscale o nelle uova marce che un gruppo di sinistra avrebbe voluto tirargli durante il corteo della Perdonanza. Ora l'Arcivescovo smentisce che lui o la sua Diocesi abbiano investimento alcuno all'estero e non abbiamo ragione per non credergli; quanto al tiro mancato di uova marce, c'è da sottolineare che può accadere anche di peggio quando l'opinione pubblica viene continuamente istigata a giudizi negativi contro il proprio Pastore. (2)

Giudizi negativi ma non pregiudizi. Sì perché, sempre col senno di poi, appare difficile negare che Peressin avesse molto a cuore l'aspetto economico delle sue azioni. E questo "attaccamento" al denaro, più del suo agire da pastore (il monumento antiabortista; la crociata per imporre la sepoltura ai resti degli aborti; l'invito esplicito a non votare alle elezioni per chi è per l'aborto e per il divorzio; il divieto ai parroci di celebrare matrimoni alla domenica; le invettive contro i magistrati; le scomuniche ai giornalisti; il divieto all'ingresso nella basilica di Collemaggio al Dalai Lama; il no a mandare i figli in vacanza da soli "per scongiurare peccati", ecc.) che lo ha fatto diventare notizia.

Questo "attaccamento" è stato il comune denominatore di quei picchi della sua "carriera" di cui accennavamo. Picchi che sono sostanzialmente quattro. La clamorosa lettera di contestazione al Vaticano firmata da 27 suoi parroci; gli investimenti all'estero non dichiarato; i cinque milioni di vecchie lire chiesti ed ottenuti per sfilare al corteo della Perdonanza e, clamorosa "bomba" finale, il suo testamento.

* * * *

"L'attaccamento che quotidianamente e pubblicamente l'arcivescovo mostra verso il denaro è irrefrenabile, immorale a patologico". Questo è il passaggio centrale della lettera che 27 parroci (sui circa 60 di allora della Diocesi), inviano al Vaticano chiedendo le dimissioni dell'arcivescovo. Un'ingenua richiesta, mi spiegò subito un esperto giornalista vaticanista, perché la Santa Sede non ha mai fatto dimettere nessuno (l'unico che si dimise, ma per tutt'altre ragioni, fu Celestino V) aspettando semmai ad intervenire quando le acque si fossero completamente calmate. Quella lettera finisce sui giornali. Eccola:

Ci rivolgiamo a codesta Congregazione per esprimere il disagio grave e insanabile di noi sacerdoti e della Diocesi dell'Aquila, nei riguardi dell'arcivescovo Mario Peressin; lo facciamo dopo aver a lungo atteso, sopportato, riflettuto; dopo aver messo nel conto i nostri difetti e le nostre carenze, e non senza aver tentato altri mezzi per superare tale situazione. Non ci spingono interessi particolari, non ci interessa un giudizio sulla persona, ci sollecita al contrario l'attaccamento alla Diocesi, troppo spesso e troppo a lungo umiliata e sfruttata, ci sostiene la santa libertà dei figli di Dio, le norme canoniche, e ci ispira fiducia la capacità che la Chiesa ha di correggere nel suo seno le inevitabili storture e patologie. Il modo con cui l'arcivescovo Peressin amministra la Diocesi si è dimostrato fin dall'inizio spiccatamente autoritario: ha accentrato a sé ogni cosa, pensabile ed impensabile; ha reso inefficace ogni organismo diocesano; ha trattato con arroganza autorità pubbliche, sacerdoti e laici. Notoria è poi l'avversione che nutre per i religiosi, perché più difficile gli è interferire nella organizzazione della loro vita comunitaria e nella gestione dei loro beni. L'azione pastorale e i contatti con i sacerdoti sono diventati di tipo esclusivamente manageriale. L'attaccamento che quotidianamente e pubblicamente mostra verso il denaro è irrefrenabile, immorale e patologico. Alcuni esempi:

Questione economica

1) Pesanti interferenze sono state messe in atto dall'arcivescovo nei riguardi del consiglio di amministrazione dell'Idsc (Istituto per il sostentamento del clero): ritrasferimenti arbitrari, vendite, condizionamenti. C'è stata già in proposito la visita di un ispettore; 2) la nomina ad economo di don R.N., conterraneo dell'arcivescovo, di cui si dichiara e si vanta di essere parente, non rispecchia le norme del can. 494 par. 1. Il N., inoltre, che è parroco in città, è contemporaneamente direttore della Caritas; membro e segretario dell'Idsc; distributore di viveri Aima; membro del Consiglio di amministrazione dell'Oda; membro del Tribunale ecclesiastico; membro del Consiglio presbiteriale; membro del collegio dei Consultori; membro del Centro arcidiocesano per le vocazioni; vicecancelliere arcivescovile. Tale cumulo di cariche, oltre che contro la logica, va anche contro le norme Cei (par. a del num. 2 circolare 219/90). Il N., forte della sua protezione, approfitta per offendere e disprezzare confratelli, religiosi e laici; 3) immenso scalpore e disapprovazione ha suscitato la notizia della recente vendita, all'insaputa della Diocesi, di un palazzo al centro storico di Roma. Tale immobile fu donato da monsignor Federici al seminario Diocesano per aiuto ai seminaristi poveri. Da stima di persone esperte, il suddetto bene ha un valore di circa 12 miliardi. L'operazione, fatta in segreto, non ci permette di sapere né la somma ricavata dall'arcivescovo né il suo utilizzo. Sarebbe in ogni caso molto interessante saperla, anche per fugare voci indiscrete che parlano di vari miliardi di lire di differenza tra il valore dichiarato e quello pagato. Ci sembra strano che le autorità competenti abbiano dato la licenza per tali operazioni (cann. 1291 e 1292) né si ravvisano le condizioni poste dal can 1293; 4) ogni anno a novembre l'arcivescovo si reca in America tre settimane per raccogliere fondi a nome della "poverissima Diocesi dell'Aquila", ma la Diocesi non ha mai avuto conoscenza dell'effettivo utilizzo in suo favore dei fondi raccolti. Alle assenze di novembre si aggiungono, poi, molte altre, che superano di gran lunga quelle consentite dal can. 395; 5) nessun bilancio e di nessun tipo è stato mai fatto (cfr. can. 494 paragrafo 4). Mai, assolutamente mai, i sacerdoti sono stati messi al corrente delle necessità e dei beni della Diocesi; 6) non si ha notizia dell'esistenza del Consiglio Diocesano per gli affari economici; 7) non si conosce né l'entità né l'utilizzo della somma che la Cei ha dato alla Diocesi a titolo di anticipo dell'8 per mille; 8) le "collette imperate" vengono spedite ai competenti organismi nazionali in ritardo e quasi dimezzate; 9) la richiesta da parte dell'arcivescovo, insistente e pubblica, di offerte consistenti, in ogni circostanza, soprattutto nell'amministrazione delle cresime è di dominio pubblico e motivo di grave scandalo; 10) voci insistenti affermano che l'arcivescovo sta costruendo una clinica nel suo paese d'origine.

Organismi pastorali
Il Consiglio Presbiteriale, esistente in teoria è stato stravolto e svuotato: i membri, gran parte di diritto e designati dall'arcivescovo, non sono considerati espressione del presbiterio, ma consiglieri personali, bloccati all'occorrenza dal segreto. Negli ultimi anni non è stato più convocato.
Il Consiglio Pastorale Diocesano ha fatto maturare, prima della venuta di monsignor Peressin, un convegno diocesano le cui conclusioni sono state disattese dall'arcivescovo. Da quel momento il Consiglio Pastorale ha perso la sua funzione, oltre a non essere stato più convocato. Un secondo convegno, organizzato, enfatizzato e gestito dall'arcivescovo, nelle conclusioni rispecchia unicamente il suo pensiero.
Il giornale diocesano, espressione del Consiglio Pastorale, è stato trasformato in bollettino della Curia, contenente per lo più decreti, nomine e pie esortazioni dell'arcivescovo. Il resto è sottoposto a ferrea censura.

Dal 1983 (!) non ci sono state più, nonostante le richieste, assemblee generali del clero.

Non è stata mai fatta la "visita pastorale" (can. 396). L'arcivescovo va nelle parrocchie esclusivamente come "cresimatore".

Il Seminario diocesano è aperto solo per la congregazione (?) canadese dei "Figli di Maria". A causa di ciò i seminaristi diocesani sono trasferiti altrove. Nei periodi di permanenza in Diocesi, i seminaristi che non hanno recapito presso la famiglia, devono trovare alloggio o di fortuna, o presso alcuni parroci.

Una casa del clero, aperta nei locali del Seminario, è stata chiusa per i suddetti motivi. I sacerdoti anziani non hanno più questa possibilità.

Votazioni e consultazioni
Un esempio per tutte: recentemente, durante un ritiro spirituale, in assenza dell'arcivescovo, il clero è stato invitato a scegliere rappresentanti per il Consiglio di amministrazione dell'Idsc. Senza nessuna consultazione preliminare, né del Consiglio presbiteriale, né delle riunioni vicariali o zonali, come prevedono le norme della Cei, l'arcivescovo presenta la lista dei candidati. Alla fine delle operazioni risultano 45 presenti su 90 aventi diritto, 24 schede bianche, 2 nulle perché recanti scritte di protesta, 3 sono gli astenuti. La votazione è dichiarata valida, tutto procede normalmente.

Dimissioni a catena
Don G.M., anziano monsignore e parroco in città, vicario episcopale per la pastorale, vicario della forania urbana, redattore del giornale diocesano, stanco per le prepotenze, le offese e gli insulti dell'arcivescovo, si dimette da tutti gli incarichi e notifica la sua decisione a codesta Congregazione.
Don E.B., economo diocesano e canonico, offeso continuamente, maltrattato e condizionato dall'arcivescovo nelle operazioni economiche, si dimette da ogni incarico e si ritira a vita privata.
Don C.S., nuovo vicario episcopale per la pastorale, si dimette dopo pochissimo tempo dalla sua nomina.
Il dottor G.L., presidente dell'Idsc, spinto dall'arcivescovo a fare operazioni illegali, si dimette; contemporaneamente, per gli stessi motivi si dimette il direttore dell'Idsc, don F.T., e con lui anche due consiglieri: dottor F. e dottor Z.. Il dottor L. avverte le competenti autorità.
Il dottor M.S., direttore del giornale diocesano, si dimette dopo aver constatato l'impossibilità di collaborare con l'arcivescovo.
Per i suindicati motivi si dimettono dai rispettivi incarichi don L.A. (direttore dell'Ufficio missionario); don V.D.C. (segretario del Consiglio Presbiteriale dell'Idsc). Don P.R.. direttore diocesano della Faci, dopo aver fatto presente a codesta Congregazione il disagio suo e del clero dell'Aquila, si dimette dal suo incarico.

A questo punto si impone una riflessione: se interventi vari, scritti e a voce; se il tempo trascorso, la pazienza usata, se l'aver informato le competenti autorità religiose, se tutto questo non è servito a niente, cosa ancora bisognerà fare?

Evitare possibilmente uno scandalo pubblico: questo è il senso di quest'ultima lettera. Nelle mani di Dio, giudice giusto, ma anche Padre buono e misericordioso, mettiamo i nostri peccati innanzitutto, e poi anche quelli dei vescovi; lui solo conosce ognuno nel profondo e può valutare e giudicare tenendo conto di tutto: carattere, costituzione fisica, mentalità, malattia... a lui ogni giudizio.

Nelle mani di codesta Congregazione, invece, deponiamo il problema perché sia risolto: in termini espliciti chiediamo la salvaguardia passata e futura dei diritti e dei beni della Diocesi dell'Aquila e la grazia di un nuovo vescovo che abbia un po' di fede in Dio, un po' di amore per il prossimo, che goda di una buona salute mentale e che sia vicino ai problemi ed alla mentalità della nostra Diocesi. (3)

* * * *

Nell'estate successiva, il 1992, tocca in sorte ancora una volta a me di fare uno scoop "contro" l'arcivescovo. Scopro che Peressin non ha denunciato nella propria dichiarazione dei redditi (quella 1989 riferita al 1988) investimenti effettuati presso la Banca di New York e presso una finanziaria della metropoli americana. Proventi per circa 17 milioni di vecchie lire sui quali l'arcivescovo avrebbe dovuto pagare le tasse ed invece non lo aveva fatto come è venuto fuori da un controllo "incrociato" effettuato dal Ministero delle Finanze dopo che l'amministrazione finanziaria americana aveva inviato la documentazione relativa gli investimenti effettuati da "cittadini non residenti" negli Stati Uniti, tra cui appunto l'arcivescovo dell'Aquila.

In particolare, risulta che nell'anno 1988 Peressin aveva percepito sia "dividendi" (ossia utili su partecipazioni azionarie) per 5.800 dollari, sia "interessi" (ossia utili che provengono da obbligazioni come nel caso di Bot, Cct o Btp) per 9.000 dollari per investimenti effettuati alcuni con l'intermediazione della "Bank of New York" ed altri di una finanziaria ("Fiduciary Trust Co. International") sempre della Grande Mela. Proventi sul quale Peressin aveva pagato le tasse negli Stati Uniti ma non in Italia tanto che, come il Messaggero riuscì a dimostrare, allo specifico "Quadro I" (alla voce "Redditi di capitale") del modello 740 figurava un bello "0". Non avendo dichiarato i proventi da investimenti all'estero, il nome di Peressin saltò subito fuori quando venne comparata la documentazione proveniente da New York e la dichiarazione dei redditi.

Apriti cielo! Sì perché oltre all'imbarazzo di una simile grana con il Fisco, l'arcivescovo "attaccato al denaro" doveva anche spiegare ai fedeli ed ai suoi superiori come mai avesse proventi in Usa e chiarire non solo l'ammontare dell'investimento (che, a giudicare dalla quantità dei proventi stessi, poteva aggirarsi in non meno di 250 milioni di lire) ma anche di quale società avesse acquistato azioni (particolare non trapelato visto che tali informazioni anche in America sono riservate).

Nel Bollettino della Curia, in una "dichiarazione di solidarietà all'arcivescovo", il Collegio dei Consultori del Capitolo metropolitano del Consiglio presbiteriale della Curia aquilana, critica "la campagna appoggiata da compiacente stampa anticlericale, massonica ed estremista, il cui interessamento alle cose e alle persone della Chiesa non è dovuto ovviamente al desiderio di informare su temi di fede o su avvenimenti liturgici, ma esclusivamente al prurito dello scandalo ad ogni costo, sull'arcivescovo della città capoluogo e allo strillonaggio a fini speculativi commerciali" (4). Nella stessa nota, si afferma: "Sulle presunte irregolarità della dichiarazione dei redditi dell'Arcidiocesi e dell'arcivescovo, possiamo affermare con sicurezza che né l'arcivescovo né l'arcidiocesi possiedono azioni, titoli ed obbligazioni che abbiano prodotto redditi da denunciare nel 740. Tale informazione scandalistica è destituita di ogni fondamento, è totalmente falsa e passibile di denuncia" (5).

Denuncia che a me non è mai arrivata. Forse anche perché, ad un cortese emissario mandato dalla Curia (ma, lo ricordo bene, non venne a nome di Peressin), mostrai le inequivocabili fotocopie dei documenti che attestavano quanto avessi scritto sull'investimento all'estero. Fotocopie che un diligente "postino" aveva fatto recapitare, anonimamente, presso la buca delle lettere della redazione del Messaggero in una grossa busta a me indirizzata.

* * * *

Quella fine estate del '92, a pochi giorni dall'esplodere all'Aquila ed in Abruzzo dello "Scandalo Pop" che avrebbe catalizzato l'attenzione di tutto e tutti per un bel po', fu terribile per Peressin. Ai primi di settembre, scoppia l'ennesimo scandalo legato "all'attaccamento al denaro": l'assegno di cinque milioni di lire ottenuto da monsignore per sfilare al corteo storico della Perdonanza. L'uragano, dopo le prime voci, si scatena quando la Guardia di Finanza, su ordine del sostituto procuratore Fabrizio Tragnone, "visita" gli uffici del Comune dell'Aquila. Tra le carte acquisite, c'è anche l'assegno che il sindaco Marisa Baldoni, proprio il giorno del Corteo del Perdono (28 agosto) firma a favore del tesoriere del Comitato che cura la manifestazione il quale lo tramuta in un "circolare" intestato a Peressin. L'arcivescovo stavolta fa dire ai suoi collaboratori che quei cinque milioni gli erano stati concessi ogni anno dal Comune e che servivano come rimborso per le spese sostenute dalla Curia in occasione della manifestazione. Una spiegazione che spiazza il Comune dal momento che il sindaco aveva cercato di chiarire la vicenda dicendo che la somma serviva come "contributo di solidarietà alla Croazia". Anche i responsabili dell'associazione aquilana "pro Croazia" smentirono che somme erano state destinate dal Comune a tale causa. Un altro pasticcio, insomma.

* * * *

La bomba atomica Peressin l'aveva riservata per la sua dipartita che avviene l'11 ottobre 1999, a 76 anni: era infatti nato ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, il 17 maggio 1923. E chissà da quanto tempo prima (l'iniziale stesura risalirebbe al 1993, poi perfezionata con alcuni codicilli scritti a penna biro con mano tremolante nelle due successive versioni: quella del 22 agosto 1999 e, soprattutto, quella del 21 settembre successivo, venti giorni prima di spirare) aveva scritto quel testamento che farà scoppiare l'ennesimo, ultimo, grande putiferio. A chi capita in sorta di scoprire il testamento? Avete capito. Stavolta fu un sesto senso a dirmi che c'era l'ultima, grande, deflagrazione targata Peressin. Per il resto fui aiutato dalla fortuna di non essermi arreso subito e dal fatto che fu lo stesso Peressin, ne sono certo, a volere che diventasse in qualche modo pubblico il suo "lascito" spirituale. Ovvero, il fatto che lui diseredava la Chiesa aquilana dai suoi cospicui lasciti, incurante delle parole che il suo successore Giuseppe Molinari aveva usato per salutare il feretro nella cattedrale di San Massimo: "La morte cancella tutto. Di fronte ad essa siamo tutti uguali: i contrasti, i rancori, passano in secondo piano e diventano inezie" . Proprio contro il suo successore, nelle 25 pagine del testamento scritto di suo pugno, Peressin vergò impietosi giudizi tanto da decidere di "escludere totalmente dalla mia eredità - si legge nell'atto- sia l'attuale arcivescovo sia i responsabili della Curia aquilana, in particolare quei preti indegni e traditori che hanno contestato e fatto ammalare me ed i miei immediati predecessori, ma che Molinari, con manovra perfida e vendicativa, ha nominato suoi collaboratori". (7)

Accuse a Molinari ma anche contro il cardinale Angelo Sodano (il potente segretario di Stato Vaticano) e monsignor Orlando Antonini, il "prete operaio" di Villa Sant'Angelo che proprio da pochi mesi era stato nominato vescovo e nunzio apostolico in Africa. "Essi non meritano nulla della mia eredità- si legge ancora nel testamento-, semmai solo biasimo e vergogna per il loro riprovevole operato". (8)

D'altra parte, già nella precedente stesura, nel nominare esecutori testamentari monsignor Renzo Narduzzi, suor Maria Rita Celi e sua sorella Licia, Peressin aveva "escluso assolutamente in questa materia l'interferenza sia di Molinari che della Curia e del Seminario. Alla Diocesi aquilana io ho dato una vita, ma l'arcidiocesi non mi ha corrisposto nulla, anzi ne ho ricevuto solo volgare ingratitudine. Dio abbia pietà e misericordia di preti e prelati diocesani, che mi hanno fatto molto soffrire ed hanno in diverso modo ostacolato la mia azione pastorale. Chi ha orecchi da intendere, intenda!". (9)

Un crescendo d'ira dettato anche dall'amarezza di Peressin per la famosa riunione in Curia di quel 21 settembre ("il giorno dell'esplosione dell'ira dei preti contestatori,- scrive nell'ultima stesura del testamento- presente l'arcivescovo Molinari che non ha mosso un dito"), riunione nella quale sarebbe stato "processato" l'economo della Curia, don Renzo Narduzzi, il suo ex fidato braccio destro, non a caso nominato principale esecutore testamentario.

Dunque, protagonista da vivo, protagonista anche da morto. Con grande imbarazzo della Curia che scelse il silenzio. Anche perché appariva controversa la questione se l'ex arcivescovo, in carica fino al giugno 1998 quando gli successe monsignor Molinari, potesse o meno escludere da certi lasciti la Curia. Di certo, un testamento miliardario. Ai suoi familiari (una sorella ed un fratello ed alcuni nipoti), alle suore Zelatrici del Sacro cuore ed a monsignor Renzo Narduzzi, Peressin ha lasciato la disponibilità di ben cinque conti correnti (tra cui due presso lo Ior ed uno presso la Banca di New York), ma anche case (tra cui un lussuoso appartamento in Vaticano), terreni e tenute agricole, un negozio, quadri e opere d'arte sacra, mobili, il corredo personale, migliaia di libri, parecchie autovetture e persino una statua in bronzo attribuita a Prassitele (quarto secolo a.C.) sulla cui provenienza, l'arcivescovo scrive nel testamento di non poter dare spiegazioni "per motivazioni di coscienza".

E sulla statua si scatena un ulteriore tornado. Sì, perché nel mondo, dicono esperti di archeologia, non si conoscono statue originali di Prassitele. Sarebbe stata invece giudicata opera originale del grande scultore greco del quarto secolo avanti Cristo la piccola statua lasciata dall'arcivescovo. Un satiro, alto una ventina di centimetri, una copia del quale sarebbe esposta in un museo di Napoli. "Lascio la statuina in bronzo- scrive Peressin nel testamento-, raffigurante un satiro con otre, opera attribuita allo scultore greco Prassitele, di valore inestimabile (parecchi milioni di dollari Usa) ai Musei Vaticani, affinché la espongano ai visitatori, con una placca indicante quanto segue: "Donazione dell'arcivescovo Mario Peressin e del dr. Joseph Palisi"». (10) Quest'ultimo, un medico americano di origini italiane venuto anche all'Aquila negli anni precedenti, in punto di morte avrebbe donato la statua al prelato aquilano. Come la ebbe? L'arcivescovo, nel testamento, non lo spiega ed anzi, rilancia il mistero: "Io per ragioni di coscienza- scrive- non posso indicare la provenienza del bronzo, ma diversi esperti, italiani ed esteri, che lo hanno revisionato, come pure l'esame chimico di un frammento in polvere nel bronzo, mi hanno assicurato che l'opera è senz'altro attribuibile al grande scultore greco". (11) Un giallo, insomma, attorno ad una statuina della quale, in Curia, pochissimi sapevano l'esistenza visto anche che Peressin la custodiva nel suo appartamento in Vaticano.

* * * *

Soltanto la morte di Peressin sancisce l'attesa svolta nella Curia aquilana. Sì perché, anche se Molinari era stato nominato subito "coadiutore" e un anno e mezzo prima, nel giugno del 1998, arcivescovo dell'Aquila, il presule friulano era stato sempre assai presente nonostante gli acciacchi. Tanto che, nonostante una prestigiosa nomina in Vaticano, aveva preferito mantenere la residenza in città, nello stabile di piazza Duomo. Scrive Amedeo Esposito:

L'arcivescovo emerito dell'Aquila, monsignor Mario Peressin, agli inizi del mese ha preso possesso del Canonicato nella basilica di San Pietro in Vaticano. L'"incardinamento" nel nuovo incarico, concesso da Giovanni Paolo II subito dopo le dimissioni da arcivescovo titolare dell'Aquila, è avvenuto nel corso di una breve e riservata cerimonia, presieduta dal vescovo Alvin Percira, delegato dell'Arciprete della Basilica, il cardinale Virgilio Noè. Al seguito del monsignor Peressin erano solo monsignor Renzo Narduzzi e suor Maria Rita Celi. L'incarico, che comporta esclusivamente incombenze spirituali (confessioni, cerimonie religiose etc.), prevede la residenza a Roma, tanto che monsignor Peressin ha già preso possesso di una suite in Vaticano, a lui assegnata. L'arcivescovo emerito, però, ha deciso di dimorare stabilmente all'Aquila, abitando in un appartamento del palazzo arcivescovile in piazza Duomo la cui ristrutturazione è in via di completamento. La decisione del Papa fu resa nota all'arcivescovo metropolita, monsignor Giuseppe Molinari, dal segretario di Stato, il cardinale Angelo Sodano, con una nota in cui è detto: "Eccellenza reverendissima, ho il piacere di portare a sua conoscenza che il Santo Padre ha conferito a Sua eccellenza monsignor Mario Peressin, arcivescovo emerito di codesta arcidiocesi, il Canonicato nella basilica di San Pietro in Vaticano. Il relativo Breve di nomina è stato trasmesso all'eccellentissimo cardinale Arciprete di detta basilica per l'immissione di monsignor Peressin nel possesso del Canonicato a lui concesso". Monsignor Molinari diede notizia ai fedeli della concessione del Canonicato al predecessore in occasione del suo ingresso ufficiale dell'Arcidiocesi. (12)

Nel giugno del 1998, dunque, il "don Giuseppe" tanto caro agli aquilani viene nominato vescovo proprio quando viene eletto sindaco Biagio Tempesta. In molti la concomitanza suscita sentimenti di speranza per una tanto auspicata città nuova. Che si dibatte nei vecchi, annosi, problemi. Come la Perdonanza. Contro la quale Molinari s'imbatte subito, fresco fresco di nomina. E quella sarà l'estate delle polemiche feroci. Che, involontariamente innesco io, con un articolo nel quale tiro fuori (o, secondo alcuni, ritiro) la questione del giallo del foro nel cranio del povero Celestino V. Scrivo:

Celestino V potrebbe essere stato ucciso? Il Papa scomodo che "inventò" l'ancor più scomoda "Bolla del Perdono" potrebbe essere stato soppresso su ordine del suo nemico e successore Bonifacio VIII "inventore" del Giubileo? Alla vigilia della Perdonanza '98, ovvero di quel Giubileo ante litteram inventato dall'Eremita del Morrone, torna prepotentemente a colorarsi di giallo la morte di Pietro Angelerio. Un Papa "rivoluzionario", quello del "gran rifiuto" che, ad oltre settecento anni dalla morte, non ha mai trovato pace. Prima le "guerre" sull'interpretazione del suo abbandono del "soglio di Pietro" che durano tutt'oggi; poi le "guerre" di alcune popolazioni per averne le spoglie (portate all'Aquila da alcuni monaci che le trafugarono da Fumone, nel Lazio, dove Angelerio morì); ora, rischia di scatenarsi un'altra "guerra" sulla sua morte: naturale o violenta?

A tingere di giallo il decesso è un foro scoperto sui resti del cranio custodito, con le altre sacre spoglie, nell'urna di vetro contenuta nel mausoleo all'interno della basilica di Collemaggio. Un luogo sacro che pure, dieci anni fa, venne violato da una banda di balordi che sequestrò le reliquie per chiedere un riscatto mai ottenuto perché una "soffiata" fece scoprire il sacro "bottino" nascosto in un piccolo cimitero di un paese del Reatino. Questa, almeno, la versione ufficiale di quell'episodio che resta, a tutt'oggi, un mistero e che si porta dietro un altro giallo, trapelato solo in questi giorni. Proprio in quell'occasione, infatti, prima cioè della ricomposizione delle spoglie, il cranio del Santo fu sottoposto, presso l'ospedale Santa Maria di Collemaggio, ad un esame alla Tac (tomografia assiale computerizzata) che evidenziò il foro nella parte temporale sinistra. Un foro della larghezza di circa un centimetro, a forma rettangolare. Come quello che avrebbe potuto lasciare un grosso chiodo.

"Sì, il foro esiste - conferma al Messaggero padre Quirino Salomone, responsabile del Centro celestiniano, rettore per anni della basilica di Collemaggio nonchè uno dei maggiori esperti di cose celestiniane-. Un foro che già nel passato ha alimentato l'ipotesi anticlericale che l'eremita del Morrone possa essere stato ucciso. Su questa ipotesi, ma anche sulle altre che emergono, darò una risposta in una pubblicazione che sto ultimando. Un libro dal titolo "Il giallo Celestino" nel quale, sulla base sia di sofisticati esami scientifici in parte eseguiti anche da specialisti dell'Università Cattolica sia di documentazione fotografica, spero di fare definitivamente chiarezza sugli aspetti legati alla morte del nostro Santo. Per ora non posso dire di più>.

Dunque, stando a quanto afferma padre Quirino, la questione del foro nel cranio collegata all'ipotesi dell'omicidio del Papa eremita non è affatto una leggenda né una boutade. Al contrario, la questione è da anni oggetto di studi tanto approfonditi quanto "top secret", visto che finora nulla era trapelato nemmeno in occasione del rapimento delle spoglie del santo che finì sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo e che fece concentrare i riflettori degli studiosi sulla figura di Celestino V. Nulla. Silenzio. Anche se la Chiesa sapeva e sa molto di più. Ma mai, come in questo caso (l'ipotesi di un Papa che fa uccidere un altro successore di Pietro), il silenzio è d'oro. (13)

Lo scoop, anche grazie ad un lancio dell'agenzia Associated Press, finisce persino su Times e Le Monde. Il vaticanista di "Repubblica", Orazio La Rocca, in un lungo articolo, addirittura cita la concorrenza, spiegando che la notizia è stata "anticipata dall'edizione abruzzese del Messaggero". Il presidente del Comitato per la Perdonanza, Giorgio De Matteis, sollecita la verità al Vaticano ("Chi ha autorizzato l'esame sul cranio, e chi l'ha eseguito" (14) ) cavalcando la tigre per "lanciare" la prima edizione della manifestazione targata centrodestra. Il tutto tra lo scetticismo della stampa locale, sempre ligia alla "regola" che se gli scoop li fanno gli altri, di sicuro, o sono clamorose bufale o si tratta di macchinazioni. Scrive Giustino Parisse:

La notizia "esplosiva" che secondo il presidente del Comitato per la Perdonanza, Giorgio De Matteis, avrebbe dovuto risollevare le sorti della manifestazione celestiniana e così farla conoscere all'Italia ed al mondo, comincia a maturare alla metà di luglio. Da un paio di giorni era stata presentata la "Peregrinatio" delle spoglie di Celestino, ma non bastava. Ci voleva qualcosa che facesse galoppare la fantasia popolare. Ed ecco la trovata: rispolverare il presunto omicidio di Celestino V fatto forse uccidere, 702 anni fa, dal suo successore, Bonifacio VIII. La prova: il sicario gli avrebbe conficcato un chiodo in testa. Ed ecco che spunta anche una radiografia o una Tac fatta una decina di anni fa (dopo il furto e successivo ritrovamento delle spoglie) che confermerebbe l'ipotesi del buco. Il piatto, a De Matteis, sembra ben confezionato. Pensa (come aveva detto informalmente anche ad un giornalista del Centro pur senza svelare tutti gli ingredienti del "piatto" ma parlando solo di una "bomba") di fare la rivelazione in una conferenza stampa. Poi ci ripensa. Ecco allora l'indiscrezione di stampa e il giorno dopo il Comitato, con De Matteis, in testa a dire: "Vogliamo chiarezza, se il Vaticano sa, parli" il tutto condito dal grande stupore per una notizia di tal genere. Ma De Matteis nella sua voglia di far parlare della Perdonanza aveva dimenticato una cosa essenziale: informarsi.

Il buco in testa. Della storia del buco sulla testa di Celestino V ne hanno parlato praticamente tutti gli storici che si sono occupati del Santo e se ne parlò anche sui giornali e addirittura in Tv in una trasmissione condotta in diretta dalla basilica di Collemaggio da Donatella Raffai. In quella trasmissione alla quale prese parte anche padre Quirino Salomone, allora rettore di Collemaggio, venne addirittura mostrata una copia del teschio di Celestino V con il buco.

La ricognizione. In questi giorni si è parlato di una ricognizione segretissima fatta subito dopo il ritrovamento delle spoglie di Celestino V (un ritrovamento, quello sì, che andrebbe chiarito) nel corso della quale l'anatomopatologo Terenzio Ventura avrebbe fatto una Tac sul cranio di Celestino V. Il tutto con il sospetto di una regia occulta da parte di padre Quirino Salomone interessato al lancio del suo libro sul "giallo" di Celestino.

A De Matteis forse sarebbe bastato andare a rivedere la rassegna stampa dell'aprile- maggio 1988. Avrebbe trovato alla data del 18 maggio 1988 un articolo del nostro giornale intitolato "Celestino è al sicuro; cristalli antisfondamento proteggono le spoglie". Il pezzo parlava della risistemazione delle spoglie di Celestino nella basilica e dentro un'urna tutta nuova e con vetri antisfondamento forniti dalla Siv e si affermava che "ieri la commissione della Curia metropolitana con l'arcivescovo Peressin ed il sindaco Lombardi hanno sigillato l'urna del Santo". E poi: "La ricognizione delle spoglie è avvenuta nei giorni scorsi da parte di una équipe diretta dal professor Terenzio Ventura. Sui risultati è stato redatto un documento che, insieme agli altri reperti, è stato chiuso con le spoglie all'interno dell'urna". Dunque la ricognizione, alla presenza di vescovo e sindaco, ci fu ma non fu affatto segreta tanto che ne parlarono i giornali. Per sapere i risultati di quella ricognizione quindi non serve scomodare il Vaticano, basterebbe recuperare quel documento, lo stesso di cui forse è in possesso padre Quirino. È probabile che in quella ricognizione fu fatta anche una radiografia per verificare se le ossa avessero subito ulteriori danni.

L'ex sindaco Lombardi. Fra le cose dette due giorni fa dal comitato e riportate ancora ieri da una agenzia di stampa c'era anche il fatto che l'amministrazione comunale non era stata informata di quella ricognizione. A De Matteis sarebbe bastato fare una telefonata a Enzo Lombardi, oggi consigliere comunale e all'epoca sindaco della città. Lombardi ieri ha detto che "l'amministrazione comunale non solo fu informata di tutto quanto avveniva intorno alle spoglie del Santo ma ho partecipato personalmente ad alcune fasi della ricognizione fatta dal professor Ventura. Io non ho visto fare radiografie o Tac ma non lo posso escludere. Tutto però si svolse alla luce del sole e senza segreti". (15)

Il Tempo pubblica un duro corsivo, non firmato, dal titolo "Davvero una brutta caduta di stile":

La vicenda degli esami sulla spoglie di Celestino, la maniera in cui si è prima fatta trapelare la notizia, le successive marce indietro ed infine la... rivelazione, hanno rappresentato una brutta caduta di tono per tutti (compresi esponenti della Chiesa aquilana), ad iniziare dal presidente del Comitato per la Perdonanza. Che, dopo aver glissato in sede di conferenza stampa, su quelle "misteriosa" Tac di dieci anni fa, oggi utilizza quella stessa Tac e gli altri esami sui resti del Santo del Morrone per confutare le affermazioni di quanti (i Ds che in una nota al sindaco Tempesta hanno chiesto espressamente la "testa" di De Matteis) parlano di polveroni e falsi scoop. Abbiamo già scritto che c'è una enorme differenza di classe tra l'"io c'ero" di Errico Centofanti, anni fa, quando proponeva sullo sfondo della basilica di Collemaggio il profilo di Dante Alighieri e questa brutta storiaccia delle sacre spoglie di un Papa Santo, prima offese e poi fatte... filtrare alla stampa in un periodo troppo sospetto perché non si debba pensare ad un tentativo, anche abbastanza squallido, di utilizzare quel "segreto" a scopo promozionale. Di varia natura. Sicché, a questo punto, sarà il caso di chiarire ogni cosa sino in fondo, anche e soprattutto per accertare se, oltre i misteri ed i silenzi di anni, non si siano determinati anche comportamenti di illegittimità. Ad iniziare dal rispetto delle normative vigenti tutte, comprese quelle di polizia mortuaria, nel momento in cui si è deciso di trasferire il cranio di Celestino all'ospedale di Collemaggio per la Tac. Sarà anche il caso di sindacare sulla correttezza e trasparenza dei comportamenti politici di tutti quanti hanno avuto voce in capitolo in questa vicenda. E evidente che, una volta saltato il coperchio, non si possa far finta di nulla o pensare a qualche maldestro tentativo di tornare a... sigillare la pentola. Anche perché, a leggere l'ultima frase della dichiarazione ufficiale del l'arcivescovo Giuseppe Molinari si capisce questa volta con estrema chiarezza la piena disponibilità ad autorizzare nuovi esami sulle spoglie di Celestino. Nella consapevolezza che i progressi della diagnostica per immagini e le metodiche di spettroscopia di massa rendono possibile la rilevazione anche di veleni vegetali sullo scheletro. E questa volta, nel caso, sarà giocoforza evitare le "sveltine" di dieci anni fa. (16)

La polemica, come sempre accade trattandosi di Perdonanza, diventa politica, Gabriele Perilli, capogruppo in Consiglio comunale dei Ds, sollecita le dimissioni di De Matteis in una lettera aperta al sindaco Tempesta:

Il tentativo del presidente del Comitato della Perdonanza 1998, dottor Giorgio De Matteis, da lei incaricato di coordinare il Comitato stesso, di creare "effetto bomba" sul presunto giallo delle spoglie di San Pietro Celestino, sta assumendo man mano la dimensione giusta per ridicolizzare gli ideatori di tale presunto scoop. Purtroppo come risulta dai mezzi di informazione locali, nazionali ed internazionali, si rischia, per colpa di questi improvvisatori, di avere notevoli danni per l'immagine della città. I danni riguardano la valenza religiosa, culturale e sociale di una città che ha sempre reso i dovuti onori al valore etico- religioso del messaggio Celestiniano. I documenti storici, le prese di posizione di uomini di cultura e religiosi sono la testimonianza della caduta di stile e della improvvisazione che sta caratterizzando l'operato del presidente del Comitato. Concordiamo con il pensiero espresso in data odierna da monsignor Edoardo Menichelli, vescovo di Chieti, riportato sia nella pagina nazionale del quotidiano Il Tempo che dalla Rai nazionale, il quale invita gli amministratori comunali a considerare ormai superata la fase elettorale, chiedendo di operare nel solo interesse vero della manifestazione e dell'intera comunità aquilana ed abruzzese. Infatti monsignor Menichelli dice testualmente "qui non ci sono elezioni". È spiacevole e doloroso per noi tutti e l'intera città assistere, dopo la presentazione di un programma povero di idee e culturalmente sottotono, a questi tentativi di creare un effetto "richiamo" che miseramente sta scoppiando in mano a chi lo ha imprudentemente sollevato. Per queste ragioni i consiglieri comunali del Gruppo Ds chiedono alla S.V. di revocare al dottor Giorgio De Matteis l'incarico di presidente del Comitato per la Perdonanza subito dopo la chiusura di tutte manifestazioni 1998 ad evitare ulteriori danni per la città. La invitiamo inoltre a riattivare al più presto le procedure relative alla costituzione della Fondazione. (17)

Molinari, troppo precipitosamente, smentisce tutto:

"A me non risulta alcun esame segreto sulle spoglie di Celestino V. E nessuno mi ha chiesto di interessare il Vaticano. L'ultima ricognizione sulla salma fu compiuta circa dieci anni fa dopo il rapimento. E da allora i resti del Papa della Perdonanza riposano nella loro teca". (18)

L'arcivescovo sarà costretto a fare marcia indietro in una clamorosa nota ufficiale che così racconto:

Celestino V ha fatto il "miracolo". Ha convinto la Chiesa aquilana a dire la verità (anche se forse non ancora tutta la verità) e ad accantonare la strategia di negare o, comunque, a non trincerarsi dietro il silenzio nei casi imbarazzanti e spinosi come quello degli esami segreti sulle sacre spoglie dell'Eremita del Morrone. Facendo una clamorosa marcia indietro (sull'Avvenire, l'altro ieri, aveva smentito tutto) l'arcivescovo dell'Aquila, monsignor Giuseppe Molinari, ieri ha confermato una per una le rivelazioni anticipate sul Messaggero in una nota ufficiale che, per giunta, finisce con il rilanciare il giallo sulla morte di Celestino. Una nota sottoscritta non soltanto dall'arcivescovo ma anche da padre Quirino Salomone, ex rettore della basilica di Collemaggio e studioso dell'Eremita del Morrone (nonché autore delle prime rivelazioni), dall'anatomopatologo professor Terenzio Ventura e dal presidente del Comitato Fondazione Perdonanza Giorgio De Matteis.

Conferma n. 1, la Tac segreta. Dopo il rinvenimento delle spoglie trafugate, si legge nella nota congiunta, "venne eseguita la nota ricognizione del 1988 e in tale occasione le spoglie del Santo furono sottoposte ad ulteriori esami... L'esame fu eseguito presso il servizio Tac dell'ospedale di Santa Maria di Collemaggio. Le immagini non furono stampate e il dischetto non si è più trovato. Non esiste, dunque, alcuna stampa delle immagini Tac. Di ciò - si legge nel documento- dà conferma oggi il dottor Fosco De Paulis, primario del servizio Tac". Dunque, la Tac della quale nei giorni scorsi tutte le parti in causa hanno detto di non sapere nulla e che anzi poteva essere "una "bufala" costruita ad arte da qualcuno per pubblicizzare l'imminente Perdonanza", non soltanto fu davvero eseguita ma i risultati sono addirittura spariti. Dove sono finiti? E come è possibile che si spostino le sacre spoglie di un Santo, senza che nessuno lo sappia, e si faccia un esame in una struttura pubblica dove poi spariscono i risultati? Roba da Procura della Repubblica? Tanto più che il sindaco Biagio Tempesta, ieri mattina, aveva reso noto il contenuto di una lettera inviata al vice presidente del Consiglio dei ministri ed al Segretario di Stato Vaticano, cardinale Angelo Sodano, nella quale rivolge un "cortese invito affinché, per quanto di rispettive competenze, venga accertata la veridicità delle notizie apparse sulla stampa. Ciò anche in relazione alla circostanza che il Comune dell'Aquila risulta proprietario giuridico della basilica di Santa Maria di Collemaggio e di quanto in essa contenuto, compreso il corpo del Santo. Ferme restando, naturalmente, le competenze delle attività ecclesiastiche". Tempesta, in particolare, intende sapere "se davvero siano stati effettuati, in gran segreto, degli esami clinici, tra cui una Tac, per accertare la natura del foro nella scatola cranica di Papa Celestino V". Molinari ha già risposto: sì.

Conferma n. 2, gli ulteriori esami segreti. Non fu eseguita solo la Tac. "Alcuni prelievi ossei per gli esami chimico- tossicologici vennero effettuati- si legge ancora nella nota- dal professor Angelo Fiori, direttore dell'Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma su indicazione dell'arcivescovo dell'epoca monsignor Mario Peressin. In particolare, il professor Fiori dopo aver ispezionato i resti del Santo ritenne opportuno effettuare una indagine chimico-tossicologica per il dosaggio del piombo su frammenti ossei".

Il giallo nel giallo. La morte naturale di Celestino V, per la Chiesa aquilana non pare proprio un dogma. La Curia aquilana auspica infatti l'esecuzione di ulteriori esami per fare chiarezza sulla morte del Santo: "Negli ultimi anni- conclude la nota- la diagnostica per immagini ha compiuto notevoli progressi tecnologici per cui si hanno maggiori possibilità diagnostiche rispetto a dieci anni fa nel chiarire se si tratta di una lesione vitale del cranio o di lesione post-mortale. Un adeguato studio paleopatologico, oltre a questi rilievi, oggi potrebbe essere in grado di fornire informazioni sul tipo di nutrizione e su alterazioni scheletriche connesse con malattie intercorrenti. È quanto attende padre Quirino Salomone per completare la dimostrazione, oltre alle prove storiche, che Celestino non fu ucciso". (19)

"Don Giuseppe" non me la perdonò. Tanto che, quando alcuni giorni dopo, a seguito di un articolo sul Messaggero non mio ma dell'autorevole Amedeo Esposito relativo al caso dell'archivio del cardinale Carlo Confalonieri, l'arcivescovo mi scrive un biglietto di suo pugno, lui che è stato il mio professore di Religione al Liceo Classico:

Carissimo Angelo, dopo il "giallo" su Celestino, adesso sembra che hai trovato un altro "filone" interessante: il "giallo" su Confalonieri. Attento: il cattivo giornalismo non paga. Prima o poi la gente si accorge. Te lo dico con l'affetto di un vecchio professore. E sempre con tanta amicizia. (20)

All'amato professore, a "don Giuseppe", non si replica. E non l'ho fatto. Il cattivo, certo, non ero stato io: avevo solo fatto il mio dovere, dando una notizia che riguardava solo un'ipotesi (non certezze) che ha fatto il giro del mondo. Di certo non avevo mentito e non avevo interessi reconditi se non quello di cercare di fare il mio mestiere. Nel quale, se si bara, la gente si accorge subito.

Scriverà, anni dopo, l'arcivescovo Molinari a proposito della Perdonanza 2002 che tante polemiche, stavolta, susciterà per la consegna in forte (ed imbarazzante) ritardo, da parte dell'Istituzione Perdonanza, dei 200 milioni del "Premio per la Pace" al cardinale di Sarajevo, Vinko Puljic:

Sono trascorsi ormai alcuni giorni dalla celebrazione della Perdonanza. E vale la pena tornare a parlare, con serenità, di un evento che per noi, Chiesa dell'Aquila, è importantissimo. Un evento, che come abbiamo detto e scritto più volte, deve diventare costante stile di vita di ognuno di noi, della nostra città e della nostra Diocesi. Puntuali e immancabili sono state le critiche. Alcune giuste, altre... buttate lì solo per il gusto di criticare e di prendersela con qualcuno. Il cristiano aquilano qualunque sa che cos'è la Perdonanza. Il cristiano aquilano qualunque ha cercato, con semplicità e umiltà, di accostarsi al Sacramento della Riconciliazione e ristabilire un vero rapporto di amore con Dio e con i fratelli.

E di cristiani così, ve lo assicuro ce ne sono stati tanti. Noi sacerdoti, che abbiamo trascorso ore ed ore a confessare, dentro la basilica di Collemaggio, non abbiamo né potuto né voluto contare l'immenso numero di fratelli e sorelle che sono venuti a chiedere il Perdono di Dio. Ma il Signore li ha visti e li ha scritti nel libro del suo cuore, del suo infinito amore misericordioso. E per un vescovo questo è il vero successo della Perdonanza. Successo che speriamo vivamente aumenti sempre di più. Un successo che non costa nulla a nessuno, neppure un euro. Un successo legato solo alla umiltà e docilità di ognuno di noi di lasciarsi raggiungere dalla Grazia di Dio e lasciarsi convertire.

Agli irriducibili critici della Perdonanza vorrei chiedere prima di tutto, quasi con brutalità ma sempre con tanto affetto e rispetto, se hanno vissuto così la loro perdonanza, se, in parole più semplici, si sono confessati e comunicati- come chiede San Celestino- nel giorno della Perdonanza. Se non lo hanno fatto... dovrebbero fare meno chiacchiere inutili ed essere un po' più cauti nei loro giudizi spietati. Anche perché questi giudizi riguardano una cornice esterna della Perdonanza, su cui la Chiesa Aquilana come tale non ha nessuna responsabilità. E poiché tra questi critici superficiali e irriducibili spesso si collocano anche alcuni che si dicono cristiani, vorrei dire con molta chiarezza che... se c'è qualcosa che ancora non va nella organizzazione esterna della Perdonanza, l'esame di coscienza dovrebbero farselo proprio i laici che si dicono cristiani. Farebbe semplicemente ridere un vescovo che si mettesse ad indagare (come un "inquisitore" di triste memoria) sulle canzonette e l'abbigliamento di cantanti e orchestrine. Sarebbe, invece auspicabile ed è estremamente doveroso che i laici cristiani, a tutti i livelli, si impegnassero concretamente (insieme a tutti gli onesti) affinché ogni spettacolo mantenga un sicuro livello artistico e porti messaggi che non vadano a cozzare con il vero spirito della Perdonanza. E detto questo concludo dicendo che, grazie a Dio, anche nel campo degli spettacoli non tutto è stato negativo. Ho sentito pareri favorevoli sugli spettacoli, per esempio, di Massimo Ranieri e di Biagio Antonacci e su molti degli altri aspetti del programma.

Si può fare sempre di più e meglio e non solo per gli spettacoli ma, soprattutto, nel campo dell'approfondimento teologico e culturale della Perdonanza e nel sempre vastissimo campo della solidarietà. (In questo contesto l'assegnazione del "Premio per la Pace" al Cardinale di Sarajevo Vinko Puljic è stato anche un grande atto di solidarietà). Mettiamoci dunque tutti insieme per questa strada. (21)

E sempre in quel dopo- Perdonanza del 2002, scrive Dante Capaldi, profondo conoscitore di cose celestiniane, in un intervento come direttore della rivista "La Perdonanza":

Anche quest'anno nel corso della 708ª edizione della Perdonanza si è arrivati ad una vera e propria overdose della Festa di carattere più spettacolare e consumistica che spirituale. Bene ha fatto il Comune di Lanciano se non ha partecipato sostenendo che la parte religiosa è stata inquinata da quella commerciale. E così dopo lo pseudo-scoop di anni addietro proposto da Donatella Raffai (Rai 3) "Celestino ucciso da un chiodo", quest'anno c'è stato chi ha voluto presentare la sua novità. Alludiamo alla trasmissione (replicata per il successo del primo passaggio) "Stargate linea di confine", nel corso della quale il conduttore Roberto Giacobbo si è saputo abilmente arrampicare sugli specchi sostenendo che il documentario avrebbe rivelato un "incredibile mistero italiano, una svolta imprevista: il mistero dell'Aquila". E quale sarebbe questo mistero? Presto detto. I Templari avrebbero dato a Celestino, quando si recò a Lione nel 1274 per farsi riconoscere il proprio ordine monastico, l'Arca dell'Alleanza contenente le Leggi che Dio diede a Mosé sul monte Sinai. E quest'Arca sarebbe conservata all'interno del primo nucleo della basilica di Collemaggio, visto che è stato trovato un muro portante dello spessore di ben 3 metri. Ma ci sono nel documentario i due collaboratori di Giacobbo che mettono, per fortuna, il freno a questa fantasiosa tesi. Il primo è Walter Capezzali che ammette il contatto con i Templari è solo un'ipotesi: "Saper distinguere la realtà dalla fantasia, dall'immaginario, non è facile"; la seconda voce è quella di Maria Grazia Lopardi, che si è cimentata con ottime pubblicazioni sulla tematica celestiniana, che ribadisce il valore simbolico della Chiesa e conferma: "Possiamo fare solo delle ipotesi". Dunque, nulla di nuovo sotto il sole. Per il resto, che Celestino V fosse un Papa innovatore, che non fosse il Papa di quel tempo, che incarnava la Chiesa spirituale e non quella temporale e che concesse la Perdonanza, svincolata dall'aspetto economico, come anticipazione del Giubileo, ne eravamo a conoscenza ormai da oltre 20 anni. Da quando cioè il Centro celestiniano e il suo attuale presidente padre Quirino Salomone sono riusciti a trasformare quella che era la "benedizione delle macchine" (1978) nell'attuale manifestazione popolare dove poi c'è chi si inserisce per fare passerelle e per specularci a livello organizzativo e strumentale, con personaggi e iniziative pseudo-culturali molto lontani dallo spirito del grande evento. (22)



Note al testo


(1) Il Messaggero, cronaca dell'Aquila, 22 dicembre 1987 (torna al testo)
(2) Bollettino degli Atti della Curia arcivescovile dell'Aquila, ottobre 1992 (torna al testo)
(3) Il Centro, Cronaca dell'Aquila, 13 marzo 1991 (torna al testo)
(4) Bollettino degli Atti della Curia arcivescovile dell'Aquila, ottobre 1992 (torna al testo)
(5) Ibidem (torna al testo)
(6) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila 13 ottobre 1999 (torna al testo)
(7) Il Messaggero, Cronache italiane, 27 novembre 1999 (torna al testo)
(8) Ibidem (torna al testo)
(9) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 26 novembre 1999 (torna al testo)
(10) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 28 novembre 1999 (torna al testo)
(11) Ibidem (torna al testo)
(12) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 26 agosto 1998 (torna al testo)
(13) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 18 agosto 1998 (torna al testo)
(14) Il Messaggero, Cronaca d'Abruzzo, 19 agosto 1998 (torna al testo)
(15) Il Centro, Cronaca dell'Aquila, 20 agosto 1998 (torna al testo)
(16) Il Tempo, Cronaca dell'Aquila, 21 agosto 1998 (torna al testo)
(17) Comunicato stampa, 20 agosto 1998 (torna al testo)
(18) Avvenire, 19 agosto 1998 (torna al testo)
(19) Il Messaggero, Cronaca d'Abruzzo, 21 agosto 1998 (torna al testo)
(20) Biglietto autografo, 23 ottobre 1998 (torna al testo)
(21) Presenza, mensile dell'Arcidiocesi dell'Aquila, settembre 2002 (torna al testo)
(22) Il Messaggero, Cronaca dell'Aquila, 9 settembre 2002 (torna al testo)