MORTO A 86 ANNI ELIO PERETTI, ULTIMO CANTORE DELL’AQUILA

Il mio ricordo di Elio Peretti oggi sul Messaggero Abruzzo

Sfollato a Vasto dopo la terribile botta, pensò di inviare per posta, a scadenza precisa, al “suo” Messaggero (innumerevoli sono state le telefonate, fino agli ultimi giorni, di vibrata protesta su argomenti civici!) pagine letteralmente strappate dal suo bel libro “Le piazze dell’Aquila”. Quelle poesie, laceranti alla luce del sisma, vennero pubblicate sul giornale per mesi strappando lacrime agli aquilani. Una seconda edizioni a puntate, insomma. Cui ne seguì una terza, quando finalmente tornò nella suà città, a cantarla e a fare giri e giri attorno al prato di Collemaggio, al mattino presto, in tuta, con qualsiasi tempo.

Si è spento Elio Peretti, una tra le voci più profonde e suggestive della poesia italiana. Il poeta, autore di versi che hanno saputo toccare le corde più intime dell’animo, è scomparso all’età di 86 anni, lasciando dietro di sé un’eredità letteraria intrisa di emozione e riflessione. La sua vita, vissuta intensamente in una città baciata dalla “grande bellezza” ma spesso tormentata da eventi sismici, ha influenzato profondamente la sua produzione poetica. Nato nel cuore dell’Aquila nel 1937, ha trascorso la sua infanzia e gioventù in un contesto dove il paesaggio montano e la storia millenaria si fondono in un connubio indissolubile. Questa fusione di elementi si è riflessa nelle sue opere, che spesso esplorano i legami tra l’uomo, la terra e il tempo.

La poetica di Peretti si caratterizza per l’uso di un linguaggio semplice ma profondo, capace di penetrare l’anima del lettore e di suscitare emozioni autentiche. I suoi versi sono carichi di immagini suggestive, che dipingono quadri vividi della natura abruzzese e dell’esperienza umana. Le sue poesie spaziano dalla celebrazione della bellezza selvaggia dei monti e dei boschi, fino all’analisi dei sentimenti più complessi dell’uomo: l’amore, la solitudine, la speranza e la fragilità dell’esistenza.

Tra le sue opere più celebri spicca “Canto ai Monti”, un inno alla maestosità delle vette che circondano L’Aquila, intessuto con un amore profondo per la sua terra d’origine. In questo componimento, Peretti esprime il legame viscerale che unisce l’uomo alla natura e invita il lettore a riflettere sulla bellezza selvaggia e incontaminata che spesso passa inosservata nella frenesia della vita moderna. Le sue opere affrontano anche tematiche universali e attuali, come la memoria storica, la fragilità dell’esistenza umana e la ricerca di un senso più profondo nella vita. “Versi di Pietra”, una raccolta di poesie dedicata alle vittime del terremoto del 2009, testimonia la sua capacità di cogliere il dolore e la resilienza di una comunità provata dalla tragedia.

La morte di Peretti rappresenta una perdita incolmabile per L’Aquila. I funerali si terranno domani alle 11 nella chiesa del cimitero. Ai figli Bruno e Carlo e alla famiglia, le condoglianze del Messaggero.

Angelo De Nicola
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“La centesima rocca”

Il mio articolo sul Mesaggero Abruzzo di oggi sulla visita del Capo dello Stato Sergio Mattarella alla Scuola Sottuffciali della Guardia di Finanza dell’Aquila

“LA CENTESIMA ROCCA” ORMAI
DEL TUTTO INTEGRATA NELLA CITTÀ

È “la centesima rocca” dell’Aquila, secondo una suggestiva definizione del secondo comandante, colonnello Sabino Gervasio, aggiungendola idealmente alle 99 che, secondo la tradizione, edificarono la città alla metà del Duecento. La Scuola sottufficiali della Guardia di Finanza, probabilmente il più grosso complesso a disposizione di una forza di polizia sul territorio nazionale, è ormai parte integrante dell’Aquila anche per essere stata l’àncora di salvezza della città squassata dal terremoto dell’aprile del 2009 fino ad ospitare anche 1.800 sfollati oltre che tutti gli uffici pubblici nell’emergenza. La disciplina e la signorilità di allievi e allieve (le donne sono state accolte a partire dal 2000) anche nelle libere uscite hanno fatto sì che i “rocchigiani” della “Centesima rocca” siano ormai diventati a tutti gli effetti cittadini aquilani. Rispettati, ben voluti e assai spesso ammirati e corteggiati. Cosicché, grazie alla Scuola e soprattutto a una saggia gestione della stessa, il connubio Guardia di Finanza-L’Aquila è ormai indissolubile.
Intitolata al maresciallo medaglia d’oro al valor militare Vincenzo Giudice (comandante della Brigata della Finanza di Bergiola Foscalina in provincia di Massa Carrara, fucilato per rappresaglia nel 1944 dalle SS naziste nel tentativo di salvare settanta ostaggi civili), voluta dal non sempre ricordato on. Domenico Susi (sottosegretario alle Finanze dal 1983 al ’92), la Scuola è una cittadella dotata d’ogni servizio, un vero e proprio campus universitario. Vi si formano Ispettori e Sovrintendenti, ricevendo un ampio bagaglio professionale e culturale che spazia dall’area giuridica a quella economico-finanziaria, dalla formazione militare a quella di polizia tributaria, grazie ad un personale docente d’eccellenza: cattedratici, magistrati, dirigenti della pubblica amministrazione, liberi professionisti e ufficiali del Corpo dotati di specifiche competenze.
La struttura è una delle più moderne d’Europa, spesso all’estero portata ad esempio. I suoi numeri sono imponenti. Si sviluppa su 48 ettari. Misura 800 metri per lato e la piazza d’armi 250 metri per lato. In genere, la caserma, la cui costruzione è iniziata nel 1992, ospita circa 1.000 allievi e 300 finanzieri effettivi, oltre a circa 150 civili addetti a compiti vari. Un grosso indotto per l’economia locale. La struttura è testata per tremila finanzieri e, senza grossi problemi, ha sopportato anche la presenza di 29mila candidati per un singolo concorso. Nell’eliporto possono operare sei elicotteri contemporaneamente. Ci sono 16 aule a gradoni da 150 posti l’una, tutte dotate di impianti multimediali. L’aula magna ha 540 posti, l’auditorium 1.150. Per lo sport è dotata di campo regolamentare di calcio con pista d’atletica leggera, piscina olimpica coperta, poligono e palasport. Le sei mense sono state progettate per 6.000 finanzieri a turno e nel parcheggio c’è spazio per 1.600 auto.
Infine il vasto piazzale della caserma, grande agorà oggi significativamente chiamata “Piazza 6 aprile 2009-L’Aquila bella mai non può perire”. C’è persino un pezzo di classicità innervata nel cuore delle moderne strutture dell’edificato: sono vestigia d’una villa sabina scoperta durante i lavori di costruzione. Il motto latino della Scuola è “Consilio et virtute”, studio e coraggio. Sullo studio non si scherza: gli allievi del primo anno non possono camminare: sono obbligati a correre: non è nonnismo, ma il dazio da pagare per diventare finanzieri.
Angelo De Nicola
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Morto Ennio Ponzi, bandiera dell’Aquila Rugby e della Nazionale

Il mio ricordo oggi sul Messaggero di Ennio Ponzi:

https://www.ilmessaggero.it/abruzzo/ennio_ponzi_rugby_rugby_l_aquila_morto-7312428.html?refresh_ce

«Ennio Ponzi, studente in Medicina». Tutti ricordano la martellante insistenza con cui il telecronista Paolo Rosi, “The Voice”, sottolineava con questa piccola frase ogni sua azione, sempre precisa, ogni calcio piazzato, sempre centrato, di Ennio Ponzi, mediano di apertura della mitica L’Aquila Rugby e della Nazionale anni ‘70. La sua precisione nei calci “piazzati” nell’acca lo aveva fatto diventare un mito, tanto che per anni, se a qualche aquilano chiedevi: «Che piazza è questa?», era automatica la risposta: «Piazza Ponzi!»
Ponzi se ne è andato ieri sera, a 72 anni, compiuti il 15 marzo scorso. Con ogni probabilità il cuore non ha retto alla lotta con cui sta reagendo, al solito come un leone, alla malattia che lo aveva attaccato. Eppure una settimana fa era a cena con gli amici…
Ebbene, gli anni dello studente in Medicina erano passati e Ponzi, oltre che una bandiera dell’Aquila Rugby, è diventato anche un affermato professionista, conosciuto e stimato da tutti. E’ stato allievo di Luigi Romanini, come gli ortopedici Vittorio Calvisi e Gianfranco Properzi.
Sul campo, poi, ha segnato un’epoca sia in neroverde che in azzurro: classe e carisma le sue caratteristiche. Fuori dal campo un “ciclone” di simpatia e vitalità. Nato e cresciuto all’Aquila, si formò rugbysticamente nella società del capoluogo abruzzese, nella quale militò a lungo e con la quale ebbe tutta la sua carriera internazionale. Ha esordito in neroverde, all’età di 18 anni e 9 mesi, sotto la guida di Sergio Del Grande il 21 dicembre 1969 nella partita Fiamme Oro Padova-L’Aquila 3-3. Con L’Aquila ha disputato 193 incontri realizzando 1.121 punti frutto di 27 mete, 178 calci piazzati, 9 drop e 226 trasformazioni. Mediano d’apertura, ha vinto con L’Aquila due scudetti consecutivi nel 1981 e nel 1982, e ha disputato 20 incontri in Nazionale italiana, per lo più in Coppa delle Nazioni/Coppa Fira, ma nel curriculum internazionale figurano anche due incontri di rilievo contro un XV dell’Australia (che non concesse il cap), uno nel 1973 e l’altro, sotto la gestione di Roy Bish, a Milano nel 1976, in entrambi dei quali Ponzi segnò 11 punti. Con 133 punti totali segnati in Nazionale Ponzi è ai primissimi posti tra i marcatori internazionali azzurri. Terminò la carriera al Rugby Roma nel 1986; in Serie A vanta 1.423 punti totali.
Lascia la moglie Donatella e il figlio Alessio, giocatore dell’Avezzano Rugby in serie A.
Angelo De Nicola
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AZZERATE POLEMICHE LUNGHE SETTE SECOLI
E ADESSO LA CITTÀ HA UN BRAND MONDIALE

Papa Francesco davani la Porta Santa di Collemaggio


La mia analisi sul Messaggero Abruzzo di oggi, 29 agosto 2022

Quando l’elicottero papale è sbucato nello scenario di Collemaggio, la nebbia mattutina dovuta a una rigida temperatura fuori stagione, s’è all’improvviso diradata lasciando il posto a uno splendido sole in un cielo azzurro intenso, il cielo che solo L’Aquila sa regalare. Papa Bergoglio ieri ha compiuto il “miracolo” di far uscire il sole su Celestino V. Sulla basilica di Santa Maria di Collemaggio. Sull’Aquila. Sull’Abruzzo.
Francesco ha tirato, finalmente, fuori dalla secche della Storia il “povero cristiano” marchiato di vigliaccheria per le sue clamorose dimissioni. Ha detto, in mondovisione, che è errata l’interpretazione del verso dantesco del “gran rifiuto”: «Celestino è uomo del sì e non uomo del no. Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili». In questo azzerando polemiche settecentenarie su quel maledetto (perchè “marchia” di viltade Celestino) ma pure benedetto (perchè gli ha dato una notorietà che non tramonta) verso del Terzo canto dell’Inferno, è andato oltre Papa Paolo VI che nel 1966 disse: «…Come per dovere l’Eremita del Morrone aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante scrisse- se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino- ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere».
E sul coraggio del fraticello nato in Molise, Bergoglio è andato oltre Papa Ratzinger che nel 2010 a Sulmona chiudendo, prima di dimettersi di lì a poco, il percorso di “riabilitazione” dell’Eremita che aveva avviato il 28 aprile 2009 proprio all’Aquila passando sotto la Porta Santa e donando il suo “pallio”, aveva detto: «Celestino V seppe agire in obbedienza a Dio e con grande coraggio».
Papa Francesco indica Celestino come «testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui- sottolinea- noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è la misericordia». E la «misericordia è il cuore stesso del Vangelo, è sentirci amati nella nostra miseria» ed «essere credenti non significa accostarsi a un Dio oscuro e che fa paura».
Celestino è, definitamente, un “crociato della Pace”, un “Ghandi del Duecento”, un “Martin Luther King dei suoi tempi” altro che “il vile del gran rifiuto” col quale lo si è voluto far passare per secoli generando un grande imbarazzo nella Chiesa. Uno per il quale “il potere è un servizio”. Francesco riscrive la Storia.
Il sole è uscito anche sulla basilica di Collemaggio, simbolo della ricostruzione positivo (grazie soprattutto ai dodici milioni tirati fuori da un privato, l’Eni) rispetto al simbolo negativo della Cattedrale aquilana di San Massimo (che dopo oltre tredici anni ancora non rinasce) tra i cui puntellamenti Bergoglio è entrato indossando significativamente un casco dei vigili del fuoco come fece Benedetto XVI a Onna nel suo pellegrinaggio all’Aquila del 2009. Quel suo sostare, in piedi, senza la carrozzella, visibilmente sofferente nel fisico, sull’uscio della Porta Santa e, poi, in raccoglimento davanti al Mausoleo dell’Eremita, fanno ora della basilica aquilana un punto di riferimento nella Cristianità. E non solo: sul pavimento della basilica c’è una antichissima pietra in cui è incisa una mezzaluna, simbolo musulmano ma anche simbolo di Pace. Non a caso.
La Pace, appunto. Il sole è arrivato a illuminare L’Aquila definita da Bergoglio «capitale di perdono, di pace e di riconciliazione». Un “brand” che il Papa lascia in dono alla città resiliente e a tutto l’Abruzzo. Sì, perchè ora può cambiare il Pil della regione dopo questa giornata epocale.
Ieri è stato una sorta di “anno zero” che va sfruttato facendo progetti, migliorando strutture, sostenendo un marketing territoriale grazie al “marchio” impresso da Papa Francesco, l’uomo più visibile della Terra, in cui c’è da “guadagnare” per tutti. Trasformando anche lo stesso sisma, con tutto il rispetto per le vittime, in un’opportunità.
Appena s’è sollevato l’elicottero papale, le nuvole sono tornate ad assediare il cielo aquilano e alcuni tuoni hanno rombato. Sta ora alla classe dirigente abruzzese generare il “miracolo” di far tornare a splendere davvero il sole su questa meravigliosa regione.
Angelo De Nicola
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MORTO MARIO PIETRUCCI, L’ULTIMO DEGLI STAMPATORI AQUILANI

Mario Pietrucci nella sua tipografia

Questo il mio ricordo sul Messaggero Abruzzo di oggi

A intere generazioni di giornalisti, tra cui chi scrive, ha dispensato insegnamenti e “lezioni”, presente giorno notte, con quelle manone sempre nere d’inchiostro, in quel “tempio” che era la tipografia Cianfarano. Dove lui governava la grande rotativa che aveva stampato “Aquilasette” e “Abruzzosette”, erede e ultimo epigono di quella grande tradizione tipografica aquilana che era partita da Adamo da Rottweil, il tedesco ricordato per essere stato nel XV secolo uno dei primi stampatori in Italia proprio nel capoluogo abruzzese. E’ stato un innovatore nel campo della stampa in offset, quella che ha sostituito il metodo su piombo. E quando, negli anni Ottanta, si stampava il mensile “L’Aquila Sport” dell’editore Paolo Busilacchi, era ogni volta una festa.
Era un uomo d’altri tempi Mario Pietrucci che una brutta malattia s’è portato via, l’altra notte, a 74 anni. Nativo di Cesaproba ma aquilano dentro, aveva vissuto per la sua tipografia e per i due figli (e i nipoti) Rosita e Pierpaolo, consigliere regionale del Pd.
LE REAZIONI
Tantissime le reazioni di cordoglio. «Perdere un genitore rappresenta uno dei momenti più tristi della vita di ognuno. Esprimo a nome personale e della giunta che presiedo il cordoglio al consigliere Pierpaolo Pietrucci per la scomparsa del padre», il messaggio del presidente della Regione, Marco Marsilio. «A nome della municipalità e a titolo personale esprimo sentimenti di vicinanza e cordoglio al consigliere regionale Pietrucci per la scomparsa del papà Mario. A lui, a sua sorella Rosita, alla signora Mimma, agli amati nipoti e ai familiari tutti giungano le condoglianze della comunità aquilana», le parole del sindaco Pierluigi Biondi. «Oggi è una giornata di grande dolore per tutta la nostra comunità politica» scrive la segretaria del Pd dell’Aquila, Emanuela Di Giovambattista. «Esprimo profondo cordoglio al consigliere Pietrucci per la perdita dell’amato padre» aggiunge l’assessore regionale Guido Liris. «Un abbraccio forte a Pierpaolo che perde il suo caro padre Mario- scrive la deputata dem Stefania Pezzopane-. Un uomo che ha sofferto ed è stato lungamente malato. Ora riposa in pace. Era un uomo buono e sempre di buonumore. L’ho conosciuto in tipografia dove seguivo la stampa dei libri della Lanterna Magica e poi il materiale elettorale. Ho passato giornate intere in quella tipografia. Era un piacere stare con lui, una persona perbene, un compagno di alti valori. Mentre si lavorava, si scherzava, si discuteva di politica, lui ci raccontava aneddoti e poi si mangiava insieme un panino e si scambiavano idee sul futuro». Cordoglio anche dal consigliere regionale Americo Di Benedetto (« “La prematura scomparsa di Mario Pietrucci, adorato padre di Pierpaolo, ci lascia tristi e svuotati di qualsiasi pensiero. Non si è mai pronti a lasciare andare una persona perbene, dal cuore grande e dal sorriso luminoso come il suo, sempre dedito alla famiglia e al lavoro come pochi») e dalla capogruppo del Movimento 5 stelle in Regione, Sara Marcozzi.
Tantissimi e commossi i messaggi sui Social. I funerali si svolgeranno oggi alle 15.30 nella basilica di Collemaggio.
Angelo De Nicola
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La morte, a 64 anni, di Stefano Vespa: “il miglior giornalista della famiglia”

Con Stefano Vespa, la scorsa Perdonanza 2021, in uno scatto di Sabrina Giangrande e sotto gli occhi vigili di Dante Capaldi, davanti la monastero di San Basilio dove Stefano mi onorò della sua presenza come moderatore alla presentazione del libro “Dante, Silone e la Perdonanza”. Ho tra le mani il mio libro su don Attilio Cecchini (anche per quello Stefano moderò la presentazione all’Emiciclo) sul quale mi aveva chiesto la dedica ma io, fino a quella mattina, avevo sempre svicolato per una sorta di pudore…

Il mio articolo sull’edizione di oggi del Messaggero

“Il miglior giornalista della famiglia”. Il necrologio del fratello Bruno, il più famoso giornalista italiano, e della sua famiglia (la moglie Augusta Jannini e i figli Federico e Alessandro), sono le più belle (e vere!) parole che meglio potessero ricordare Stefano Vespa. La cui morte, ieri, a 64 anni, per un malore nella sua abitazione a Roma, dove viveva da solo, ha lasciato tutti di stucco. Sì perchè Stefano, che spessissimo tornava all’Aquila anche dopo la morte della madre, era sempre in forma, sportivo, senza un filo di grasso, attento. Un “precisino” come lo era nella professione.
Era davvero il migliore! Classe 1957, a dispetto dell’oggettiva difficoltà dell’essere il “fratello di Bruno Vespa”, Stefano era animato dalla stessa passione: cominciò la carriera giornalistica nella mitica redazione del Tempo (dove erano passati anche Bruno e Gianni Letta), ultimo della “nidiata” di Enrico Carli a favore del cui ricordo civico Stefano era intervenuto, a brutto muso, un mese fa su queste colonne in un appello a quattro mani col fratello. Ma è stato anche tra i fondatori e tra le “colonne” dell’altrettanto mitica redazione, in via Accursio, di “Radio L’Aquila”. In radio la sua voce era inconfondibile, soprattutto nelle radiocronache sportive (calcio e rugby), un mix tra la preparazione di Sandro Ciotti e la “musicalità” di Enrico Ameri. Anche in Tv ci sapeva fare, e parecchio: ai mitici Mondiali di calcio del 1982, fece per l’Atv7 degli Spallone (raggiungendo gli studi ad Avezzano con la sua inseparabile A112 blu) delle telecronache delle partite dell’Italia dando della biada a Nando Martellini passato alla storia per quel “Campioni, campioni, campioni!!!”.
Era il migliore Stefano! Nella redazione del Tempo, e con i colleghi, spaccava il capello. Un carattere difficile. Un “dottor Sottile”. Se s’impuntava, non c’era verso. Ma perchè sapeva tutto, studiava tutto, voleva capire tutto. Volle andare a Roma: la “sua” L’Aquila (nel suo profilo Whatsapp campeggia lo stemma civico) gli era diventata stretta per tutta una serie di motivi. A Roma prima nella redazione centrale del Tempo diventa caporedattore, poi, nel 2003 era passato al settimanale Panorama che ha lasciato nel 2015 da capo della redazione romana. Andato in pre-pensione, aveva continuato a scrivere per il sito Formiche.net. Si è sempre occupato di politica, la sua passione, con approfondimenti sui temi della difesa e della sicurezza, ma anche, in incontri e convegni, di deontologia e del ruolo della carta stampata davanti all’avanzata del Web e dell’informazione multimediale. Sul suo profilo Twitter amava presentarsi così: «Giornalista, tennista (nc) emerito e milanista da metà anni Sessanta».
I funerali si terranno domani, a Roma alle 10 in San Lorenzo Bellarmino e alle 15 a San Silvestro all’Aquila.
Angelo De Nicola
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La presentazione al monastero di San Basilio il 23 agosto 2021

Se l’Abruzzo della scienza fa più gola degli arrosticini

Il premier Mario Draghi ai Laboratori del Gran Sassa dell’Infn (foto di Renato Vitturini)

La mia analisi sul Messaggero Abruzzo del 17 febbraio 2022

E se il brand giusto fosse “Scienza, conoscenza e innovazione” e non lo stereotipato “Pasta, borghi e arrosticino”? Il cielo dell’Abruzzo si è tinto di rosa, nella giornata di ieri, non soltanto perchè Mario Draghi è venuto in visita ai Laboratori del Gran Sasso a premiare la scienza d’eccellenza al femminile al grido «più donne nelle scienze!», ma perché sulla regione si è aperto un arcobaleno grosso così per l’attenzione delle “cattedrali” dell’informazione che conta nazionali e, addirittura, internazionali.
Il triangolo del brand “Scienza, conoscenza e innovazione” formato dai Laboratori dell’Infn del Gran Sasso (non a caso quasi sempre meta privilegiata dei Presidenti del Consiglio: 2012 Monti, 2016 Renzi, 2022 Draghi con in mezzo, 2018, il presidente della Repubblica Mattarella), Università dell’Aquila (dell’altro ieri la notizia che Univaq parteciperà, insieme a una cordata di istituzioni e enti nazionali e internazionali, alla realizzazione del primo computer quantistico a ioni intrappolati) e Gran Sasso Science Institute (del Comitato scientifico del Gssi fa parte il fisico sperimentale, premio Nobel, Barry Barish, professore emerito al California Institute of Technology), sembra esercitare un’attrazione magnetica. Molto di più, lo dicono i fatti, dello stereotipo abruzzese che anche nel recente video ufficiale della Regione Abruzzo per l’Expo di Dubai, si affida agli arrosticini, alle “sise delle monache” e alle bellezze dei propri borghi e delle proprie eccellenze naturali (lago di Scanno, montagne innevate, trabocchi…).
Si dirà: è importante anche quello. Certo! Sarebbe sciocco e tafazziano negarlo e dal sapore di “puzza sotto al naso”. Ma bisogna che la classe dirigente abruzzese, nelle sue varie dimensioni e territorialità, prenda atto che “Scienza, conoscenza e innovazione” è uno spot che “buca” e caratterizza, al momento, molto la regione.
Oltretutto con uno straordinario elemento unificante quale è il Gran Sasso: quella che è stata per secoli una barriera insormontabile per unire le diverse anime territoriali abruzzesi oggi, invece, le “tocca” e le unisce. Il Gran Sasso è di tutto l’Abruzzo! E ora anche del mondo. Grazie a quell’intuizione, nel 1979, del fisico Antonino Zichichi, all’epoca presidente dell’Infn, che ebbe l’idea di dotare l’Istituto di un grande laboratorio sotterraneo, nelle viscere del Massiccio, con strutture tecnologiche d’avanguardia per studiare le nuove frontiere della fisica.
Angelo De Nicola
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La morte di Federico Fiorenza

Federico Fiorenza con Gigi Proietti davantio al Teatro Comunale dell’Aquila distrutto dal sisma del 2009

Il mio articolo oggi sul Messaggero

Lo ha ucciso quella testardaggine che è stata la sua forza e la sua debolezza, la sua “cifra”. Federico Fiorenza, nome notissimo non soltanto in ambito teatrale di cui ha fatto la storia non solo all’Aquila, è spirato ieri vittima del Covid che lo ha azzannato a 80 anni. Scettico (anche per certe sue allergie) fino ad apparire No Vax, non aveva voluto sentire ragioni: inascoltate le suppliche di tanti amici che hanno cercato di dissuaderlo, prima che il 5 agosto scorso venisse attaccato dal virus. Anzi, era lui che cercava di convincere chi lo invitava a tenere conto soprattutto della sua età, a non vaccinarsi per i pericoli che questo poteva comportare. Alti e bassi durante il ricovero al San Salvatore alla fine hanno minato un fisico pure molto forte.

Fiorenza portava alla grande i suoi 80 anni. Tanto che non li aveva voluti festeggiare pubblicamente il 10 giugno scorso ma solo con i suoi tanti nipoti, figlie e parenti più vicini. Al che, chi gli voleva bene gli ha organizzato, domenica 13 giugno, una festa a sorpresa al ristorante “da Maria” alla Villetta. Una festa regalatagli, con una sorpresa pensata e organizzata da tempo, con l’affetto e la stima «verso un riferimento e maestro di vita per molti, di diverse generazioni». Federico non si aspettava una messa in scena del genere da parte di amici, rappresentanti dello spettacolo, attori e dei soci del Tra (Teatri riuniti d’Abruzzo da lui presieduto), lui che ne ha organizzate tante nella sua vita. Non riuscì a nascondere la sua commozione per questa manifestazione di affetto. «Sulle tante pergamene di auguri la considerazione evidente è sul calendario e sulla data di nascita: “I Romani hanno aggiunto al calendario i mesi di gennaio e febbraio (vedi Numa Pompilio nel 713 a.c.) quindi caro Federico tu ci imbrogli ed è evidente che la tua reale età è di 67 anni e quelli dimostri con i tuoi cavalli, la mountain bike, le tue corse in montagna, il tuo fisico sempre giovane”». Una festa particolare che è stato un riconoscersi in un comune stile di vita, in una condivisione di valori non solo della cultura, ma di quella più alta che è quella del vivere per festeggiare l’amico che rappresenta un riferimento di etica e di lealtà, di rara umanità e amicizia generosa, un esempio importante, uniti da valori comuni.

CHI ERA
Difficile sintetizzare una vita per la cultura. Dirigente del Teatro Stabile dell’Aquila (Tsa) dal 1969 al 1989 poi direttore Tsa dal 1989 al 2002, poi direttore del Tra (Teatro regionale abruzzese) dal 2003 al 2005, quindi direttore del Teatro Stabile Abruzzo dal 2006 al 2009; fondatore e presidente del Tadua (Teatro accademico dell’Università dell’Aquila) 1966- 1989; produttore per Rai1 e Rai2 del programma in 14 puntate “Storia del Teatro in Italia con Giorgio Albertazzi e Dario Fo”; direttore esecutivo esterni della “Signora Ava” regia Antonio Calenda per Rai1; ideatore e produttore per Rai3 del programma con Albertazzi su Dante; soprintendente e direttore artistico della Perdonanza celestiniana e dei Festival annessi dal 1993 al 1998; ideatore e direttore artistica dei Festival “Estate Mediterranea” di Lamezia Terme dal 1993 al 1998; direttore di edizioni del Festival Mezza Estate di Tagliacozzo, Spoltore Ensemble- Festival di Vittorio Veneto; presidente e fondatore Associazione italiana Iitm dal 1991 al 2005; membro di giuria di diversi Festival internazionali e relatore a convegni e incontri dell’Università dell’area Mediterranea e Balcani; promotore di eventi teatrali al Teatro Sistina, Auditorium Parco della Musica di Roma, Teatro Circus di Pescara per raccolta fondi per Bambin Gesù di Roma e Mensa dei Poveri Celestiniani dell’Aquila- Reparto Leucemie infantili Ospedale di Pescara; drammaturgo, direttore e presidente di varie associazioni culturali e sportive, imprenditore teatrale e televisivo; attore in film produzione nazionale e abruzzese; membro della direzione artistica e presidente Acs Abruzzo circuito spettacolo, presidente del Gran Sasso Rotary e “Priore” nel 2016 della Confraternita dei Devoti di Sant’Agnese.
Angelo De Nicola
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FINALMENTE S’È CONVINTO ANCHE MONS. PETROCCHI

L’arcivescovo dell’Aquila Giuseppe Petrocchi durante l’imposizione del Pallio da parte di papa Francesco (Foto Renato Vitturini )

La mia analisi sul Messaggero di oggi
Dunque, anche il cardinale Petrocchi s’è convinto a invitare Papa Francesco a venire all’Aquila per aprire la Porta Santa di Collemaggio. Come si ricorderà, nel gennaio 2020 l’arcivescovo aquilano aveva ribadito pubblicamente che «quando partiranno i lavori della cattedrale di San Massimo inviterò il Papa a venire all’Aquila». Una dichiarazione che Petrocchi aveva già fatto il 28 agosto 2017, sul sagrato di Collemaggio, subito dopo l’apertura della Porta Santa e più volte l’aveva ripresa.
Un anno e mezzo fa, ci permettemmo di dichiarare il nostro disaccordo. Con tutto il rispetto per il cardinale e senza sottovalutare quanto sia importante la ricostruzione della Cattedrale dopo ben 12 anni, l’invito al Papa va fatto per aprire la Porta Santa. Questo chiedono, invocano, supplicano gli aquilani.
Il punto è nodale, soprattutto dopo il riconoscimento Unesco della Perdonanza. Ebbene, la Perdonanza (e, quindi, il messaggio di Celestino V) è stata certificata quale Patrimonio immateriale dell’umanità. Sarebbe assurdo e contraddittorio che il mondo la riconosce come tale e la Chiesa no, come peraltro è avvenuto fino a oggi visto che, in 727 anni dal quel 1294, nessun Papa, nessun Papa, è mai venuto ad aprire la Porta Santa. E’ arrivato il momento che si superi quell’imbarazzo. Soprattutto alla luce delle dimissioni di Papa Ratzinger, guarda caso l’unico Pontefice a passarci sotto: il “miracolo” purtroppo lo fece il sisma e il 28 aprile 2009, in pellegrinaggio nella città ferita, Benedetto XVI entrò a Collemaggio attraversando la Porta Santa eccezionalmente aperta fuori tempo per lui. Donò il suo pallio sulle spoglie di quel povero cristiano; l’anno dopo, a Sulmona, disse pure che «Celestino seppe agire secondo coraggio e in obbedienza a Dio», altro che “gran rifiuto per viltade”… Sappiamo, poi, come è andata.
Il nostro arcivescovo s’è convinto. Il tempo per la definitiva “riabilitazione” di quel “povero cristiano” di Celestino V è forse davvero arrivato.
Angelo De Nicola
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A Campo Felice storica tappa del Giro D’Italia

L’arrivo della nona tappa del Giro d’Italia 2021 sullo sterrato a Campo Fleice

Ecco la mia cronaca sul Messaggero di oggi sull’arrivo
della tappa del Giro d’Italia 2021 a Campo Felice

ROCCA DI CAMBIO – Certo Bernal non è PantaniCiccone è Taccone (ma magari lo diventerà). Eppure la tappa di ieri, con quel chilometro e mezzo di sterrato di dura salita, passerà alla storia del Giro d’Italia dimostrando che le montagne abruzzesi sono scenario quasi naturale per corse epiche che solo questo sport sa regalare.

A Campo Felice ieri è stata una festa. Nonostante la giornata a dir poco invernale abbia cercato di guastarla. Ma, in fondo, l’atmosfera “alpina” ha ancor di più contributo a lanciare la stazione sciistica le cui piste più in quota erano ancora perfettamente innevate di metà maggio. E non era certo neve artificiale visto che, quest’anno, purtroppo le seggiovie sono rimaste in deposito a causa del Covid.

Si sarà fregato le mani, da lassù, il cav. Aldo Jacovitti che inventò da zero, alla metà anni Sessanta, la stazione invernale di Campo Felice e il turismo a Rocca di Cambio (il Comune più in quota dell’appennino), utilizzando per il lancio proprio il Giro d’Italia del 1965. I suoi “eredi”, il sindaco Gennarino Di Stefano (che è anche direttore degli impianti), il titolare della stazione Andrea Lallini e il maestro di sci Andrea Mammarella, gli hanno fatto onore inventando questo epico arrivo sullo sterrato che ha coinvolto anche la galleria di Serralunga (altra opera, che collega le due valli, voluta da Jacovitti). «Una vittoria di tutta Rocca di Cambio- ha detto Di Stefano- che ha voluto questo evento, dai volonarti alla popolazione. Grazie a loro».

Così l’anonima pista da sci “I gemelli” (parallela alla “Campo Felice”, la classica degli sciatori principianti e di rientro) è ora famosa e potrebbe anche assurgere a “classica” dei prossimi Giri. Di certo, a parte i corridori in testa sospinti dalla voglia di vincere, il gruppone ha fatto fatica e non poco ad arrivare fino su.
E sarà anche per il boom dei rampichini (che hanno inondato dal mattino presto tutte le strade per arrivare a Campo Felice), ma lungo le transenne che seguono lo snodarsi di questa massacrante salita senza nemmeno l’asfalto dei passi alpini, i tifosi, gli appassionati e i curiosi si sono ammassati sfidando il freddo pungente e la pioggia, a tratti mista a nevischio.

L’entusiasmo è salito alle stelle quando all’inizio dello sterrato si sono presentati in pochi corridori, come negli arrivi da leggenda. E molti, a quel punto, hanno sperato che il chietino Ciccone ce la facesse, a casa sua. Ma, come accadde nel 1965 a Vito Taccone, il “Camoscio d’Abruzzo”, nell’arrivo a Rocca di Cambio, anche stavolta uno scalatore abruzzese non ce l’ha fatta.

L’arrivo, nei pressi del rifugio conosciuto come “L’esagono” anche se non ha più quella forma, dove c’è anche il laghetto a servizio dei cannoni sparaneve, è stato preso d’assalto da gente arrivata in mountain bike, a piedi, o con le seggiovie dai due lati, Rocca di Cambio (impianto “Brecciara”) e Lucoli (“Campo Felice”) che hanno funzionato tutto il giorno.
Anche l’enorme parcheggio, che nelle giornate di punta accoglie fino a diecimila persone, era stracolmo. Tanto che per il rientro il traffico è impazzito con le stesse “ammiraglie” bloccate in coda fino a sera. Chissà cosa sarebbe potuto accadere se il sole avesse baciato (come recita il fortunato spot di Campo Felice: “Un mare di neve e di sole”) la giornata…

Questo è il giro d’Itatlia. E ieri, l’Abruzzo, con la tappa tutta all’interno della regione, ha avuto la sua grande vetrina. E le sue strade asfaltate. “Passate anche nel 2022 che ci sono altre buche da asfaltare” si leggeva in un grosso cartello. Viva il Giro!

Angelo De Nicola
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