Volume “I Papi e Celestino V… da Bonifacio VII a Francesco”
(Villa S. Angelo, 19 agosto 2022)
Il nostro Angelo De Nicola, come l’altro giornalista aquilano Bruno Vespa, si va dimostrando anche fecondo saggista e scrittore. Dopo i noti saggi sul caso Perruzza, su Mani Pulite all’Aquila, sulla Scuola Sottufficiali della GdF, sul sisma del 2009, sulla Facoltà d’Ingegneria e in particolare su Don Attilio Cecchini, Angelo si è ormai dedicato alla figura di Celestino V e alla Perdonanza aquilana. Con quest’ultima fatica sui Papi, Celestino V e la Perdonanza fino ad oggi, Angelo intergra e arricchisce di nuovi testi e di nuove intuizioni le sue pubblicazioni che sul tema ha sfornato dal 2005 ad oggi. Restando sempre fedele alla One Group Edizioni, con la quale anch’io posso registrare un lungo periodo di collaborazione e di amicizia.
In quest’ultimo volume, presentata la cronologia essenziale su Pietro del Morrone poi papa Celestino V, De Nicola passa al vaglio la problematica figura del successore Bonifacio VIII, del cui nemico Dante torna a sottolineare giustamente la criticità di attribuzione a Celestino V del famoso ‘verso controverso’ del III Canto dell’Inferno ‘vidi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto’. Con condivisibile acribia, per Angelo, ed anche per chi vi sta parlando che ne ha scritto nel 2012, quell’ombra non si riferisce a Celestino V. Il quale, come anche il Segretario di Stato card. Sodano scrisse nel 1996, non ‘rifiutò’ il papato, vi rinunciò, ma lo aveva accettato, non rifiutato. Chi rifiutò l’elezione al papato fu piuttosto il cardinale Matteo Rosso Orsini, uscito eletto dalle urne nella votazione precedente a quella che poi elesse il Caetani, Bonifacio VIII. Anche Pilato può considerarsi indicato da Dante in quell’ombra. Comunque, direi, con P. Antonio da Serramonacesca, che è stato proprio quel dantesco verso controverso ad aver reso famoso nel mondo papa Celestino V.
De Nicola torna inoltre al problema del ‘chiodo assassino’, per il quale egli sembra rivedere la sua precedente posizione contraria alla tesi dell’uccisione di Celestino, ammettendo ora trattarsi di un ‘mistero travalicato nel mito’. In ogni modo, l’ultima ricognizione delle sue sacre spoglie, nel 2013, ha accertato che il foro del chiodo ha interessato il cranio del Santo dopo avvenuta scheletrizzazione, quindi post mortem, non prima.
Successivamente Angelo passa all’argomento dell’autenticità o meno della bolla della Perdonanza, e qui fa piacere leggere, contro chi come Fabio Maiorano che in un suo recente volume ha sostenuto l’inesistenza di qualsiasi bolla di Perdonanza coeva a Celestino V, fa piacere leggere dico, Angelo De Nicola che condivide quanto Amedeo Cervelli già scrisse nel 1991: che cioè nelle lettere 18 agosto 1295 ai monaci celestini di Collemaggio e al vescovo aquilano, Bonifacio VIII riferendosi specificatamente alll’indulgenza di Collemaggio, ne richiede indietro le litteras confectas dal suo predecessore sull’indulgenza stessa, ciò dicendo “non ammette dubbi sull’esistenza del documento scritto, contenente l’indulgenza”, documento coevo e non successivo a Celestino.
Felice infine, nel testo, l’accostamento che Angelo fa tra Celestino V e Papa Francesco, tra il messaggio di riconciliazione e di pace di Pietro del Morrone e il tema della Misericordia tanto caro a Jorge Bergoglio. Di qui si spiega bene l’inserimento del saggio introduttivo al volume di Don Gino Epicoco: ’Attualità della Misericordia’, con le considerazioni tra il messaggio di S. Celestino V e il magistero di Papa Francesco. Si sa che la misericordia è un tema importante anche nel magistero degli ultimi precedenti papi. È stato per esempio Giovanni Paolo II ad aver istituito la Domenica della Divina Misericordia nella domenica dopo Pasqua. Tuttavia è ben noto che con Papa Francesco la misericordia, assieme alla difesa degli ultimi della società e alla salvaguardia del creato, è assurta ad architrave del suo insegnamento.
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La sezione del libro più importante a livello storico a mio parere è la puntuale rassegna che Angelo ha curato di riportare sugli interventi dei papi circa Celestino e la Perdonanza dal dopo Bonifacio VIII ad oggi. Qui mi permetto un rilievo. Specialmente dal 1983 della ripresa moderna di Perdonanza, trovando sostegni come in quello del prof. Cardini, si sottolinea l’ossessione, l’ostracismo, l’imbarazzo che da parte del Vaticano si sarebbe sempre mostrato nei confronti di Celestino V e della nostra Perdonanza. Di questo anche Angelo si fa eco. Nel leggere la rassegna in parola, però, si constata che nessun papa, dico nessuno, dopo Bonifacio VIII, ha mai espresso un giudizio negativo su Celestino. Ecco i fatti: nel 1313, a soli 17 anni dal suo transito, la Chiesa, papa Clemente V, lo proclama Santo, col nome di Pietro Confessore sappiamo perché; nel 1575 Gregorio IX vuole collocate sul suo trono la reliquia e l’icona del suo santo predecessore; io aggiungo segnalando che nel 1583 circa S. Celestino è affrescato sulla volta della Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano: la pittura mostra il Santo in preghiera nella grotta e l’arrivo dei messi papali e regi all’eremo di S. Onofrio per notificargli la nomina a papa; nel 1657-65 Alessandro VII lo fa includere tra i santi contornanti il colonnato del Bernini in San Pietro; nel 1668 papa Clemente IX decreta denominarlo ‘S. Pietro Celestino’ e ne universalizza il culto liturgico; nel 1896 papa Leone XIII compone per lui versi laudativi in latino; nel 1996 il Segretario di Stato card. Sodano parla della sua rinuncia (non del rifiuto!) al papato come ‘gesto eroico di umiltà’ e come ‘modo, anch’esso, di consumarsi per la Chiesa’. Di Paolo VI nel 1966, di Giovanni Paolo II nel 2001, di Benedetto XVI nel 2009-2010 ed oggi di papa Francesco sono noti gli interventi ampiamente positivi, coi quali essi più che ‘riabilitare’ Celestino, essendosi presentata l’occasione, ne hanno solo approfondito i meriti, il coraggio, l’umiltà e la santità. In concreto, solo e soltanto Bonifacio VIII, per le ragioni che ben si sanno, ha mostrato avversione nei confronti di Celestino e della Perdonanza. Come si vede, non si puo’ insomma continuare nella tesi dell’ossessione, del suo ostracismo da parte dei papi. Che poi mai un papa sia finora venuto ad aprire la Porta Santa non significa nulla. Il papa non è mai venuto semplicemente perché in passato non si è mai pensato di invitare un Pontefice alla Perdonanza. Stavolta il card. Petrocchi l’ha fatto, e il papa viene. Nel mondo cristiano, del resto, vi sono molte altre indulgenze plenarie e Porte Sante: ebbene, nessun papa ha mai presenziato ad altre indulgenze plenarie o aperto Porte Sante fuori Roma. Se l’avvessero fatto altrove e all’Aquila no, allora sì, si potrebbe pensare ad un ostracismo. Al massimo si può ammettere che si possa aver avuto una certa qual riserva psicologica verso Celestino a causa della sua rinuncia – di qui forse la ragione dell’assenza, ad esempio, di un Celestino VI – ma al solo scopo di non dare ansa a ‘chiacchiericci’ su loro eventuali intenzioni dimissionarie, come si verificò per la visita di Paolo VI nel 1966 a Fumone e come si è visto anche adesso nei media per papa Francesco nel venire all’Aquila, chiacchiericcio di cui anche tu Angelo ti fai eco a fine testo.
Colgo l’occasione per un altro rilievo, ed è la lettura diciamo un po’ protestante che assieme ad alcuni altri, tu sembri avere delle indulgenze della Chiesa. Precisiamo le cose. La celestiniana, si afferma, si distingue per essere stata un’indulgenza ‘gratuita’, la prima accessibile ai poveri a differenza di tutte le altre indulgenze che erano ‘a pagamento’, quindi appannaggio dei ricchi. E Celestino V sarebbe stato il primo papa ad aver intrapreso tale meritoria iniziativa spirituale ‘gratuita’.
Questa lettura sarebe indotta anche dalle parole che s. Francesco diresse a papa Onorio III nel 1216, registrate nel cosiddetto Codice o Diploma Teobaldino del 1310: «Prego umilmente vostra santità che vi poniate un’Indulgenza senza oboli», e dalla replica del papa: «Questo, stando alla consuetudine, non si può fare, poiché è opportuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare». A quel tempo, dunque, è vero che le indulgenze erano legate ad una offerta in denaro – parlare sprezzantemente di ‘vendita delle indulgenze’ è appunto una forma ‘luterana’ di vedere le indulgenze della Chiesa e significa anticipare all’epoca di Celestino un effettivo malcostume devozionale che però si manifestò circa 2 secoli dopo.
Com’è noto, tali grazie le si era iniziate ad elargire dal VII secolo in poi a seguito dell’attenuazione dell’originaria disciplina penitenziale quando, per essere riammessi nella comunità cristiana da cui si era stati esclusi a causa di gravi peccati pubblici, si cominciò a dare ai penitenti una, cosiddetta appunto, ‘indulgenza’, commutando parte della pena canonica fino allora pubblica, lunga e molto pesante, in opere più leggere, consistenti in preghiere, digiuni, astinenze, pellegrinaggi, visita ad una chiesa. In seguito, a queste, e sempre a condizione del pentimento e della confessione, vennero aggiunte opere di carità, elemosine ad un monastero, alla costruzione di un ospizio o di un ospedale, opere il cui spirito si desume dalla citata risposta di Onorio III a S. Francesco: «è opportuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare». Vero e iniziale intento di tali indulgenze ‘ad oboli’ fu quindi solamente la promozione di opere caritative, alle quali era possibile, e anche giusto, vi contribuissero i ‘ricchi’. Di qui le opere di assistenza caritativa ed anche le opere d’arte della Chiesa che oggi grazie a quelle contribuzioni abbiamo e che costituiscono l’80 per cento di tutto il nostro patrimonio architettonico-artistico. Anche per l’edificazione di Collemaggio si concessero indulgenze ‘in cambio’ di elemosine in denaro – le cosiddette ‘quarantene’ del 1288, 1289 e 1290 da parte dei vescovi rispettivamente aquilano, teatino e marsicano, e nello stesso 1294 dell’incoronazione di Celestino V quelle del vescovo di Rapolla per il monastero – tutte pacificamente accettate da Pietro del Morrone. Qui si trattava di indulgenze parziali. Dal tardo sec. XI i papi, eccezionalmente, avevano cominciato ad accordare la remissione totale della pena dovuta per i peccati – l’indulgenza plenaria – a chi andava a combattere contro i turchi in Terrasanta, i mori in Spagna, i saraceni in Sicilia e, da fine ‘200 e inizio ‘300, anche a chi, non in grado di prender parte alla crociata, avesse finanziato con offerte in denaro la crociata degli altri. Fu solamente in seguito che molti fedeli, male interpretando le parole di predicatori troppo zelanti, cominciarono a credere che l’indulgenza potesse lucrarsi per sé e per i propri defunti anche solo facendo un’offerta in denaro, senza obbligo di pentimento e di confessione; di qui gli abusi e la ribellione di Lutero nel 1517.
Quanto all’originario autore della prima indulgenza plenaria, è da notare, per sé la prima indulgenza diciamo ‘gratuita’ e universale dopo quella del 1095 per la crociata fu quella della Porziuncola nel 1216, non quella celestiniana, ed il primo papa che la concesse non fu Celestino V bensì, come sopra riferito, Onorio III. Non si deve eludere la verità storica al pur comprensibile scopo di esaltare papa Celestino V che donò l’indulgenza. Celestino brilla di luce propria. E in genere occorre anche evitare la demonizzazione di papa Bonifacio e della Chiesa-istituzione di quel tempo: se si fa il deserto attorno a Celestino pensando di farne emergere meglio la figura gli si fa torto, lo si sminuisce invece di esaltarlo.
Mons. Orlando Antonini