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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 2

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«Cardinale Carlo Confalonieri... quello della maschera di cera di Celestino V. Dovrei capire qualcosa?... Oddio che fiacca!». La Via Crucis di Roio, alla periferia della città, una mulattiera immersa nel bosco tutta in salita, particolarmente erta per la verità, era appena cominciata ma il signor Giacomo aveva già il fiatone. L’aria fresca del mattino, intrisa di rugiada, gli penetrava nei polmoni fino a farlo ansimare.
«Un po’ d’esercizio fisico non potrà che farle bene. La vedo davvero a terra».
«Caro sovrintendente...».
«Non sono più il sovrintendente alla Perdonanza, gliel’ho già detto».
«Per me lo sarà sempre. Dicevo... Mi aveva parlato di una passeggiata. Questa mi pare una scalata all’Everest!».
«Ma quale scalata! Si tratta di una normalissima via Crucis della quale abbiamo passato la prima “stazione” dedicata, come lei ha letto nella targa, al nostro Confalonieri. Un sentiero suggestivo, certo, ma niente di impegnativo. La percorrono anche persone anziane e quei patiti che vogliono mantenersi in forma l’affrontano addirittura di corsa. Una volta ci riuscivo anche io a percorrerla al piccolo trotto: piano ma senza mai fermarmi. Bei tempi!».
«Confalonieri.... Siamo qui per lui o no?».
«Discreto intuito. Ma non è solo per il nostro Cardinale bensì anche per la nostra amica...».
«Nostra? La sua, vorrà dire. Io non amo flirtare virtualmente. Se devo fare la corte ad una donna, la faccio vera, in carne ed ossa, con un bigliettino scritto rigorosamente a mano, infilato tra un mazzo di una dozzina di rose. Altro che e-mail...».
«Le ho detto che non c’è alcun flirt. Nessuna storia d’amore, nemmeno virtuale, che lei può psicanalizzare col suo rozzo modo di pensare...».
«Ehi, ehi. Non si scaldi! Mi pare che lei abbia la coda di paglia».
«Mi scusi. Il fatto è che sono teso come una corda di violino. Questa storia mi sta snervando. Già la vicenda della maschera di Celestino mi ha mandato in tilt facendomi perdere se non tutto, molto di quello che avevo costruito in anni e anni di duro lavoro. Ora ci si mette questa tizia a farmi uscire di testa».
«Può sempre tenere spento il suo computer. Non aprire le e-mail. Cambiare indirizzo di posta elettronica. Fare una denuncia per molestie alla Polizia postale: se vuole, le scrivo io il testo. Insomma, ha mezzi per difendersi da questa pazza».
«Per favore non la chiami “pazza”. In fondo non merita il nostro disprezzo. Non so nemmeno chi è, che faccia ha, se esiste davvero o se, invece, è creatura partorita da una mente perversa. No, non posso chiudere con lei. E’ come una droga: aspetto le sue e-mail come un innamorato aspetta i messaggi d’amore della sua amata».
«Lo vede, è amore... Lo dicevo, io!».
«La smetta! Ora che le racconterò certe cose, anche lei perderà la testa perché, ne sono certo, quella maschera è anche il suo chiodo fisso».
«Su questo non posso darle torto. Sentiamo...».
«Si tenga forte: partiamo da un anagramma».
«No, ancora gli anagrammi. Ma è una persecuzione!».
«Rifletta: proprio gli anagrammi. Quel gioco dell’oca che ci ha fatto impazzire e che, però, siamo stati capaci di decifrare. Anche se poi siamo rimasti con un palmo di naso».
«Dunque, la sua fidanzata virtuale potrebbe essere l’entità che ci ha fatto impazzire e ci ha fregato... Niente musulmani, niente scenari da terza guerra mondiale, niente scontro di religioni e nuove crociate, ma una donna, una semplice donna...».
«O magari una complice. Oppure, e questa è la mia impressione, la mia “amica” soltanto qualcosa. Oppure ha visto qualcosa. O ha sentito qualcosa. E ci vuole, forse, mettere sulla strada giusta guidandoci per mano».
«Come è arrivato a questa ”impressione”?».
«Da quello che la mia “amica” mi scrive».
«Facciamo un passo indietro, ricominciamo daccapo: cosa le scrive la sua fidanzata?».
«Scrive di se stessa. Lunghi, interminabili testi di chi non sa come e con chi sfogarsi».
«Una donna sola...Un’anziana...».
«No. Ho già fatto questa ipotesi. Lei mi ha detto di aver superato la mezza età».
«Sposata?».
«No».
«Una depressa, allora...».
«Direi più un’invasata».
«Invasata?».
«Sì... invasata. Fa strani discorsi. Collega eventi grandi e piccoli agli eventi della sua vita. Sostiene di aver visto... la luce. E’ una patita di Collemaggio e della sua simbologia... è appassionata alla follia della figura di Celestino V... Su questi argomenti sa moltissimo e me ne scrive a fiumi. E, poi, adora gli anagrammi».
«Anagrammi, appunto. Perché non potrebbe essere stata proprio la sua fidanzata a prendersi gioco di noi?».
«Ho avuto anch’io questo sospetto. Ma è troppo banale. Io credo alla mia ”amica” quando sostiene di volermi aiutare perché solo lei sa...».
«Sa che cosa?».
«Se ho capito bene, sa chi ha rubato la maschera di Celestino».
«Eh no! Un intero apparato di sicurezza, indegnamente coordinato da un miserabile quale sono io, viene messo in scacco e, poi, arriva una mezza matta che sa tutto? No, non ci credo. Anzi, credo che lei sia uscito di testa, ancora una volta, appresso alle sue visioni. Ai suoi sogni. Alle sue sconfitte...».
«Ha finito?».
«No, Cristo! E mi ci fa venire qui a sentire queste fesserie? Dopo tutto quello che ho passato, non me lo merito. Non-me-lo-me-ri-to».
«Ha finito?».
«Sono arrabbiato nero».
«Se ha finito di insultarmi, vorrei mostrarle l’ultima e-mail in cui, all’improvviso, è apparso un anagramma».
«...Che lei ha già disanagrammato. Poi ci sarà un altro anagramma. E poi un altro. Ed un altro ancora. Conosco già questa tiritera. Non ci sto. Basta! Ne ho le tasche piene».
«Ok, ho capito. Le chiedo scusa per averla incomodata. Pensavo che le potesse interessare cercare di capire cosa è accaduto. Io ho trovato una traccia. Anzi, diciamo che la traccia ha trovato me. Non sono un investigatore e, dunque, non so valutare se la traccia è buona o meno o se, peggio, è una trappola. Ho pensato di rivolgermi a lei, un professionista ed un amico. Siamo stati sulla stessa barca. Si ricorda? ”Se affondo io, affonda pure lei...”. Così mi disse il grande poliziotto che ho conosciuto. Ho valutato male. Vuol dire che andrò avanti da solo. Io voglio sapere, a costo di essere preso per i fondelli da una mezza matta. Bye bye, James Bond!».
Il sovrintendente, con fare deciso, aveva imboccato la salita. I due si erano fermati a discutere davanti alla ottava stazione (”Terzo Mistero Doloroso”) della Via Crucis, un punto dal quale si scopre un magnifico panorama della città. Il signor Giacomo, rimasto con un palmo di naso dopo lo scatto del sovrintendente, stette a guardare a lungo quel presepe addormentato sul colle che rifulgeva al sole per le pietre bianche degli antichi palazzi. Guardò a destra e vide la spianata che subito riconobbe: Bazzano. Gli rivenne in mente quel Fortebraccio che tanto odiava perché, fin dall’inizio, era stato presagio di sconfitta. Si girò di scatto ed inforcò pure lui la salita.


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