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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 1

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«Due anni... Stento a crederci. Sono passati due anni...».
«E questa città è rimasta la stessa. Sempre la stessa. Carissimo il mio signor Giacomo, quando mi dissero che anche la venuta del Papa per la Perdonanza non avrebbe comportato sconvolgimenti in questa nostra città, pensai al solito disfattismo. E’ andata proprio così. Come se nulla fosse accaduto!».
«Immota manet, me lo ha insegnato lei».
«E già...».
«Immota manet, tranne che per noi due».
«E già... Siamo diventati due celestiniani. Dimissionari e certo non per un nostro ”gran rifiuto”. Direi che siamo stati giubilati, bonifaciamente giubilati...».
«Dopo quello che è successo, io non avevo vie di scampo. Le dimissioni dall’incarico nei Servizi segreti erano l’unica uscita di sicurezza dopo un fallimento di quella natura: farmi decapitare le spoglie di un Papa sotto il naso... Che figura! Lei, piuttosto, non aveva alcun obbligo. Non sarà stata mica colpa del sovrintendente alla Perdonanza?».
«Certo che no, anche se pure io mi sono fatto sfilare la Bolla Celestiniana da sotto il naso. Ma le polemiche che sono seguite mi hanno ferito. Molti se la sono presa con il sovrintendente, come se quelle spoglie le avessi rubate io. Qualcuno, addirittura, mi ha anche rimproverato di aver fatto venire il Pontefice... ”Se non fosse venuto il Papa, Celestino V non avrebbe avuto guai” hanno detto e, soprattutto, scritto sui giornali. Ma si rende conto?».
«Non l’ha difesa nessuno? Il sindaco, il vescovo?...»
«Ma va! Solo, come un cane. Come se l’evento fosse il mio, ma solo nel male. Allora, meglio le dimissioni: con certa gente io non voglio lavorarci più. Se la sbrigassero loro. E mi pare che la passata edizione sia stato un clamoroso flop. Quest’anno, credo, sarà persino peggio. Dovranno rimpiangermi».
«In fondo siamo stati vittime della maledizione che sembra colpire chi si occupa di Celestino. Lei più di me, visto che ha subìto conseguenze gravi a causa, peraltro, dei miei errori».
«Ma quali errori! Ne parlammo già a caldo. Più di quello che abbiamo fatto non potevamo proprio fare. Come potevamo capire che invece di attentare al Papa, si voleva colpire Celestino V fino a decapitarne, novello Giovanni Battista, le spoglie? E’ stata una cosa più grossa di noi, tenuti in scacco da menti superiori».
«In fondo, siamo stati fortunati».
«Fortunati?!».
«Ma sì! Vivendo da vicino, attraverso un’incredibile gioco dell’oca, tutta quella vicenda abbiamo avuto il privilegio, almeno io, di entrare in sintonia con un personaggio, Celestino V, di cui ignoravo addirittura l’esistenza. Grazie soprattutto a lei, amico mio, ho potuto apprezzare l’attualissimo messaggio celestiniano facendo un’esperienza umana ed intellettuale unica. Irripetibile».
«Beh, anche per me averla conosciuta è stato un privilegio...».
«Le sue parole, sincere ne sono sicuro, mi ripagano di tante amarezze. Non è tanto il fatto che mi abbiano relegato in un Commissariato di provincia dove sostanzialmente mi occupo di dirigere il traffico, che peraltro non c’è, quanto le modalità del benservito. Trattato come un calzino vecchio e bucato. Nessuno, dico nessuno, nemmeno tra quelli che credevo amici, mi ha espresso la benché minima solidarietà. Nemmeno una telefonata».
«Ah, la solidarietà...».
«Per non parlare dei pettegolezzi. Dalla Prefettura di questa città è uscita una relazione riservata in cui mi si è descritto come ”soggetto dedito a grandi abbuffate e dalle frequenti alzate di gomito”. E solo per qualche bicchierino di genziana....».
«A proposito di genziana! Avendo un po’ recuperato il mio tempo libero, mi sono impratichito nel cercare, in montagna, le radici così da poterne produrre, in proprio, qualche bottiglia. Perché, domani mattina, non andiamo insieme per genziana?».
«Magari...».
«L’avverto: è vietato coglierne le radici».
«Promesso: non le faccio rapporto».
«Vedo che si lascia corrompere facilmente... Sono contento che lei abbia accettato l’invito di venirmi a trovare. Ho bisogno di raccontarle un po’ di cose».
«Piacere mio. Un po’ di cose? Su cosa?».
«Quando tenta di assumere la fisionomia del finto tonto, lei diventa comico. Su cosa, secondo lei? Come me, ne sono certo, lei non ha altro pensiero. Sennò cosa sarebbe tornato a fare qui, sul luogo del delitto, due anni dopo? Certo non per affetto nei miei confronti».
«Sono due anni che ogni giorno, almeno una volta al giorno specialmente di notte quando cerco di chiudere gli occhi, non penso ad altro. Ho rifatto centinaia, migliaia, forse milioni di volte tutto quel maledetto ”tour”. Ho messo sotto la lente d’ingrandimento ogni passo, ogni particolare, ogni interpretazione. Le carte di cui sono in possesso, comprese quelle sue maledette schede stampate da internet, si sono consumate per le troppe volte che le ho scartabellate. C’è qualcosa che non va. E’ come se mi sfuggisse qualcosa, un particolare, una chiave di lettura. Ed ho come la sensazione che chi ci ha dato scacco matto avesse voluto lasciarci una traccia per poterci mettere sulla strada giusta. O che, al contrario, abbia sbagliato in qualcosa e noi non siamo stati capaci di cogliere questo passo falso. Una maledizione... Ogni notte. Tutte le notti».
«E’ di questo che voglio parlarle. Di alcune mie sensazioni. Anch’io ho studiato e ristudiato la vicenda. Nulla. Alla fine è come se avessi davanti agli occhi uno schermo bianco: l’immagine scorre ma non ha alcuna connotazione. Poi, un mesetto fa, la sorpresa. Perciò mi sono deciso a telefonarle per invitarla a trascorrere qualche giorno di vacanza qui da me».
«Ha visto qualche ombra sullo schermo bianco? Suvvia, non mi faccia stare sulle spine. Parli! Sono appena le 23: la notte è lunga e ci vorrà del tempo per digerire gli ”strozzapreti alla contadina” e l’agnello scottadito. Nemmeno la mia trattoria preferita è mutata di una virgola nonostante il cambio di gestione: immota manet. Evidentemente non gli abbiamo portato fortuna...».
«No, ora ho da fare».
«A quest’ora? Studi? Libri?».
«Non proprio».
«Non mi dica...».
«Cosa?».
«Una donna...».
«Se permette, sono fatti miei».
«Abbiamo vissuto gomito a gomito per quasi tre mesi ma mai un accenno, mai un cedimento, mai una telefonata sotto voce...».
«Ha spiato anche me? Mi pare con scarsi risultati. Non sono nell’età di correre dietro alle gonne. Ho già dato (e raccolto poco, molto poco)».
«C’è una donna nella sua vita, dunque».
«Non esattamente».
«Non mi dica che è un uomo...».
«E’ una donna, una donna...».
«Avevo ragione io! Nonostante mi abbiano messo in naftalina, ho ancora un discreto fiuto. Dovevo venire qui per tornare a sentirmi vivo. La ringrazio proprio dell’invito...».
«Prego. Ma non è come pensa lei. Si tratta di un’informatrice».
«Informatrice?».
«Sì, informatrice nel senso che mi dà informazioni».
«Su cosa?».
«Su quello che interessa me e, credo, anche lei».
«Ma va? E cosa le racconta la sua informatrice?».
«Sembra sapere molto. Forse sa tutto. Ma non vuol parlare. Ha paura. Non so di chi e di che cosa, ma ha una paura fottuta».
«Parliamoci con questa informatrice. Staniamola. Facciamole dire quello che sa. So come far parlare la gente, quando voglio».
«Magari poterci parlare».
«Cioè?».
«Ci ”parlo” soltanto via e-mail. Da un mesetto, quasi tutte le sere, mi scrive strani messaggi per posta elettronica. Tra i molti, farneticanti scritti mi ha fatto capire che sa qualcosa sulla nostra maschera, la maschera di Celestino».
«Potrebbe essere chiunque che scrive da un indirizzo e-mail qualunque. E come fa a dire che è una donna?».
«Me lo ha scritto lei. A volte mi racconta, per perifrasi, la sua vita. A volte mi scrive e-mail lunghe come romanzi. Struggenti. E’ una grafomane. Ma non è matta, ne sono certo».
«Oh bella! Il sovrintendente ostaggio di un fantasma...».
«Sono l’ex sovrintendente».
«Io l’avrei fatta sovrintendente a vita».
«Qui in città non la pensano così... Ci vediamo domani mattina. Sul presto, diciamo alle 8: un caffè e si parte. La porto in montagna».
«Ok, a domani. La lascio all’appuntamento con la sua bella. Una donna fantasma... virtuale... Lei è matto!».
«Già, i miei fantasmi!».


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