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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 3

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«La chiamano Via Crucis perché, dopo questa salita che non molla mai nemmeno per un centimetro, il pellegrino vede apparirgli al fine la Madonna....».
Il sovrintendente non rispondeva.
«Beh, lei ci avrà di sicuro già parlato con la Vergine. Magari, nel frattempo che la raggiungevo io, le ha scritto anche una e-mail. Che programma di posta elettronica usano in Paradiso? Sette, ben sette Stazioni ho passato da quella in cui c’eravamo fermati. Ho attraversato tutto il Mistero Doloroso e tutto quello Glorioso: alla fine l’ho vista pure io la Madonna. In questa Stazione cosa c’è scritto? ”In memoria di Maria Rusconi, vedova Confalonieri”. Ancora questo Confalonieri. Che pizza...».
«Non sia blasfemo. Abbia un po’ di rispetto!».
«Ho rispetto, ma solo per lei. In fondo siamo stati messi dal destino sulla stessa barca. Non la posso lasciare da solo in balia della sua amica. Che forse tiene bottone ad un gruppo di mezzi pazzi».
«Dunque, ci ha ripensato».
«A caso ripensato, dieci anni di galera...».
«Nessuno la costringe...».
«Mi arruolo volontario nei missionari di Celestino V».
«Missionari? L’ha detto a caso?».
«Certo che no: le ho letto nel pensiero».
«Vedo con piacere che ha ripreso spirito! Volevo dire che siamo venuti qui a Roio anche ad onorare un grande missionario».
«Ma non eravamo venuti per cogliere la genziana?».
«Era una scusa: ero certo che citare il suo liquore preferito l’avrebbe attirato. Come ha scritto la Prefettura nella relazione?».
«Non è leale da parte sua».
«Suvvia, sto scherzando. Qui le radici di genziana non ci trovano: siamo ad una quota troppo bassa».
«Eppure mi sembra di avere scalato una vetta himalayana».
«Ci andremo in alta montagna a trovare le radici di genziana. Ora ci vuole un bel caffè. Ma prima devo mostrarle una cosa».
«Basta di salire! Ho finito la benzina».
«Stia tranquillo, siamo arrivati. Qui, dopo l’ultima Stazione della via Crucis e poco prima del centro abitato, c’è questa strana pietra. Vede?».
«”E’ pia tradizione che su questa pietra si sia inginocchiato il giumento che trasportava la sacra immagine della Madonna di Roio quando i pastori si recarono dalle Puglie in Abruzzo. Nel giugno del 1961 fu rimossa dal mezzo della Via Mariana e qui sistemata a perenne ricordo”. Che significa?».
«Ritengo sia un segnale molto importante».
«Non capisco».
«E’ normale. Lei non ha tutti i parametri per capire».
«Mi perdoni, Maestro. Può aiutare questo suo umile allievo ignorante?».
«Un giumento che si inginocchia... non le ricorda nulla».
«Gli elefanti che lo fanno al circo. Ma non credo che c’entri».
«Ricorda una certa storia sulla Porta Santa di Collemaggio?».
«Sì, l’incubo del 28 agosto di due anni fa: ho ancora negli occhi il bagliore della luce che penetrò nella basilica di Collemaggio quando si aprì quell’enorme portone cigolante».
«Eppure le raccontai la questione secondo la quale non si spiega facilmente il fatto che la Porta Santa sia l’entrata secondaria nella basilica e non quella principale dove, con ogni probabilità, Celestino V passò per essere incoronato Papa in quel 29 agosto del 1294».
«Ricordo che lei mi citò la storia del primo trafugamento delle Sacre Spoglie, da Ferentino, compiuto dai frati celestini con uno stratagemma...».
«Esatto. Quando il giumento, sfinito, arrivò nei pressi della basilica, si sarebbe inginocchiato davanti all’attuale Porta Santa. Un segno del Signore. Così almeno venne interpretato».
«Perbacco. La sua fidanzata l’ha, dunque, portata qui non a caso».
«Esatto. Sediamoci qui all’angolo, c’è un bar. Mentre ci portano un bel caffè...».
«Preferirei un ”orzo cream”».
«Non è posto, questo, da orzo cream! Dicevo che mentre aspettiamo e ci godiamo un po’ di sole, le illustro come la nostra “amica” ci ha guidato fin qui».
«Sentiamo...».
«Ho dovuto ragionarci sopra parecchio...».
«Si vede... le fumica il cervello».
«Ma no: è il sudore che evapora al calore del sole...».
«Avrei giurato che fossero sovraccarichi gli ingranaggi... Sentiamo...».
«La mia fidanzata, come la chiama lei, scrive; io le rispondo. Lei fa accenni; io cerco di scavare. Lei mostra di sapere; io spigolo. Tira e molla, molla e tira, all’improvviso mi invia una frase indecifrabile».
«E così ha pensato all’anagramma...».
«Come potevo non pensarci?».
«Primo appunto a verbale: la sua amica, ovviamente, sapeva che lei sapeva».
«A questa conclusione c’ero arrivato anch’io. Dicevo... la frase l’ho subito copiata qui su questo taccuino. Eccola: ”Alleggeriate un rozzo insolito”».
«Spari l’anagramma, non perdiamo tempo».
«L’anagramma è: ”Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto”».
«Buio pesto: sembra un’altra frase da anagrammare».
«Non per me».
«Ci avrei giurato, Maestro!».
«E’ lui, inequivocabilmente».
«Lui chi? Celestino V?».
«Ma no! E’ Dante. Il Sommo Poeta. L’Alighieri. Per via della questione del ”gran rifiuto” ho studiato a fondo la Divina Commedia. Certo, uno studio da neofita. Quel poco che mi è bastato per farmi accendere subito la lampadina quando ho letto il verso. Con internet, poi, ho fatto il resto. C’è un sito in cui basta digitare una determinata parola e, in un decimo di secondo, sei alla terzina corrispondente della Divina».
«E la terzina cosa dice?».
«Purgatorio, Canto II. Eccola:
”Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto
lo cui meridïan cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;”
«Bene: Gerusalemme è la parola chiave. Ma cosa c’entrano la via Crucis, i missionari, il giumento che s’inginocchia?».
«Felice per aver avuto l’intuizione che la frase fosse un verso della Divina Commedia, sono però subito caduto in depressione. Non riuscivo a capire. Ho studiato. Ho riesumato tutte le mie sudate carte. Ho analizzato per l’ennesima volta la vicenda a noi ben nota. Alla fine ho capito».
«Stringa...».
«Il Golgota».
«Non capisco».
«Il Golgota, il Calvario insomma. Noi ci troviamo sul monte sul quale Gesù Cristo venne crocifisso».
«Noi? Qui? Me la deve spiegare: proprio non ci arrivo».
«Segua il mio ragionare. E, soprattutto, valuti se le sembra la strada giusta. Allora: nell’ultimo biglietto che abbiamo disanagrammato, quello trovato non a caso dentro la pantofola della reliquia del nostro Santo, c’era scritto: ”Il vero volto della pace è a Gerusalemme”. Oltre la questione della Pace, la frase punta sia sulla parola ”volto”, cioè con tutta evidenza la maschera, di cera, fatta con un calco del volto del Cardinale Confalonieri, e sia sulla parola ”Gerusalemme”, cioè la Città Santa la cui antica pianta, secondo alcuni, avrebbe ispirato l’iniziale edificazione di questa nostra città. Gliene ho già parlato».
«Beh, altre parole la frase non dice...».
«Sto ragionando...».
«Ho risentito un rumore di ferraglie...».
«Orbene, quale è il monte di Gerusalemme oltre il fiume Giordano?».
«Ho sempre odiato gli indovinelli...».
«Il monte Calvario, il Golgota dove Cristo venne crocifisso. Se tanto mi dà tanto, io credo che è il monte di Roio il nostro Golgota oltre il fiume Aterno. Tanto più che alcuni cavalieri Templari avrebbero considerato questo monte come tale».
«Ci risiamo con i Templari! Scommetto che lei ha una delle sue diaboliche schede tratte da internet...».
«Ne ho portate tre, anzi quattro. Le stavo per leggere la prima. Mi ascolti bene: ”Un’antica leggenda racconta che un pastore, Felice Calcagno, oriundo di Lucoli, cittadina qui a due passi, avendo smarrito il gregge affidato alla sua custodia e temendo un gran castigo dai suoi padroni, supplicò fervosamente la Vergine perché lo soccorresse in così dura situazione. Mossa a pietà, la Regina del cielo apparve al pio pastore in forma di una donna con il suo Gesù fra le braccia e cortesemente gli precisa dove si erano rifugiate le sue pecorelle. All’insolito miracolo il pastore rimase statico, riprendendosi dallo stupore e ritrovando il gregge nel posto indicato dalla Vergine, Felice Calcagno, pieno di gioia riferì il prodigio agli altri pastori. Mossi tutti da forte curiosità, si recarono in quel luogo e trovarono una statua a grandezza naturale, uguale a quella che il pastore aveva scorto nell’ignota Signora che gli apparve. Nel dicembre 1578 i pastori presero la statua con venerazione e la portarono nella loro capanna con la ferma intenzione di collocarla in una chiesa di Lucoli. In primavera, tempo in cui dalla Puglia si faceva ritorno nelle montagne d’Abruzzo, i pastori collocarono la miracolosa statua su un mulo, si avviarono per far rientro dalla transumanza...».
«... Transumanza, proprio come dice la lapide posta a ricordo della pietra su cui si è inginocchiato il giumento».
«Esatto... Continuo: ...”Arrivati, dopo alcuni giorni di viaggio, presso la croce del castello di Roio, davanti alla chiesa di San Leonardo, il mulo piegò le ginocchia e non volle più proseguire, dando così, la Madonna, un primo segno ai pastori del luogo dove voleva essere collocata. La statua fu portata a spalla fino alla vicina Lucoli e la deposero nell’Abbazia di San Giovanni Battista...».
«Ancora il Battista! Questo San Giovanni è un’altra persecuzione: Celestino V sceglie per farsi incoronare Papa il 29 agosto, giorno di San Giovanni; la reliquia del dito indice del Battista che non si trova più a Collemaggio. Ancora lui...».
«Non ci avevo pensato. Ma credo sia solo una coincidenza. Mi faccia finire la scheda: ”...La mattina seguente la statua miracolosa non era più lì: prodigiosamente se ne era tornata a Roio, vicino al luogo dove si era prostrato il mulo. E fu allora che gli abitanti di Roio lieti di così prezioso tesoro edificarono in onore della Madonna il grazioso ed artistico Santuario intitolato Santa Maria della Croce».
«Non vedo cosa c’entra con il Calvario».
«Ci sto arrivando, non abbia fretta: ”...L’arcivescovo Carlo Confalonieri visitava il Santuario ogni prima domenica del mese, guidando un folto pellegrinaggio di aquilani. Fece restaurare il Santuario, estasiato dalla sua bellezza, e la domenica 22 novembre 1942 si inaugurarono i detti restauri felicemente compiuti nell’interno del Santuario; e, a conclusione del numeroso pellegrinaggio, fu confermata definitivamente la pratica di salire al Santuario per il sentiero boschivo, recitando il Rosario intero, intercalato da canti religiosi. Il sorriso di uno splendido sole, dominante in un cielo meravigliosamente sereno, sopra lo scintillio del purissimo manto di neve sceso nella notte su tutta la superba conca che ospita la città, si ebbe come segno che la Madonna gradiva quell’omaggio filiale. Fu aggiunta anche la pratica della via Crucis, che dal Poggio sale fino alla vetta di Monteluco ove sono collocate le Tre Croci: sembra ad opera di cavalieri crociati (Templari?) di ritorno dalla Terra Santa”...».
«Eccoli ... arrivano i nostri. Quando ci sono di mezzo loro, c’è da tremare».
«...”di ritorno dalla Terra Santa che riconobbero la spoglia collina di fronte alla città simile al Golgota sovrastante Gerusalemme”».
«Spoglia? Ma se è una foresta di pini...».
«Il rimboschimento a conifere è recente, credo di inizio Novecento, fatto con il dichiarato scopo di creare un ”polmone” verde per la città. Se ci riflette la parte più alta della collina, Monteluco appunto, è completamente calva».
«Il ”più alto monte” del verso di Dante che cita Gerusalemme. Geniale!».
«Dante, per la verità, cita il ”suo più alto punto” e non monte e si riferisce, dicono gli interpreti, allo Zenith».
«Ma la sua amica ha lanciato un messaggio facile facile».
«Facile? Ci ho messo un mese per capirci qualcosa!».
«C’è altro nelle sue schede? Non ha detto che di schede ne aveva quattro?».
«Arriva la seconda... ”Nel Santuario, vera gioia a vedersi, cominciò quella domenica del 1942”...»
«Sovrintendente, 1942 è una posposizione di 1294, anno dell’incoronazione di Celestino a Collemaggio».
«Mi pare che lei si stia facendo prendere la mano. Ascolti... “cominciò quella domenica una vita nuova per tutta la Diocesi, che l’Arcivescovo Confalonieri consacrò, prima fra le Diocesi d’Italia, al Cuore Immacolato di Maria: dolce e promettente primizia dopo la consacrazione del mondo fatta dal Papa la sera del 31 ottobre a chiusura del giubileo dell’apparizione di Fatima. Fra l’estatica attenzione della folla, dopo una breve illustrazione della storia passata e recente del Santuario di Roio, fu delineato lo sviluppo futuro previsto come in radiosa visione per quel venerato luogo, che, di fronte al Gran Sasso d’Italia, doveva diventare il Monte Santo della Madonna: il sentiero di accesso, dalla valle al poggio, avrebbe assunto il carattere di Via Mariana del Rosario, fiancheggiata da quindici artistiche edicole in pietra locale coi Misteri in mosaico; continuata, oltre il Santuario, da analoghe edicole della Via Crucis. C’era inoltre un’interiore sicurezza che la Provvidenza avrebbe mandato i mezzi occorrenti al restauro dell’annesso antico convento, e fors’anche per il riscatto della restante parte del fabbricato che, purtroppo, era passata in proprietà privata a seguito delle leggi eversive. Si pensava di potervi poi utilmente aprire un Orfanotrofio per i figli dei Caduti. Si aggiunse (e per quale ispirazione?) che forse il 1944 avrebbe veduto la nuova incoronazione della statua della nostra Madonna di Roio, augusta Castellana d’Italia. Venne infatti il 1944, dopo più intensi dolori di guerra, ma anche col respiro della liberazione, avuta per la città nel mese di giugno. I cittadini, riconoscenti alla Madonna per lo scampato pericolo e grati al loro Arcivescovo per aver salvato la città da totale distruzione, si ricordarono del voto fatto nel lontano 1942 e vollero incoronare di aurea corona la sacra effigie della Madonna di Roio. La domenica 8 ottobre, la benedetta Immagine venne portata processionalmente alla Cattedrale ove rimase esposta alla venerazione dei fedeli che affluivano incessantemente per tutta la settimana. La domenica 15, la più vicina alla festa della Maternità di Maria, sotto un cielo incomparabilmente limpido, nello sfoggio del più bel sole, al tepore di un clima primaverile, sul vasto piazzale del Duomo, rigurgitante di clero, di autorità, di popolo, presenti le rappresentanze di tutta la Diocesi e un gruppo cospicuo di prelati romani, l’Arcivescovo con solenne rito poneva sul capo del Divino Bambino e della Madre Sua l’aureo diadema. Il 25 giugno 1961 l’Eminentissimo Cardinale Carlo Confalonieri, l’antico amato Pastore, poté solennemente sciogliere gli altri due voti, emessi nel turbinoso periodo bellico. Venne così inaugurato il grandioso Istituto Santa Maria della Croce, retto dalle Suore Serve di Maria Riparatrici, che fa degna corona al Santuario, e le quindici graziose cappelle del Rosario inquadranti le immagini dei Misteri, egregiamente lavorate nello Studio Vaticano del Mosaico. Da quel giorno l’alpestre stradicciuola venne chiamata Via Mariana”».
«Guerra e Pace a Roio, il ”Calvario in sedicesimo”».
«Se lei non crede, o crede poco, ciò non l’autorizza ad essere blasfemo».
«Non è questione di essere blasfemi. E’ che questo lungo inno alla Madonna me lo poteva risparmiare. Non mi parte pertinente: lei, a volte, parte un po’ per la tangente. Perdiamo tempo e fatica. Io non l’ho interrotta ma...».
«Ha finito la filippica?».
«Non faccia il solito permaloso».
«E’ pertinente eccome! Questo culto della Madonna ha portato qui il Papa».
«Il Papa? Qui? Non ne ho saputo niente».
«Non l’attuale Pontefice ma Giovanni Paolo II. Venne qui lo stesso giorno del famoso discorso sul sagrato di Collemaggio. Si ricorda, parlammo di quel discorso in cui “il padrone di casa” Celestino V non viene mai nominato».
«Come non me lo ricordo! Quella mancata citazione grida vendetta».
«Il mio arcivescovo mi ha sempre rimproverato per aver sempre sottolineato la questione della mancata citazione del nostro Eremita in quel discorso papale. Lui dice che non ci fu malizia. Che fu una semplice dimenticanza, nulla di concordato, dei collaboratori che scrissero il discorso al Santo Padre».
«E tra tante citazioni dimenticarono di citare proprio il nome del padrone casa! Mi sembra davvero strano... E’ più credibile che Celestino V dia ancora fastidio. Se non fastidio, almeno imbarazzo per quelle sue clamorose dimissioni».
«Venga, le voglio far vedere una cosa. Intanto ritrovo la scheda del discorso del Papa qui a Roio».


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