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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 7

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«C’era proprio bisogno di buttarmi giù da letto? Devo dire alla reception di non passarmi telefonate almeno fino alle 9, soprattutto di un tale che si spaccia per sovrintendente alla Perdonanza. Sono o no in ferie?». Il signor Giacomo, lasciando la hall dell’albergo, a due passi da piazza Duomo, appariva in effetti stralunato. La folta barba arruffata, poi, gli dava un’aria trasandata, più del solito.
«Effettivamente ho esagerato- si scusò il sovrintendente-. Ma è stata talmente la sorpresa che ho subito elaborato un piano. Non era poi così presto...».
«Ma no, erano soltanto le 6 e trenta! Considerando che tra una genziana e l’altra ieri sera abbiamo fatto l’una, ho dormito solo cinque ore. Tenga presente che per essere in forma a me occorrono almeno otto ore di sonno».
«Per la forma intende, ovviamente, quella fisica...».
«Che fa, sfotte?».
«Non mi permetterei mai...».
«Ci vuole un caffè».
«Ci facciamo due passi: l’aria frizzante del mattino le farà bene e, intanto, arriviamo al nostro bar preferito».
«Ottima idea: avevo nostalgia di un buon ”orzo cream”. Cosa aveva di tanto urgente da dirmi? Scommetto che le ha scritto l’amica sua».
«Elementare, Watson. Ha scritto, ha scritto... Ieri sera, tornando a casa, non ho resistito ad accendere il computer. Di certo lei mi ha inviato un’e-mail, mi sono detto».
«Un anagramma, vero?».
«Un solo, laconico, anagramma. Nient’altro. Come se la nostra proseguisse un suo filo logico».
«Fuori la traduzione dell’anagramma. Se dobbiamo proprio giocare con una mezza matta, almeno non perdiamo tempo».
«La frase me la sono appuntata qui sul taccuino. Eccola: ”sfracellavate tu inveivi morto”, ovvero...».
«La soluzione, la soluzione. Non perdiamo tempo!».
«Un attimo! C’è da fare un ragionamento. Che senso ha arrivare alla traduzione della frase se non cerchiamo di capire il messaggio che essa cela?».
«Questo gioco mi snerva».
«Disanagrammando, la frase corrispondente è: ”si move e varca tutt’ i vallon feri”».
«Ancora un verso. Ancora Dante, ritengo...».
«Sì, è Dante. Inferno. Canto XXIII. La terzina completa è:
Rispuose adunque: “Più che tu non speri
s’appressa un sasso che da la gran cerchia
si move e varca tutt’ i vallon feri”».
«Buio pesto».
«Ma no, il discorso è abbastanza chiaro».
«Chiaro?».
«Ma sì, la terzina ci porta sul Gran Sasso».
«Anche questa me la deve spiegare: cosa c’entra, ora, la vetta più alta degli Appennini?».
«Certo Dante dà alle sue parole tutt’altro significato: sasso, ad esempio, vuol dire ponte. Ma noi, credo, dobbiamo calare la terzina nel contesto della nostra vicenda. O meglio è la nostra “amica” che sembra calare la questione in un certo contesto apparentemente senza un filo logico. Ebbene, nel secondo rigo della terzina sono citate le parole “sasso” e “gran”; nel terzo viene anche citata la parola “vallon”. I “Valloni” sono uno dei luoghi più noti del Gran Sasso: splendida escursione in estate, eccezionale fuoripista con gli sci in inverno».
«Sì, ma che c’entra il Gran Sasso con la nostra maschera? Che c’entra con Celestino V? Che c’entra con la prima tappa di questo nuovo “tour” dei misteri, ovvero Roio?».
«Non ci ho dormito, pensando e ripensando...».
«Così ha deciso di svegliare anche me...».
«C’è, credo, una sola spiegazione. Il collegamento, stavolta, è con Papa Wojtyla».
«Vada avanti!».
«Il Papa che il 30 agosto del 1980, nel suo pellegrinaggio per onorare San Bernardino da Siena, ha scelto Roio per il suo Santuario mariano, è lo stesso che amava il Gran Sasso».
«Di questa storia ho sentito parlare».
«Dopo la morte, s’è scoperto che Sua Santità è stato su questa montagna, in segreto, ben centododici volte».
«Tiri fuori la scheda!».
«E’ quello che stavo facendo. Ho parecchio materiale sull’argomento: nei lunghi ventisette anni di pontificato, più volte abbiamo sperato di avere la presenza si Sua Santità ad aprire la Porta Santa...».
«Ma se nel discorso che tenne qui nel pellegrinaggio dell’agosto 1980, proprio sul sagrato di Collemaggio, non citò nemmeno il nome di Celestino V! Me lo ha detto lei, o no? Come potevate sperare che venisse a “benedire” la Perdonanza?».
«Le ho già spiegato che quella del discorso è una questione complessa e complicata...».
«Complicato, per la Chiesa, è superare l’imbarazzo per un Papa che si dimise dal Soglio di Pietro, rinunciando al potere... Suvvia, legga la sua scheda- disse il signor Giacomo sedendosi ai tavolini all’aperto del bar, a quell’ora quasi deserto-. Però prima ordiniamo. Io vorrei un “orzo cream”. E lei?».
«Un caffè macchiato, un cornetto alla crema ed una spremuta di arance... E se ce l’ha, anche una tavoletta di cioccolato bianco, per favore».
«Vedo che ci trattiamo bene...Questo è un pranzo, altro che colazione!».
«Allora, leggo... “Centododici ‘scappatelle’ sul Gran Sasso. Il numero delle sue visite non ufficiali, anzi top secret, sul Massiccio abruzzese è tale da suscitare un sorrisetto a dispetto del dramma. Sì, perché l’immagine di un Papa sportivo e montanaro, un po’ guascone, che ‘scappa’ in tuta da sci e berretto di lana dagli impegni e dall’aria rarefatta delle stanze vaticane per una sciata o una passeggiata sui monti, questa immagine ormai diventata un’icona, è indissolubilmente legata all’Abruzzo. E, soprattutto, al Gran Sasso. Una montagna scelta sicuramente per la vicinanza con Roma ma anche perché al Pontefice ha sempre ricordato i suoi monti Tatra, in Polonia, dove fino al 1978, giovane prete, sciava in libertà”».
«Il Papa guascone... Bell’immagine. Chi l’ha scritta?».
«E’ un articolo di un quotidiano che è stato ripreso da un sito: io l’ho trovato in internet. Continuo: “...Centododici scappatelle, un numero incredibile. Il segreto è stato squarciato ieri pomeriggio quando un commosso arcivescovo Giuseppe Molinari, nel corso della lunga diretta del TgUno ha detto: ‘Il Papa è venuto sul Gran Sasso non ufficialmente un centinaio di volte’. Centododici, ora lo sappiamo. Anche se, fino a ieri, alla Curia facevano finta di cadere dalle nuvole alla richiesta di conferme su possibili ‘visite’ del Papa. Delle quali spesso, si veniva a sapere a tarda sera, solo dopo un’indiscrezione filtrata dal Vaticano. E se le indiscrezioni uscivano di martedì, c’era da giurarci che il Papa aveva ancora una volta beffato tutti. Quasi sempre, infatti, Giovanni Paolo II ha scelto per le sue scappatelle il martedì, ovvero il giorno in cui aveva meno impegni ufficiali: il suo ‘giorno libero’ insomma. Anche nelle sue quattordici visite non ufficiali note in Abruzzo, il Pontefice ha spesso preferito il Gran Sasso”».
«Era sempre qui, dunque, il Papa sciatore...Finito?».
«Quasi: “...Dopo il 4 aprile 2000 nessuna indiscrezione fino al 14 luglio 2003 quando un pastore lo avrebbe riconosciuto ed il Papa, dalla sua auto, si sarebbe fermato regalandogli un rosario. Il 24 luglio successivo, invece, fu a sorpresa la Radio Vaticana a dare la notizia al mondo: ‘Il Papa si trova in gita sul Gran Sasso’. A queste, si aggiungono le altre scappatelle (note) in Abruzzo: il 16 febbraio 1987 a Ovindoli (per sciare); il 14 marzo 1989; il 28 dicembre 1990 e il 29 dicembre 1992 sempre a Campo Felice (per sciare). Finì sulle prime pagine quest’ultima scappatella a Campo Felice nel dicembre 1992, sempre un martedì. Fu una sorpresa per tutto il mondo. Ormai sulla soglia dei 72 anni, già minato nel fisico, nessuno avrebbe scommesso che il Papa potesse tornare a sciare. Ed invece, il Papa sciatore, per sei ore a temperatura meno 12 gradi, si dilettò lungo le varie piste e, fatto mai accaduto, s’avventurò anche tra gli altri sciatori senza farsi riservare una pista come era avvenuto nelle precedenti occasioni...”».
«Che personaggio!».
«... “Il Papa sciatore, appunto. Quello che nell’84 sull’Adamello fece esclamare all’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini: ‘Lei, Santità, volteggia come una rondine!’. D’altronde, l’amore del Papa per la montagna, in particolare per il Gran Sasso, è testimoniato dalle parole che lo stesso pronunciò nel giugno del 1993 all’Angelus recitato proprio sul Massiccio inaugurando la ristrutturata chiesetta degli alpini a Campo Imperatore: ‘Il silenzio della montagna e il candore delle nevi ci parlano di Dio e ci additano la via della contemplazione, non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche quale condizione per umanizzare la nostra vita e i reciproci rapporti”».
«Come, come? Un Angelus sul Gran Sasso?».
«Sì... “il 20 giugno 1993, a Campo Imperatore per benedire la piccola chiesetta della Madonna della Neve ricostruita e restaurata dagli alpini”».
«Ecco il collegamento: la visita alla chiesetta di Roio, la visita alla chiesetta di Campo Imperatore».
«Non è solo questo. C’è anche un’altra chiesetta, quella di San Pietro della Jenca, e c’è la questione della Croce».
«Ma sì, la croce posta in quota sul Gran Sasso a ricordo dell’amato Pontefice. Ho letto qualcosa sui giornali: la notizia, in quei giorni in cui si “festeggiava” mestamente il compleanno di Papa Wojtyla, mi incuriosì ma mai avrei immaginato che di lì a qualche giorno sarei venuto qui per infilare la mia più grande sconfitta professionale».
«Ci andiamo ora! Finisco la colazione...».
«Ora?».
«Perché mai, sennò, l’avrei gettata giù da letto! In montagna si va al mattino presto. Ho già in mente il da farsi. Con l’auto fino a Fonte Cerreto: da qui ci vuole un quarto d’ora di autostrada. Poi, in funivia fino a Campo Imperatore: sette minuti. Quindi, gambe in spalla: in meno di due ore, cresta cresta, arriviamo alla Croce. Al ritorno, alla base della Funivia pranzo in trattoria dove hanno un’ottima genziana; nel primo pomeriggio, alla vicina chiesetta di San Pietro della della Jenca. Vediamo di scoprire perché la nostra “amica” ci ha spediti sul Gran Sasso».
«Ecco il perché di una colazione così abbondante... Ha organizzato proprio tutto. Si ricordi, però, che ho dormito poco: non sono in gran forma...».
«Non è solo il suo fisico in scarsa forma... Un problema però dobbiamo risolverlo: le sue scarpe».
«Le scarpe?».
«Non si va sul Gran Sasso con i mocassini: la montagna non perdona. Ci fermiamo un attimo nel negozio di un amico ad acquistare un paio di scarponcini da trekking».
«Non sono in trasferta per servizio...».
«Ci faremo fare uno sconto. Il pranzo, come sempre, lo pago io».
«Sono un poliziotto povero, io».


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