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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 6

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


Il piccolo Santuario, abbagliato dal sole, appariva ancora più raccolto. Più intimo. Il via vai di studenti vocianti dell’ex convento, oggi trasformato in polo universitario, sembrava riecheggiare il via vai dei religiosi che un tempo animavano il colle.
«E’ rimasto in sostanza solo il parroco, uno straniero- disse il sovrintendente al signor Giacomo come proseguendo un discorso avviato, invece, solo nella sua testa-. La comunità delle suore è andata via via assottigliando fin quasi a scomparire».
«Doveva essere un importante polo religioso se il Papa ha scelto questo posto».
«Annesso alla chiesetta, nel Duecento, c’era un ospedale gestito da suore. Recentemente vi venne impiantato un orfanotrofio. Nel complesso, poi, il cardinale Confalonieri promosse il grandioso ”Istituto Santa Maria della Croce” retto dalla suore Serve di Maria ”Riparatrici”. Ecco, qui sulla facciata del canonica, c’è quello che ci interessa».
«Una targa ricordo: ”Padre Paolo Sfarra, missionario cappuccino in Cile, nato a Roio il primo giugno 1818 , morto il 25 aprile 1886 a Villa San Paolo città da lui fondata”. Un missionario. Ma che c’entra?».
«Ho avuto l’impressione che la nostra amica, ogni volta che può, infila dentro le sue e-mail la questione dell’evangelizzazione, delle difficoltà che incontrano i missionari, ecc. E’ arrivata a definire Celestino V ”il missionario più efficace di Cristo perché Celestino viveva Gesù Cristo in terra».
«Un momento: lei pensa che più del fatto che questo colle rappresentasse un Golgota rispetto alla ”nuova” Gerusalemme, più della coincidenza del giumento che si inginocchia, più del fatto che questo luogo e non altri sia stato scelto dal Papa, insomma più di tutto questo la sua fidanzata virtuale ci abbia guidato qui per farci imbattere nella figura di questo frate».
«No, non credo. Resta il fatto, però, che la questione dell’evangelizzazione è un chiodo fisso per la mia amica. Perché inserirlo ovunque, anche quando non sembra pertinente? Il collegamento, dunque, l’ho fatto io: proprio qui, a Roio, c’è una grande figura di missionario».
«Io questo collegamento non lo vedo. Anche se sono abituato a preoccuparmi delle sue intuizioni: sono sempre foriere di guai. Meglio approfondire, non si sa mai. Mi legga la scheda su Padre..., come si chiama?».
«Padre Paolo Sfarra... Che ne sa lei che ho una scheda anche su di lui?».
«A parte che lei ne ha una su tutto e su tutti. Poi, aveva detto di avere quattro schede a parte quella a sorpresa su Confalonieri. Ebbene tre me le ha lette, ne manca una. Elementare... Watson».
«Allora quando parlo, mi sta a sentire... Mister Holmes».
«Legga!».
«Un attimo. Mica sono un computer. Me la faccia ritrovare. Eccola: ”Il 25 aprile del 1886 moriva...”».
«Aspetti, aspetti... 25 aprile. Cioè dopodomani!».
«Caspita. E chi ci aveva riflettuto. No, non credo che la nostra amica potesse sapere...».
«Sarebbe incredibile. Certo, io sarei dovuto venirla a trovare domani e non ieri. Ergo, se tanto mi da tanto, saremmo venuti qui dopodomani. Sarà di sicuro un’assurda, incredibile, coincidenza, in questa storia, non mi meraviglio più di nulla. Forse ha ragione lei: questo frate c’entra, eccome. Mi dica un cosa: lei aveva detto alla sua fidanzata che io sarei venuto a trovarla?».
«Beh... sì. Che c’era di male?».
«Nulla di male. Solo che le ha dato un vantaggio. Poteva non rivelare questo particolare».
«Forse, inconsciamente, volevo dimostrarle che non sono solo. Che se vuol prendersi gioco di me, ne resterà traccia, non resterà impunita».
«Credo che abbia solo fatto il suo gioco. Comunque, legga...».
«Vado... “Il 25 aprile del 1886 moriva in un villaggio cileno, Villa San Pablo, il frate cappuccino Padre Paolo, al secolo Antonio Sfarra, originario di Roio. Aveva 68 anni, da trentotto era in terra di missione, da appena due mesi aveva festeggiato il cinquantesimo di professione religiosa. Era infatti nato a Roio il primo giugno del 1818, e all’età di 17 anni era entrato nella Famiglia francescana dei Cappuccini. Forse la nostra potrebbe apparire una forzatura storica: ma ci piace immaginare, cento anni fa, attorno alla salma di Padre Paolo, migliaia di fedeli raccolti in preghiera; e non fedeli qualsiasi, ma ‘consacrati’, per la precisione appartenenti alla fiera popolazione Aurucana, indomiti oppositori dei conquistatori spagnoli, se è vero che la loro resistenza alla ‘normalizzazione’ spagnola, iniziata nel lontano 1550, ancora emanava vividi sprazzi, essendosi conclusa storicamente soltanto nel 1884, cioè due anni prima della morte di Padre Paolo Sfarra. Le notizie biografiche del missionario roiano non ci permettono di essere puntualmente documentati sull’opera di Padre Paolo. E’ certo, però, che egli ebbe un ruolo di primissimo piano in quell’opera di evangelizzazione (come egli la definisce nelle poche lettere rimasteci) congiunta ad una premurosa funzione di assistenza ed elevazione sociale”...».
«Evangelizzazione. Il concetto è ben presente...».
«Aspetti a tirare conclusioni: “...Giusto un anno prima della morte, così scriveva ad un confratello della Provincia cappuccina d’Abruzzo: ‘...Io sto bene grazie a Dio, nonostante della vita un poco strapazzata, che necessariamente si passa in questi luoghi...’. E la sua opera aveva già dato frutti mirabili, se è vero che intorno alla sua Missione si erano radunati circa settemila indigeni consacrati al Cristianesimo, e se è vero che già dal 1867, per omaggio al missionario di Roio, le autorità governative avevano deliberato l’intitolazione di quel popoloso centro abitato Villa San Pablo. Di Padre Paolo, leggendone le semplici espressioni epistolari, raccogliendo le testimonianze ed i ricordi ancora vivissimi in quella lontana terra cilena, si può dire che ebbe nella fede, nella bontà, nella semplicità tutta francescana, le armi per condurre felicemente quella ‘conquista’ spirituale che appare come pacifica arma vincente laddove le armi del potere e della conquista militare poco o nulla avevano ottenuto nell’arco di oltre tre secoli. La figura di questo missionario ci giunge, quindi, limpida e vigorosa, e ci invita ad un momento di doverosa riflessione, ad un ricordo che non sia di breve durata, ad una testimonianza di gratitudine e di riconoscenza”».
«Bella storia. Ma non vedo il nesso».
«Pensi che di lui si è occupato anche il Segretario di Stato Vaticano, il Cardinale Angelo Sodano, che è stato Nunzio Apostolico proprio in Cile».
«Ma và!».
«In una lettera da Santiago, il 14 febbraio 1986, il cardinale scrive...».
«Aspetti, aspetti... 14 febbraio, giorno di San Valentino».
«E che c’entra?».
«La festa degli innamorati: la sua fidanzata potrebbe non aver scelto a caso questa data».
«Ed io che sto pure ad ascoltarla! Sbaglia sempre il momento per fare dello spirito».
«Suvvia, sdrammatizziamo...».
«Ok, sdrammatizziamo. Continuo nella lettura... nel giorno di San Valentino del 1986, “il cardinale scrive: Con profonda soddisfazione ho appreso la notizia della prossima commemorazione del Padre Paolo Sfarra di venerata memoria, nella ricorrenza del centenario della sua morte. Il nome di questo benemerito Cappuccino abruzzese, gloria di Poggio di Roio, vive qui in benedizione. Egli, infatti, fu uno degli artefici dell’evangelizzazione nel Sud del Cile, soprattutto fra il popolo araucano che tanto gli deve. Per trentott’anni fu l’apostolo silenzioso del Signore, annunciando la Parola di Dio e, allo stesso tempo, promuovendo il progresso civile di quelle buone popolazioni. In particolare, il paese di Villa San Pablo, che da lui prese nome, perché a lui tutto deve, ricorda con venerazione l’insigne missionario italiano. La sua salma è sepolta tutt’oggi nella parrocchia di San Pablo ed il suo nome vive nel ricordo di tutti”».
«Certo fu un grande: fondò addirittura una città!»
«Aspetti, la lettera prosegue: “Narrano le storie locali che quando il Padre Paolo giunse alla missione di Pilmayquén, nel 1848, non v’era un solo cristiano. La regione era abitata quasi esclusivamente dal gruppo etnico ‘mapuche’ che rifiutava ogni contatto con il mondo esterno. Il Padre Paolo, con il suo zelo sacerdotale e con le sue doti umane, riuscì in pochi anni a fondare una comunità cristiana di settemila abitanti. Con lo spirito di iniziativa, tipica di tanti pionieri italiani, il buon Cappuccino di Roio si sforzò affinché Pilmayquén avesse tutto il necessario. Vi installò perfino un telegrafo, curato da un ‘mapuche’, educato dal Padre Paolo”».
«Davvero una gran bella figura. Forse un piccolo busto come questo è davvero un po’ pochino per commemorarlo... La scheda è lunga?».
«Ho quasi finito: “Insieme al Padre Paolo, è giusto ricordare gli altri undici Cappuccini italiani che, nel 1848, vennero in Cile, fondando la Prefettura Apostolica dell’Araucania. Vennero, poi, dall’Italia numerosi altri missionari, per più di cinquant’anni, fino a quando, nel 1901, vi subentrarono i Cappuccini Bavaresi. Quella Prefettura Apostolica, in seguito, fu elevata a Vicariato Apostolico: è l’attuale Vicariato Apostolico dell’Araucania, con sede a Villarica, a ottocento chilometri a Sud di Santiago, nella cosiddetta regione dei laghi. L’attuale Vicario Apostolico è il Vescovo cappuccino monsignor Sixto Parzinger. Egli è coadiuvato oggi da ben 30 sacerdoti locali, oltre alla trentina di Cappuccini d’origine tedesca. Va precisato che Villa San Pablo, ove lavorò il compianto Padre Paolo Sfarra, si trova ora nel territorio della diocesi di Osorno, creata nel 1955, con territorio dismembrato dal Vicariato Apostolico dell’Araucania. La Chiesa parrocchiale tutta in legno (come in genere sono le Chiese nel Cile meridionale) è molto bella ed il Parroco, Don Sergio Reiser, è molto attivo e zelante. Tanto il Vicariato Apostolico dell’Araucania, quanto la diocesi di Osorno, si uniscono, per il tramite di questa Nunziatura Apostolica, alle celebrazioni del centenario del ritorno alla casa del Padre dell’indimenticato Padre Paolo Sfarra. Da parte mia, sono sicuro che tale commemorazione; susciterà nella gioventù abruzzese nuove vocazioni missionarie, che continuino l’opera di tanti operai del Vangelo, i cui nomi sono scritti nei libri della vita”».
«Come il Papa, anche Sodano spera di suscitare nuove vocazioni missionarie. Oggi come oggi? Mi pare un po’ utopistico».
«Il Cardinale Sodano conclude: “Il parroco di San Pablo, Don Sergio Reiser, mi ha mandato tre foto qui unite della chiesa parrocchiale, costruita nel secolo scorso dal compianto Padre Paolo. In una lettera, a me indirizzata, spiega poi che l’immagine della Madonna di Roio, donata dal cardinale Confalonieri al precedente Vescovo di Osorno, monsignor Valdès, cappuccino, più di venti anni fa, non ha ancora avuto una sistemazione definitiva e la si vorrebbe ora mettere su un monolito, all’ingresso di detta cittadina. Il sacerdote Sergio Reiser mi ha poi confermato che i resti mortali del Padre Paolo riposano nella chiesa parrocchiale, vicino alla parete destra del tempio, davanti ad un altare laterale. Sulla tomba vi è una lapide di marmo che lo ricorda, sfidando gli anni. Anche a San Pablo si commemorerà il centenario della morte del Padre Paolo, considerato giustamente, dalle autorità e dal popolo, come il fondatore della cittadina”».
«Davvero un bella storia. Non so se c’è un nesso ma ne è valsa la pena conoscerla».
«S’è fatto tardi» disse il sovrintendente dirigendosi verso la Via Mariana.
«Non mi dica che dobbiamo farcela a piedi!».
«Sono due passi, per giunta in discesa».
«Quindici stazioni. Sono quindici stazioni!».
«Andiamo. Sono stanco anch’io ma in discesa è piacevole. Ci mangiamo un boccone insieme e poi a nanna».
«Ci facciamo una pizza?».
«Ma quale pizza! La porto dove cucinano i migliori bucatini all’amatriciana nel Centro Sud. Altro che pizza napoletana».
«Però una pizza non mi dispiacerebbe: vorrei stare leggero».
«Se insiste, allora la porto in un locale dove si sono inventati la “pizza Celestino V”: pomodoro, mozzarella di bufala, salsiccia sbriciolata e, se le piace, una spruzzata di pepe».
«C’è anche la sorpresa?».
«Sorpresa?».
«Alla fine arriva il conto che il padrone ha ovviamente provveduto ad anagrammare...».
«Molto spiritoso».
«Mi chiedo se Celestino meritasse di dare il nome ad una piazza napoletana».
«Da quando ne è stata rubata la maschera, il messaggio celestiniano è stato rilanciato. Il furto, purtroppo, ha funzionato da spot. E’ brutto dirlo, ma mai avrebbe avuto tanta pubblicità: ignorato il Papa, l’attentato è stato fatto a quel Papa. Il Papa della Pace in questi drammatici giorni di guerra».
«Va a finire che ci daranno anche un premio per esserci fatti beffare come allocchi...».
«Per ora ha vinto soltanto una pizza. Hanno anche un’ottima genziana...»
«Allora accetto. Mi facessero pure rapporto: sono in ferie. O no?».


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