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La Missione di Celestino - Capitolo 7

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


Di genziana ne andò via il solito mezzo litro e oltre; ma, almeno stavolta, in due. Tutto il tempo della cena, su un tavolo alla fratina proprio fuori la porta della trattoria ai piedi della scalinata della basilica di San Bernardino, parlarono soltanto di quella targa, di San Escrivà, dell’Opus Dei. Senza giungere, però, ad alcuna conclusione. Infine, si lasciarono senza scambiarsi la buonanotte: per entrambi sarebbe stata una nottata di pensieri e riflessioni, a meno di cinque giorni dalla “fine del mondo”.
Anzi, il signor Giacomo a dormire non ci andò per niente: s’incamminò lungo la discesa (il “pieno” di genziana sconsigliava di affrontare salite). Notò la targa stradale: via Fortebraccio. «La cappa della sconfitta mi perseguita» pensò. Dopo la comoda passeggiata tra due ali di palazzi odoranti d’antico, passò sotto l’arco di Porta Bazzano («Sconfitta, sconfitta») sbucando in direzione della basilica di Collemaggio di cui intravedeva, al di là della vegetazione, l’illuminazione dorata. Passata la Porta si girò indietro. L’occhio gli andò sull’insegna stradale: “Costa Masciarelli”. Presepe d’estate dal nome, invece, vagamente marino.
«Costa? Chissà che vuol dire?» si chiese tra sé e sé. Ma era ben altra l’insegna stradale che gli tarlava la mente.
Erano le 4 del mattino e ancora passeggiava su e giù lungo via Josemaria Escrivà solcando l’asfalto dalla targa fino alla Porta Santa, dalla Porta Santa fino alla targa. Ogni tanto gettava uno sguardo di sfida su quel maledetto rettangolo di marmo biancastro. L’aria frizzantina, tipica delle notti d’agosto su quel Colle immerso nel verde, lo aiutò a digerire la cena e a smaltire la genziana. Ma un ben diverso peso gli opprimeva lo stomaco.
Che poteva significare quel messaggio? Quasi albeggiava. Seguendo l’istinto del poliziotto, il signor Giacomo provò a cambiare prospettiva. Salì le scalette che portano dal prato di Collemaggio al monumentale ingresso dell’ex ospedale psichiatrico. Prima mise a fuoco l’angolo sinistro della Basilica puntando lo sguardo in linea con la targa («È una specie di mirino ha detto il sovrintendente»); quindi mise a fuoco la targa puntando lo sguardo in linea con la Porta Santa («Un attentato al Papa durante l’apertura della Porta Santa»). Non credette ai suoi occhi. Nel retro della targa, da un lato, sembrava spuntare qualcosa. S’avvicinò. Sembrava un foglietto. Era un foglietto di carta, ripiegato in quattro per meglio incastrarlo tra il marmo e lo scheletro in ferro che sorreggeva la targa.
«Cristo! Non è possibile...».
La “soluzione” era sempre stata lì, davanti agli occhi suoi e del sovrintendente. Ma non di fronte. Era dietro. Ringraziò mentalmente chi gli aveva insegnato di non fermarsi alla prima apparenza ma di vedere sempre cosa c’era...dietro.
Con un balzo, al primo tentativo, riuscì a sfilare il foglietto. Soltanto dopo rifletté che, con quella foga, avrebbe potuto strapparlo. Si guardò attorno. La città, ignara, dormiva. Solo un passero cantava alla luna svolazzando su un albero vicino. Dispiegò il foglietto. C’era, fotocopiata («Per non lasciare tracce, bastardi!»), una scritta. A pennarello. Su una riga. In un anonimo stampatello. Lo stesso tratto di quello del fax arrivato in Municipio. Un’altra maledetta frase senza un senso apparente: “Sceicco tende voli”. E un altro maledetto numero, sotto la scritta, stavolta in cifre romane: “CLXXI”.







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