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La Missione di Celestino - Capitolo 14

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


Il rumore del chiudersi con un fragoroso scatto improvviso della porta della chiesa li fece sobbalzare.
«Ha visto entrare qualcuno?» chiese il signor Giacomo.
«No».
«Con la coda dell’occhio m’è sembrato di vedere una persona».
«Forse era il parroco».
«Lo aveva avvertito che saremmo venuti?».
«No. Lei mi dice sempre di non far cenno a nessuno dei nostri movimenti. In ogni caso non ne avrei avuto il tempo».
«Strano. Bene (o meglio, male), andiamo avanti: resta ancora da decifrare il numero contenuto nel messaggio: 2.071».
«Credo di aver capito anche quello».
«Comincio a sospettare di lei. O è vicino al genio o è vicino a loro...».
«Sono anni che studio su queste cose, su questi collegamenti, su questo nostro “tesoro” a portata di mano ma mai sfruttato».
«Non si riperda dietro i suoi sogni: l’unico che ho visto finora realizzarli è Celestino V con la sua Basilica. Che significa quel numero?».
«Ormai li conosco. So come ragionano. So che sanno tutto. Le quattro cifre sono una posposizione della data, il 1270, anno in cui Luigi IX, il Re Santo Ludovico insomma, morì di peste a Tunisi e, leggo nella mia scheda, “...con lui muoiono tutte le illusioni crociate relative alla possibilità di riconquistare Gerusalemme. Il mondo cristiano quasi si ribella all’idea che sia possibile riconquistare Gerusalemme con le armi. La Crociata continuerà, anzi sarà sempre più forte come attività e come idea. Ma la conquista di Gerusalemme, da allora in poi, sarà accantonata. E Bonifacio VIII vi metterà la lastra tombale quando, nel Giubileo del 1300, trasferirà da Collemaggio a Roma quell’Indulgenza Plenaria che era il massimo, il massimo dono, la massima ricompensa, che la Chiesa usava dare ai pellegrini verso Gerusalemme”».
«Giuro che mi sta venendo il mal di mare: Gerusalemme, le Crociate, i Templari, il Giubileo, l’Islam, l’Indulgenza Plenaria...».
«Aspetti, non è finita. Arriva la chicca finale: escludendo il 2 prima del punto, “071” di quale città è il prefisso telefonico?».
«Che fa, ricomincia a giocare con me?».
«Di Recanati, nelle Marche, nella cui Diocesi ricadeva, all’epoca che qui interessa, il Santuario di Loreto».
«Non mi dica che c’entra anche la Santa Casa?».
«Non so se c’entra, ma io avevo in testa il prefisso telefonico perché recentemente ho preso contatti con l’amministrazione di quella città dopo aver scoperto (sì, sì, su internet ovviamente!), che Celestino V ebbe, in qualche modo, a che fare anche con la Madonna Nera di Loreto e la Santa Casa. Leggo...»
«Lei è un fenomeno: una biblioteca ambulante!».
«Ma no, è nella mia cartellina sui Templari».
«Sentiamo. Quel suo discorso sui Templari mi ha stregato».
«Allora...“La data del ‘trasferimento’ da Nazareth della Santa Casa è tra il 9 e il 10 maggio 1291, in una località istriana, a Tersatto, prima di essere nuovamente rimossa e riedificata in una località di lauri, da cui il nome di Loreto, presso Porto Recanati la notte del 10 dicembre 1294”».
«Cioè tre giorni prima della clamorosa rinuncia di Celestino V, ovvero il 13 dicembre di quello stesso 1294 (stavolta non l’ho posposto). Era questo che voleva dirmi, no?».
«No, la rinuncia non c’entra. Mi faccia continuare: “Nel maggio del 1291 i Crociati persero definitivamente la Terra Santa, nonostante l’estrema difesa dei Templari nel porto fortificato di San Giovanni d’Acri. C’era il rischio che i musulmani si accanissero su uno dei principali simboli della Cristianità: la Casa dove Maria ebbe l’Annunciazione e dove Gesù trascorse l’infanzia... La testimonianza di un pellegrino, Riccardo da Montecroce, nel 1289 conferma che fino a quella data la Casa di Maria si trovava a Nazareth. Ma nel 1348, quando si reca in Terra Santa un altro pellegrino, Nicolò da Poggibonsi, la Casa non c’è più: era rimasta la grotta contro cui erano appoggiate le tre pareti. Grotta che tuttora si venera a Nazareth. Anche la Santa Casa di Loreto ha solo tre pareti e gli studi archeologici hanno dimostrato che si inseriscono perfettamente con ciò che resta a Nazareth. Le pietre sono le stesse di quelle rimaste a Nazareth e con la stessa datazione. Chi erano, dunque, materialmente gli angeli che la trasferirono dove ora si trova? Le croci in stoffa rossa presenti nel Museo di Loreto, la data del ‘trasferimento’, ma anche la Madonna Nera che viene venerata nella Santa Casa non lasciano dubbi. Questa fu solo l’ultima delle imprese leggendarie dei Templari, monaci cavalieri dal mantello bianco come gli angeli...La statua della Madonna Nera di Loreto è una copia di quella originale, distrutta da un incendio nel 1921 che corrisponde misteriosamente alla data rovesciata della traslazione nel 1291”... ».
«Un’altra posposizione di date come spesso a me capita di fare. Che nella mia vita precedente sia stato un cavaliere dei Templari?».
«Chissà. Continuo: “Gli studiosi hanno appurato che la prima immagine venerata nella Santa Casa era un’icona dipinta in legno, di probabile origine orientale. Potrebbe avere riferimenti alla Grande Madre e a Iside: così come nell’iconografia a Iside è associata la Luna attraverso le corna che ha sulla testa, la Madonna Nera di Loreto ha le falci di luna sulla veste. Il collegamento tra Maria e Iside potrebbe riallacciarsi ai tre anni trascorsi dalla Sacra Famiglia in Egitto, un tema trattato con ricchezza di particolari dal Vangelo apocrifo arabo-siriaco. Molto probabilmente le prime comunità cristiane mediorientali e la Chiesa Copta avevano adattato aspetti e simbologie del culto di Iside a quello Mariano che i Templari trasferirono in Europa. Caduta San Giovanni d’Acri nel maggio 1291, rimane l’ultima magione templare a Chateau Pelerin, nei pressi di Nazareth: immaginiamo l’ultima grande impresa dei monaci cavalieri Templari superstiti che smontano pietra su pietra la Casa di Maria, circondati da un nemico che non dà tregua e la fanno partire via mare alla volta dell’Europa”».
«Si sta perdendo dietro i suoi sogni, sovrintendente. Le avevo chiesto perché la Santa Casa di Loreto?».
«Ci stavo arrivando: “...Ma perché poi quelle pietre finirono a Loreto e non rimasero in Istria? Furono trasferite nelle Marche il 10 dicembre del 1294 quando era Papa Celestino V. Il potere effettivo era esercitato dal suo vicario, Salvo, che guarda caso era vescovo di Recanati. Nulla di più probabile, quindi, che questi abbia voluto far approdare le Sacre Pietre a Porto Recanati, uno dei principali scali vaticani, ed abbia preteso che la Casa della Sacra Famiglia si fermasse nella sua diocesi. La Santa Casa e la Madonna Nera di Loreto sono da sette secoli una delle principali mete di pellegrinaggio della Cristianità”».
«Sono senza parole».
«E non è tutto!».
«Un’altra sua visione mistica, sovrintendente?».
«No, un’altra mia scoperta. Una coincidenza di cui pochi sono a conoscenza».
«Se le dicessi che non mi interessa, si offende?».
«Le interessa, le interessa. A New York...».
«Oh no! New York no! Non reggerei un collegamento simile».
«A New York, al Metropolitan Museum, è conservato un quadro dedicato alla Traslazione della Santa Casa. Un mio amico e concittadino che aveva fatto un viaggio negli Stati Uniti, si è fatto fotografare accanto al dipinto, tanta fu la gioia di averlo trovato in quel museo così prestigioso. Quando mi mostrò, tra le altre, quella foto-ricordo del viaggio, saltai sulla sedia».
«Nella foto s’era per caso impressionata, in trasparenza, la figura di Celestino V?».
«Macchè! Lo sa di chi era quella tela, come si leggeva nella targhetta informativa del museo ritratta nella foto?».
«Mi verrebbe da rispondere Giotto, ma sbaglio. Vero?».
«Gatti, Saturnino Gatti».
«E chi è?»
«Cosa può capire lei?».
«Poco, poco rispetto alla sua immensità. Ma certo conosco i nomi di qualche pittore famoso, almeno per fare i cruciverba più semplici...».
«Saturnino Gatti fu allievo della bottega fiorentina del Verrocchio frequentata da Botticelli, Leonardo Da Vinci, Pinturicchio e Perugino. È un grande artista figlio di questa città, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, che avrebbe meritato ben altra fortuna. Ma questo è un altro discorso!».
«Se prima ero senza parole ora, dopo questa sconvolgente rivelazione, mi chiudo nel più completo mutismo».
Il sovrintendente taceva. Anche per non raccogliere la provocazione, certo bonaria, del signor Giacomo. «Cosa può capire lui, poverino! – rifletteva tra sé e sé – Sono anni che mi affanno a studiare queste cose e nemmeno io ci ho capito granché». Intanto, vagando con la mente per rincorrere i suoi sogni, s’era concentrato sulle due figure dell’affresco. Sopra: San Ludovico Re con la vistosa corona. Sotto: Celestino V con l’altrettanto vistosa aureola attorno alla Tiara Papale. Restò assorto così per qualche minuto. In silenzio. All’improvviso, i raggi del sole penetrarono dal finestrone destro dell’immensa navata centrale dopo che il vento aveva spazzato le nuvole di una mattinata ch’era nata uggiosa, andando a rischiarare proprio il transetto fin a quel momento in penombra. Vide un luccichio sul volto di Celestino. Si avvicinò, con un balzo, all’affresco. Gli scappò un’imprecazione. Che non era da lui, tanto più in una chiesa.
«Cosa altro c’è, sovrintendente?».
«Venga. Non credo che troveremo un biglietto, stavolta. Guardi! Hanno piantato un chiodo sulla fronte di Celestino, proprio all’altezza della tempia sinistra. Eccolo: il messaggio è chiaro».
«Chiaro un corno!».
«Stavolta il pranzo glielo offro io. Qui vicino c’è un’ottima trattoria dove si mangiano le miglior scaloppine e la miglior “cicoria e patate” del mondo. Nel frattempo le spiego».


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