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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 9

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«Questa carne alla brace è squisita».
«Signor Giacomo, mi dica quando non l’ho fatta mangiar bene?».
«In effetti, sotto questo profilo, lei è una garanzia: non sbaglia mai un colpo. Sarà l’altura, ma questo agnello è tenero come burro. La padrona della trattoria lo aveva decantato ma avevo pensato alla solita esagerazione dell’oste».
«Vedo che la scalata le ha scatenato l’appetito!».
«Lo spavento me l’aveva tolto completamente».
«Ma ne è valsa la pena!».
«Di sicuro. E non solo per la Croce. Mi ha colpito molto la chiesetta degli alpini a Campo Imperatore».
«Non a caso Giovanni Paolo II venne a benedirne l’inaugurazione nel 1993».
«Tenne pure un discorso?».
«Proprio non mi ascolta quando parlo... In quella domenica mattina del 20 giugno a Campo Imperatore il Papa tenne l’Angelus».
«Discorso, Angelus, che differenza fa?».
«Fa differenza, eccome».
«Sempre un discorso è».
«Su questo posso anche darle ragione».
«Grazie! Ma insomma, cosa disse? Devo ripregarla per farle tirar fuori la scheda che lei sicuramente avrà?».
«Ne dubitava?».
«No, appunto».
«Il Papa tenne un breve discorso...».
«Era un A-n-g-e-l-u-s, non un discorso».
«Non sfotta! Le leggo i passi più interessanti che trovo già sottolineati: “E’ un incontro particolare oggi, nel quale c’è data l’opportunità di recitare l’Angelus nella suggestiva cornice del Gran Sasso, accanto a questa Cappella che ho appena benedetto, semplice e graziosa, incastonata com’è nel maestoso paesaggio a me ben noto e caro. Qui il silenzio della montagna e il candore delle nevi ci parlano di Dio, e ci additano la via della contemplazione, non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche quale condizione per umanizzare la nostra vita e i reciproci rapporti....”».
«Ho già sentito queste parole».
«Ma allora mi sente! Gliel’ho riletto apposta. Sì, in effetti le avevo già citate».
«C’è altro che possa interessarci?».
«Vediamo... Ecco: “La montagna apre i suoi segreti solo a chi ha il coraggio di sfidarla. Chiede sacrificio ed allenamento. Obbliga a lasciare la sicurezza delle valli, ma offre a chi ha il coraggio dell’ascesa gli spettacoli stupendi delle cime. Essa è pertanto una realtà fortemente evocativa del cammino dello spirito, chiamato ad elevarsi dalla terra al cielo, fino all’incontro con Dio...”».
«I segreti della montagna...».
«Al paragrafo 4 la conclusione: “...Carissimi Fratelli e Sorelle! Affidiamoci a Maria, che in questa Cappella è onorata col titolo suggestivo di ‘Madonna della Neve’, non solo appropriato per la stupenda cornice della natura circostante, ma anche fortemente evocativo del suo mistero di donna del candore: la ”tota pulchra”, l’Immacolata. Ella ci insegni la via della fedeltà a Cristo. Ci ottenga coraggio e fiducia. Benedica questa terra, e in modo speciale le sue famiglie e i suoi giovani”».
«Salvo il richiamo alla Madonna, non vedo collegamenti significativi. Avevo ipotizzato che potesse esserci un filo conduttore tra il discorso presso il Santuario Mariano a Roio e quello a Campo Imperatore. Francamente non capisco dove la nostra amica ci voglia portare e perché».
«E se ci stesse prendendo in giro? Se fosse solo una mitomane? Una “mezza matta” come dice lei?».
«Non credo. I passaggi sono colti, raffinati. Un filo logico c’è, per ora solo nella mente della nostra amica. Tocca a noi scoprirlo. A me sembra che ci stia sfidando. Forse vuole fiaccarci nel corpo e nello spirito. Come se volesse dire a se stessa che il suo dovere l’ha fatto, s’è liberata la coscienza ma noi due non siamo stati all’altezza».
«Forse il richiamo ai segreti della montagna...».
«Troppo banale. Di sicuro, c’è dell’altro».
«Pare facile scoprirlo!».
«Non vorrà mica scoraggiarsi?».
«No, affatto, signor Giacomo».
«Bene, allora procediamo. Non dovevamo andare a vedere una chiesetta?».
«La genziana non la vuole?».
«Al digestivo non rinuncio, lei lo sa».
«Genziana, il conto e ce ne andiamo. Pago io, pago io, ovviamente...».
«Il posto è lontano? Non credo di avere la forza di muovere altri passi dopo aver scalato l’Everest. E questi scarponcini mi devono aver già lasciato le stimmate».
«Dobbiamo andare con l’auto. Da qui è troppo lontano».
«Certo che questo è un posto splendido. Immagino in inverno: un assalto di sciatori...».
«Non è mai decollato. Quando nel 1934 venne realizzata la stazione invernale con una funivia all’avanguardia, sembrava dovesse diventare una delle località di punta addirittura in Europa vista la sua vicinanza con Roma. La clamorosa liberazione del Duce, attuata da una pattuglia di alianti tedeschi che portarono via Mussolini dalla ”prigione più alta del mondo”, lanciò ancora di più Campo Imperatore. Non a caso il fascismo aveva in animo di costruire in quota almeno tre alberghi che formassero l’enorme scritta ”DUX”. Venne eretta soltanto la ”D”, ovvero l’albergo in quota dove fu tenuto prigioniero il Duce. Praticamente siamo rimasti ad allora».
«Possibile?».
«Un po’ come la vicenda Celestiniana: un grande “tesoro”, una grande risorsa, un grande volàno. Ma solo sulla carta. Tanto è vero che anche noi siamo stati beffati: abbiamo pensato a proteggere il Papa ma non Papa Celestino».
«Beh, allora ci sono delle responsabilità. Sul mio Celestino V posso capire che abbia prevalso l’ostracismo contro la sua rivoluzione all’interno della Chiesa. Ma per il resto?».
«E’ un discorso difficile».
«Che fa, anche lei mette la testa sotto la sabbia? Il tesoro è sopra la sabbia, non sotto».
«No, da tempo vado facendo una riflessione: possibile che di fronte ad un tesoro, nessuno è stato capace di farlo fruttare? E’ davvero un tesoro o solo un miraggio?».
«Celestino V ed il suo messaggio sono di certo un enorme tesoro. Basta dissotterrarlo».
«A proposito di tesoro di Celestino... Lo sa, signor Giacomo, che anche per il nostro amato Papa Eremita si è ipotizzata l’esistenza di un misterioso tesoro?».
«Mi ha già accennato, mi pare, al fatto che il foro nel cranio del Santo potesse riferirsi alla ricerca, quasi ”chirurgica” vista la precisa conformazione del buco rettangolare, di un qualche tesoro che poteva essere nascosto lì dove nessuno sarebbe mai andato a cercarlo nel cranio stesso del Santo».
«Sì, forse è collegata anche al foro nel cranio la leggenda del tesoro che Celestino V avrebbe trovato a Sulmona».
«Come, come? La leggenda di un tesoro? Perché non me ne ha mai parlato?».
«Perché l’ho scoperto da poco. Non ne sapevo nulla nemmeno io. Ero certo che l’avrebbe interessata e così, oggi, mi sono portato dietro la scheda che avevo messo da parte».
«Legga, che aspetta!».
«Ok. Mentre aspettiamo la genziana, vado: “Publio Ovidio Nasone è il più importante personaggio di Sulmona. Nato nel 43 a.C. in una famiglia benestante erede di un’antica gens equestre, Ovidio e il fratello Lucio furono mandati a Roma per studiare grammatica e retorica alla scuola di Arellio Fusco e Porcio Latrone. Lucio, che morirà prematuramente, avrebbe voluto esercitare l’attività forense, mentre Ovidio eccelleva nello scrivere d’istinto versi ingegnosi e brillanti, che ne rispecchiavano il carattere passionale...”».
«Non credo mi vorrà leggere tutta la biografia di Ovidio...».
«Certo che no. Ma che senso ha parlare di una faccenda se non l’inquadriamo nel suo contesto?».
«Giusto. Anche con l’amica sua dobbiamo cercare di fare la stessa cosa. Ma lei spesso esagera... Prosegua, per favore, cercando di stringere».
«Ok, salto e vado al dunque. Vediamo... Ah sì, ecco qui: “La gente di Sulmona, nel corso dei secoli, tramandò oralmente una serie di notizie sulla vita del ”poeta dell’amore”, Ovidio, che si mescolano fra realtà e fantasia. Nel Medioevo si tramandava di Ovidio mago e della sua villa piena di trappole e meraviglie per allontanare i curiosi e al cui interno vi era un pozzo dentro cui il poeta, dannato, parlava col demonio in persona. Avendo scritto opere giudicate licenziose se non scandalose, era considerato un donnaiolo e l’artefice di un infallibile filtro afrodisiaco (grazie ai suoi noti poteri magici), capace di risvegliare gli ardori, di unire o separare gli innamorati...”».
«Il “viagra di Ovidio”! Avesse saputo quel che accadeva nel Duemila, il poeta davvero avrebbe scoperto una miniera d’oro ma non credo sia questo il tesoro che cerchiamo...».
«Sono al punto: ”...Tuttavia la grandezza e il prestigio di Ovidio presso la gente peligna erano così sentiti che si tramandava pure che, nell’ultima parte della sua vita, il poeta abbandonò la magia e fece penitenza sul Morrone, diventando un perfetto cristiano. La villa è stata da sempre al centro delle leggende popolari. Il luogo in cui si pensava sorgesse è la zona di Fonte d’Amore, alle pendici del Morrone, dove sono stati scoperti i resti del Tempio di Ercole Curino. Naturalmente all’interno di questa fantomatica villa era presente un immenso tesoro che sarebbe stato trovato, secoli dopo, da”... Indovini un po’?».
«Il nostro?».
«Esatto. “Celestino V. Il Papa Eremita lo avrebbe in parte utilizzato per la costruzione della Badia sulmonese di Santo Spirito: il resto del tesoro sarebbe poi sprofondato sottoterra e nessuno l’ha più ritrovato...”».
«Un tesoro nascosto! Celestino magari ci ha finanziato anche la costruzione della basilica di Collemaggio».
«Ho fatto anch’io questa ipotesi. Comunque ho approfondito la questione ma, stavolta, in biblioteca. Ed ho scoperto che questa leggenda ha incuriosito molti. Per esempio la scrittrice inglese Anne Macdonell che nel 1908 pubblica a Londra un libro, dal titolo “Negli Abruzzi”, nel quale rilancia tale leggenda della quale s’era occupato anche il famoso antropologo peligno Antonio De Nino alla fine dell’Ottocento. Ho ritrovato il volume della Macdonell, che peraltro si sofferma nel descrivere i pastori e la transumanza delle greggi dall’Abruzzo alle Puglie, e mi sono fatto una fotocopia delle pagine 261 e 262 che ho tra le mani».
«Ci avrei giurato! La vedo meglio nelle vesti di un topo di biblioteca più che di un ticchettante maniaco su un mouse di un computer. Su, legga che questa storia mi intriga!».
«Vado: “Ecco la leggenda del Papa Eremita e del tesoro del mago Ovidio”... A questo punto iniziano le virgolette perché la scrittrice inglese cita il De Nino...».
«Vedo che ha studiato, bravo! Ma ora legga».
«Aperte le virgolette: “Mentre era Papa, San Pietro Celestino studiò le opere di Ovidio e appurò che tra le macerie della villa del poeta, alle falde del monte Morrone, era nascosto un gran tesoro. Egli pensò di costruire la Badia di Santo Spirito nelle vicinanze di Sulmona e si fece fare perciò un disegno bellissimo. La gente che vedeva il disegno disse: ‘Santo Padre come farete a terminare una fabbrica tanto grande?’. Il Papa rispondeva: ‘Pietre e calce potranno mancare, ma non ci mancheranno i quattrini’. Nessuno sapeva che il Papa poteva disporre di un tesoro che non finiva mai. Il Papa rinunciò ad essere Papa, partì da Roma e tornò alla falde del monte Morrone, dove aveva fatto penitenza. Poi di notte, andò a scavare il tesoro e trasportò i denari nel luogo dove doveva fabbricare la Badia. Si cominciò la fabbrica. Ci volevano quattrini con la pala, ma i quattrini non mancavano. San Pietro, ogni sabato che doveva dare la paga agli operai, andava a prendere tre sacchette d’oro e tre d’argento. Quando la Badia fu terminata il tesoro si richiuse. E da allora nessuno ha mai potuto sapere il punto preciso dove sta e come si fa a prenderlo. Fatta la Badia, che se ne doveva fare San Pietro del tesoro? Il tesoro dell’anima già lo possedeva e quello gli bastava”».
«Grande, grandissimo Celestino! Anche in una leggenda che non regge».
«Non regge?».
«Ma sì, viene citata Roma. Sbaglio o Celestino a Roma non ci è mai voluto andare? E’ uno dei nodi, o no, della questione celestiniana il suo rifiuto, morale e materiale, della Curia romana che considerava corrotta? Figuriamoci, poi, se una volta eletto Papa aveva il tempo di studiare Ovidio! Eppoi dopo le dimissioni fu fatto prigioniero da Bonifacio VIII: non poté certo dedicarsi alla sua Badia morronese se era nella celletta della rocca di Fumone!».
«Lei è diventato davvero un celestiniano!».
«Questa del tesoro di Ovidio, comunque, mi mancava».
«Andiamo, rischiamo di far tardi».
«Andiamo dove?».
«Ad un’altra chiesa di San Pietro».


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