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La Missione di Celestino - Parte II, Cap. 8

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«Cristo! Ma qui è pericoloso, quasi un suicidio. Ho visto la morte in faccia almeno tre volte su quelle maledette creste». Il signor Giacomo aveva lo sguardo terrorizzato. Il relativamente comodo sentiero che parte da Campo Imperatore, a duemila metri di quota, in direzione della vetta di Pizzo Cefalone, a 2.553 metri, ad un certo punto diventa una stradina sospesa tra due strapiombi sulle rocce. Il sovrintendente era sfilato sicuro; lui, invece, aveva dovuto richiamare tutte le proprie energie mentali e, più volte, aveva avuto la forte tentazione di desistere. Ma, ad ogni crisi, vista la difficoltà di girarsi per tornare indietro, aveva optato per il proseguire. Nemmeno lo scenario mozzafiato che s’era aperto, all’improvviso, dallo sperone su cui era stata issata la grande Croce, una sorta di balconata di pietra affacciato sul mondo, riuscì a confortarlo. Anche perché, mentre cercava di affacciarsi per guardare meglio il mondo da quel balcone, fu subito richiamato con un urlo dal sovrintendente («Attenzione, lì c’è uno strapiombo!») che lo fece ritrarre spaventato.
«Ma che razza di “Sentiero del Papa” è questo!» disse il signor Giacomo quando si fu ripreso dall’ulteriore spavento.
«No, il “Sentiero del Papa” non è quello che abbiamo fatto noi. Lo vede? Il sentiero parte da valle, lì sotto, dalla strada provinciale che porta alle sorgenti di San Franco, e, zizzagando, arriva a quei pratoni. Da lì, cresta cresta, si arriva fin qui su. Per percorrere il vero sentiero occorrono almeno quattro ore di cammino per una persona allenata ed altrettante per ridiscendere: non era il caso, per lei».
«Otto-nove ore di cammino, per giunta con questi scarponi che mi stanno mordendo i piedi come cani rabbiosi? Non ce l’avrei mai fatta...».
«Appunto ho scelto un percorso alternativo. C’è quel breve tratto un po’ più impegnativo ma, almeno, in un’ora e mezza siamo in vetta. Guardi che spettacolo magnifico da questo balcone naturale!».
«Almeno potevano metterci una balaustra a questo...balcone. Impegnativo? Io direi proibitivo. Non credo che qui possa arrivare chiunque».
«Certo non è un posto per pellegrini della domenica».
«Non è proprio per i pellegrini...».
«E’ stato scelto perché è un luogo assai significativo: a questa vetta, a 2.424 metri di quota, gli alpinisti avevano dato il nome di “Gendarme” perché domina e controlla tutta la vallata. Sotto questo aspetto, è stata una scelta indovinata. Un luogo simbolo, spirituale. Pensi che un tizio, suggestionato evidentemente dalla spiritualità del luogo, ha lasciato una lettera nascosta tra queste rocce. Un mio amico ci ha scritto un bellissimo articolo. Dovrei averlo nella mia cartellina sul Papa che ho dentro lo zaino...».
«Visto che c’è, perché non tira fuori anche un po’ di quella cioccolata? M’è venuto un languorino....».
«Visto che serviva, la cioccolata! Eccola. Ho anche una piccola borraccia con della genziana. Sentirà che gusto diverso qui in altura».
«Cioccolata bianca e genziana: che gentleman! Chi ha trovato la lettera?».
«Questo lo ignoro. Sì, la scheda, per fortuna, ce l’ho appresso. Ascolti: “E’ la montagna il luogo della legge, che viene rivelata; scenografia dei patti, giuramenti, della memoria e delle risposte: ‘Vedendo che c’era tanta gente, Gesù salì il Monte...’, e spesso della metafora, sempre più evocata per rappresentare l’idea divina, la trascendenza, il sublime: ‘La Montagna di Dio’, il Monte Sinai. E’ il luogo del ritiro, la montagna, della silenziosa opera di ricostruzione del tempo trascorso, della ricerca, ‘Santuario’ eremitico del passato che sembra rincorrersi tra le cime, le balze rocciose, le vette che si scoprono lentamente nel cammino verso l’alto, con la dolorosa e a volte coraggiosa fatica dell’ascesa, tanto irrazionale e allo stesso tempo mistico profondo desiderio di gettare anche per un attimo gli occhi da lì, dalla vetta, che non è il punto di arrivo, la meta del cammino, ma spesso, l’inizio, la parte più difficile... ‘Le montagne non s’incontrano mai...’ ma l’unica ‘immagine’ spostata indietro nel tempo è quella della legge che unisce, il patto siglato sulla montagna che accomuna il Vecchio e il Nuovo Testamento, e oltre, supera le barriere religiose, avvicina Atene e Gerusalemme....”».
«Gerusalemme... Ci siamo».
«... “Atene e Gerusalemme, il mondo giudaico cristiano e il mondo greco. Platone considerava Minosse il più acuto legislatore dell’antichità poiché si recava sul Monte Ida, a Creta, nell’antro di Giove. ‘Guardando le cime di monti- ha scritto in un suo discorso il Papa- si ha l’impressione che la terra si proietti verso l’alto, quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l’uomo sente, in qualche modo, interpretata la sua ansia di trascendenza e di infinito’. Ma anche di confessione, ammissione, tentativo di purificazione dell’anima che ha cercato quell’uomo, con una lettera, lasciata sotto una pietra diverse settimane fa sulla cima del Papa del Gran Sasso d’Italia, dalle parole meditate, laceranti, scritte nella singolarità del paesaggio di cresta, in quota, che quella persona ha voluto raggiungere a tutti i costi, per segnare il suo tempo”...».
«La lettera, che dice la lettera?».
«Ci stavo arrivando... “Questo il testo della lettera: ‘Caro Gesù, sono giunto su questa cima dedicata al Papa per proporti un radicale cambiamento della mia misera vita. Dopo anni passati nella più totale dissoluzione schiavo del male servitore dell’egoismo, del demonio, del materialismo, della falsa testimonianza, dedito all’inganno, servitore solo di me stesso, col vuoto nel cuore e la solitudine nell’anima, ti prego insegnami come conoscerti e come servirti con lealtà e rispetto; prendi il mio cuore avvelenato e trasformalo in un cuore dedito al Signore. Come uomo mi manca sia la forza di volontà, sia i mezzi per cambiare lo stato delle cose di questa società. Aiutami a ritrovare i valori della religione, della famiglia, dell’amore verso il lavoro. Tu che vedi la mia disperazione stendi la tua mano benevola su di me e guariscimi. Caro Papa, a dire il vero non ti conoscevo, non ti ho seguito nei tuoi discorsi, nei tuoi viaggi e mi dispiace profondamente visto come mi sono sentito il 2 aprile 2005. Dall’alto di questa cima veglia su di me, prega per me e insegnami ad amare e servire Gesù secondo la tua grande visione della Chiesa’. L’acqua prima, e le prime nevi poi, su quella cima, hanno ‘alzato’ le parole, quella lettera si è aperta, lentamente, e in tanti frammenti ci piace pensare, le frasi sono state portate dal vento, hanno viaggiato spinte dalle correnti, sparse sul Gran Sasso si sono depositate nei brecciai, sulle tante vette, nelle valli tra il silenzio e le voci arcane della montagna, che ascolta. Piacerà sicuramente al Papa”».
«Bellissima. Ne vorrei una copia, se non le dispiace».
«Sapesse quante volte l’ho letta e riletta. Bella, bella davvero».
«E la Croce, come hanno fatto a portarla fin qui».
«Con l’elicottero».
«Dicevo, io! E queste icone sulla croce intorno a quella del Papa, di chi sono?».
«Una, quella qui sul braccio sinistro della croce, dovrebbe conoscerla. E’ il nostro».
«Il mio Celestino! Beh, se lo meritava di stare in questo paradiso. E le altre?».
«Sono, con Celestino V, le immagini in bassorilievo fuse in bronzo e ceramica dei quattro Santi protettori della città significativamente piazzati attorno alla figura del Papa, posta al centro fra le braccia e l’asse verticale della croce. In alto c’è San Massimo D’Aveia Levita e Martire, patrono della città; sul braccio destro c’è San Equizio Amiternino Abate, precettore di San Benedetto da Norcia. E...».
«...E qui in basso non può che essere San Bernardino da Siena».
«Esatto».
«E la sigla che significa?».
«Allora a Roio non mi stava a sentire...».
«Lei ha una scheda anche per trovare la toilette! Come faccio a ricordare tutto quello che mi legge?».
«E’ il monogramma di San Bernardino “IHS”, che sta per Iesus Hominum Salvator».
«Croci, icone, simboli. E’ questo, dunque, l’obiettivo dell’amica sua. Farci toccare con mano la potenza spirituale delle icone, dei simboli. La croce, questa Croce, come un totem».
«E’ una buona analisi. D’altra parte, sfilandoci sotto il naso la maschera del nostro Celestino, non hanno fatto altro che rilanciare il messaggio della potenza di una reliquia, di un simbolo, di un totem».
«Non mi meraviglierei se nel prossimo passaggio la sua amica ci portasse a toccare con mano un’altra ”reliquia”, quale icona della potenza spirituale del suo messaggio».
«Per adesso dobbiamo pensare alla discesa».
«La qual cosa mi mette angoscia».
«Alla trattoria hanno un’ottima genziana. Qui sul Gran Sasso si trovano le radici migliori e, seppure sia proibito coglierle, in molti la producono in proprio».
«La succulenta carota da lei appena mostratami non allevia la preoccupazione del bastone».
«Quello è un metodo per gli asini».
«Grazie!».
«Non faccia il permaloso. Andiamo. Mi segua passo passo: il tratto difficile è breve».
«E andiamo!».


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