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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 45

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



45.PER ORA VINCE IL CORAGGIO DEL DUBBIO
24. 11. 1991



«Ritenuto di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, la Corte ordina... ». Nessun applauso ha salutato, ieri sera, l'ordinanza con la quale la Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila ha sostanzialmente “stracciato” la sentenza di primo grado con la quale Michele Perruzza era stato condannato all'ergastolo.
Una clamorosa ordinanza di tre pagine, venuta dopo 6 ore e mezzo lunghissime di camera di consiglio, con la quale i giudici d'Appello hanno detto che dagli atti non emerge la certezza necessaria per condannare un uomo al carcere senza speranza come aveva fatto in 3 ore e mezzo di camera di consiglio, la Corte di primo grado nel marzo scorso.
Dall'analisi degli atti durante tre udienze sono invece emersi dubbi ed incertezze su tutti gli aspetti focali, tanto che la difesa ha avuto l'abilità e lo spazio di costruire una versione logica e documentata perfettamente, opposta a quella prospettata dalla sentenza di primo grado.
Una versione che individua nel figlio minore di Perruzza colui che portò Cristina nel “viottolo della morte”. Perciò la Corte d'Appello (Tarquini presidente, Montinaro a latere più sei giudici popolari) tenterà di chiarire nell'udienza che è stata aggiornata a venerdì prossimo 29 novembre.

Il dubbio chiave. La Corte, nell'ordinare la “rinnovazione” parziale del dibattimento ha disposto che venga riascoltato il figlio tredicenne di Perruzza che si è autoaccusato del delitto. «Un nuovo esame del testimone» lo ha definito l'ordinanza con la quale la Corte resta ferma sul punto che il minore non è un “co-indagato” per lo stesso omicidio poiché il Gip presso il Tribunale dei Minori ha archiviato il procedimento a suo carico. L'arringa dell'altro ieri dell'avvocato Attilio Cecchini, uno dei due difensori di Perruzza, è riuscita a recuperare «il protagonista principale della vicenda» che in primo grado non si riuscì ad “esaminare” a dovere per la nota questione dell'”incompatibilità”.
Ovvero perché Michele Perruzza venne difeso dall'avvocato Leonardo Casciere che aveva assistito in precedenza il minore e che quindi giammai avrebbe potuto percorrere questa unica strada alternativa al muratore. «Il minore, questa figura chiave, non può essere considerato un testimone - commentava ieri dopo la lettura dell'ordinanza l'avvocato Cecchini - come la Corte sostiene. E' un co-indagato, anzi co-imputato, e perciò dovrà essere ascoltato con tutte le garanzie ed assistito da un difensore».
La Corte invece, ha disposto che il ragazzo, allontanato nel maggio scorso dalla madre con un provvedimento del Tribunale dei Minori, venga accompagnato soltanto da un assistente sociale e non dovrà avere contatti con i suoi familiari. Il ragazzo, dunque, non potrà parlare con la madre che negli ultimi tempi non avrebbe mai cercata.

Una superperizia. L'ordinanza non accoglie soltanto la sollecitazione della difesa a riascoltare il minore, sollecitazione che di fatto riapre il processo alla luce dell'unica verità che «l'assassino è certamente in casa Perruzza». E' stata accolta anche la richiesta di espletare una nuova perizia medico-legale che chiarisca una lunga serie di dubbi sorti specialmente dopo la “scoperta” del sasso sotto sequestro, toccato con mano a distanza di ben 15 mesi dal fatto nell'aula d'Appello su richiesta della difesa.
Sasso che non sembra proprio avere le caratteristiche, per il peso e la forma, della pietra con la quale Cristina sarebbe stata colpita per quattro volte al capo.
In particolare la Corte, nominando un perito (il professor Silvio Merli, dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Roma) vuole sapere se le lesioni al capo sono state provocate prima o dopo la morte e se sono da attribuire ad un trauma attivo (un colpo dato da qualcuno) o passivo (cioè una caduta); se le impronte delle dita sul collo della bambina sono o meno compatibili con la mano dell'imputato; se la traccia ematica trovata sulla pietra riesca a ricostruire l'intensità dell'emorragia di sangue nel luogo del delitto. In sostanza la Corte chiede che «venga ricostruita in via generale la dinamica e la meccanica del delitto».

Le incertezze sul Dna. Non bastassero i dubbi precedenti, la Corte vuole anche riascoltare e perciò lo ha citato per l'udienza di venerdì prossimo, il professor Bruno Dallapiccola, l'esperto nominato d'ufficio la cui perizia ha accertato l'identità ad alte percentuali tra il sangue di Cristina e quello trovato sulle mutande sequestrate in casa Perruzza e quello dei capelli presenti sulla canottiera. Il professor Dallapiccola sarà sentito sui dubbi sollevati dal perito della difesa, professor Angelo Fiori.
Non c'è certezza che la posizione del minore sia stata sufficientemente scandagliata; non c'è certezza sulla dinamica e sulla meccanica del delitto e non c'è certezza sulle analisi del Dna. E' vero che «l'assassino è in casa Perruzza»; è vero che Michele Perruzza non ha mai voluto parlare né per confessare il delitto né per accusare il figlio ed è vero che la moglie del muratore ha contribuito ad ingarbugliare la matassa.
Ma in base a quali prove certe un uomo è stato condannato a morte?


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