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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 40

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



40. DIFESA GIA' DISARMATA?
21. 11. 1991



«Papà quando torni a casa?». Alla domanda del suo figliolo più piccolo di 8 anni (l'età di Cristina) che lunedì sera è andato a trovarlo in carcere insieme con la madre, Michele Perruzza in lacrime ha risposto: «Devo stare qui ancora un po' di giorni». Lunedì sera, alla vigilia del processo di secondo grado davanti alla Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila, la speranza del muratore di Balsorano accusato di aver ammazzato la nipotina, era ancora viva.
Ma quella speranza è apparsa subito fortemente compressa dalla prima, intensa, giornata di ieri del processo d'appello.
Tanto che a meno di acrobazie della pur agguerritissima difesa, sembra potersi riaprire ad una sola condizione: che Perruzza, ormai sull'orlo della conferma della condanna al carcere a vita chiesta già ieri dalla Pubblica accusa, finalmente decida di parlare. Dica come sono andati i fatti. Esca dal mutismo.
Difesa “bocciata”. Le più importanti eccezioni che miravano ad ottenere l'annullamento del processo di primo grado, sono state tutte respinte dalla Corte (Tarquini presidente, Montinaro a latere, più sei giudici popolari tra cui tre donne). Dopo puntigliose relazioni degli avvocati Attilio Cecchini e Antonio De Vita; dopo la netta opposizione del Pubblico ministero (il sostituto Procuratore generale Antonio Palumbo) e della parte civile (avvocati Antonio Milo e Giancarlo Paris) la Corte s'è ritirata in camera di consiglio dalla quale è uscita con una lunga ordinanza per rigettare tutto.
“No”, quindi, all'“ingresso” nel fascicolo dibattimentale dei verbali della confessione- ritrattazione- accuse al padre del figlio tredicenne di Perruzza. “No” alle sollevate irregolarità del verbale di repertazione dei capelli trovati su alcuni indumenti intimi del muratore.
”No” alla ricusazione dei due giudici della Corte di primo grado, istanza reiterata dalla nuova difesa per sottolineare che i giudici Villani e Como, avendo fatto parte del Tribunale della Libertà che decise di rigettare la domanda di scarcerazione di Perruzza, avevano perciò deciso già nel merito sul caso, per giunta visionando alcuni atti del Pm che il giudice di primo grado non avrebbe mai potuto vedere.
E “no”, soprattutto, alla incompatibilità dell'ex difensore di Perruzza, avvocato Leonardo Casciere che, per aver già assistito il figlio minore indagato per lo stesso omicidio, si precludeva in partenza la possibilità di esplorare l'unica vera alternativa al muratore.
«Perruzza è stato difeso». Secondo la Corte, quindi, non è vero che al muratore non sia stato garantito né diminuito il diritto alla difesa. La Corte ha risolto questo punto nodale asserendo che la legge prevede l'incompatibilità solo quando ci si trovi di fronte a due imputati per lo stesso reato e nello stesso processo.
E comunque, la presenza dell'altro difensore, l'avvocato Domenico Buccini (pur assente al decisivo interrogatorio del minore in primo grado) sanava ogni incompatibilità anche se, ha detto il Pg Palumbo «moralmente mi preme dire che Casciere non doveva accettare quell'incarico».
Oltre a questioni di diritto alla nuova difesa è stato sbattuto in faccia il fatto che, in fondo, è stato Perruzza a scegliere la propria difesa.
E' stato Perruzza ad abbandonare i primi difensori, gli avvocati Maccallini che adombravano la responsabilità del figlio.
E' stato Perruzza che prima ha voluto e quindi revocato l'avvocato Casciere. «Se gli avvocati che ci si è scelti - è stato detto - non indovinano la linea difensiva, non si può venire in Appello a chiedere l'annullamento del processo. Se ciò fosse possibile, si potrebbe così chiedere l'annullamento per chissà quanti processi».
Le altre “carte”. In mano alla difesa sono ancora rimaste “carte” preziose. Come quella di puntare sulla “rinnovazione” del dibattimento, ovvero di ottenere dalla Corte la possibilità di riascoltare alcuni testimoni e soprattutto il figlio minore e la moglie del muratore.
Ma s'è aperta anche la strada per chiedere una nuova perizia sulle cause della morte della piccola Cristina dopo che ieri sono stati finalmente visionati in aula i « corpi di reato» e tra questi il sasso che, essendo stato sequestrato, si presume sia stato quello col quale l'assassino ha inferto quattro colpi, sempre tangenziali, sul capo della bambina.
«Quella pietra pesa 13 chili! - ha commentato l'avvocato Cecchini - impossibile che sia stata usata per colpire la bambina, le avrebbe maciullato la testolina. La perizia su questo punto fondamentale, non è chiara e perciò va rifatta». Su tali richieste, preannunciate ma ancora da illustrare deciderà la Corte.
«Condannatelo all'ergastolo». La conferma della sentenza di primo grado giudicata «logica-corretta- giusta», è stata chiesta prima dall'Accusa con una requisitoria che si è limitata a smontare i «motivi» d'appello presentati dalla difesa.
Quindi, è stata “appoggiata” dal primo intervento della parte civile (avvocato Milo) il quale, in un'appassionata ricostruzione, ha anche denunciato «un'attività di saccheggio delle indagini e del processo nel tentativo da parte di chi aveva solo interessi personali, di screditare investigatori e magistrati».
Oggi pausa. Domani tocca agli avvocati Paris e Cecchini.


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