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Oltre la Maschera il Vero Celestino

Recensione di mons. prof. Giovanni Maceroni
in occasione della presentazione del romanzo
Libreria "Gulliver", Rieti, 11 dicembre 2005


Ordito del romanzo

La Maschera di Celestino Giunge a L'Aquila, nel mese di giugno, via fax, la notizia che il papa si recherà nella città il giorno 29 agosto per rendere omaggio ed onore al predecessore Celestino V. La notizia, già conosciuta dal sovrintendente della Perdonanza, viene ricevuta nel municipio, dove si presenta, inaspettatamente, il signor Giacomo che si dichiara corrispondente de "L'Osservatore Romano" ma, in realtà, è un agente di pubblica sicurezza che si dovrà adoperare per evitare un eventuale attentato al papa.

L'ossatura del romanzo si snoda in riflessioni su personaggi e realtà riguardanti un ampio raggio spazio-temporale: la distruzione delle torri gemelle a New York, l'Opus Dei di Josemaria Éscrivà, i Templari, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, la Santa Casa di Loreto, Gioacchino da Fiore, San Luigi IX re, papa Gregorio X, Carlo II D'Angiò, papa Paolo VI, i politici Lorenzo Natali e Aldo Moro, Ponzio Pilato, Giuliano l'Apostata, papa Giovanni Paolo II, Ghandi, Martin Lhuter King, la profezia di Malachia, le crociate, i giubilei, le indulgenze, la storia e l'arte dei principali monumenti de L'Aquila.

Sono messi in evidenza la strategia della tensione politico-religiosa e il terrorismo. I principali monumenti, teatro dell'ordito del romanzo, sono: la basilica di S. Maria di Collemaggio, il castello cinquecentesco, la chiesa di S. Pietro a Coppito e il palazzo Margherita, sede del municipio.

Solo un aquilano verace, qual è il quarantenne Angelo De Nicola - conoscitore di una cultura analizzata sia nella teoria che nel vissuto quotidiano della sua gente e nelle manifestazioni di tradizioni socio-politiche-religiose della città -, poteva immaginare e scrivere, nella sua maturità umana e culturale, un romanzo quale "La maschera di Celestino".

Si tratta di un'opera letteraria pregevole del genere storico-poliziesco. È un'opera che spinge a riflettere su problematiche antiche, recenti, attuali, ed anche future, aventi i connotati della globalità. Deve essere letta con molta attenzione, cercando di scoprire, sotto gli anagrammi e gli enigmi, il vero volto di Celestino V e le allusioni ad attentati e fatti terroristici. La maschera di Celestino è un romanzo ricco e pregnante nel quale i fatti narrati affascinano e pressano ad arrivare alla fine ma si deve stare sempre attenti a capire tutti gli snodi e quindi a non correre e non snobbare nessuna parte.

L'Autore che, dopo aver pubblicato il romanzo, si sta impegnando a far discutere sul messaggio celestiniano in varie città, paesi e associazioni, ha fatto bene, tra questi luoghi, ad inserire la vicina città di Rieti, che porta nella sua cultura non solo aspetti spirituali comuni a L'Aquila ma anche una presenza tangibile del papa Caetani, antagonista di Celestino V, presenza riscontrabile nell'ardito arco del palazzo papale di Via Cintia, che venne costruito dopo il famoso schiaffo di Anagni, perché Bonifacio VIII, mentre si trovava nel palazzo durante un terremoto del 1303, temette che potessero crollare sia il palazzo sia la contigua cattedrale.

Nella vita di Celestino V la sostanza midollare del vangelo
Celestino V fu il papa che abolì le crociate contro l'Islam, che ispirò la sua vita alla sostanza midollare del vangelo, che sognò una Chiesa spirituale delle origini secondo le indicazioni di Gioacchino da Fiore, che respinse una Chiesa amante del potere politico ed economico.

Gli ideali socio-politici-religiosi di Celestino V non si sopirono con la sua morte ma rivissero, qualche anno dopo, nel 1328, nell'elezione, come antipapa, al soglio pontificio, dell'abruzzese francescano Pietro Rinalducci di Corvaro che prese il nome di Niccolò V, riallanciandosi al papa francescano Niccolò IV, morto il 4 aprile 1292, alla cui scomparsa i cardinali, non trovando l'accordo su uno di loro, elessero, all'unanimità (11 cardinali su 11), il 5 luglio 1294, a Perugia, l'eremita Pietro da Morrone che fu intronizzato a L'Aquila nella basilica di Collemaggio il 29 agosto 1294.

Occorre chiedersi le ragioni che avevano indotto il sacro collegio ad eleggere papa un semplice monaco eremita, ritenuto privo di esperienza e totalmente estraneo alle problematiche della Santa Sede. Vi è da chiedersi, inoltre, le ragioni di una elezione avvenuta a voti unanimi. L'ipotesi più attendibile che si può avanzare è quella di un tacito accordo fra tutti i cardinali al fine di rinviare nel tempo la nomina di un Papa non di transizione. I Cardinali pervennero a questa soluzione, con ogni probabilità, pensando di poter gestire, ciascuno a modo proprio, la totale inesperienza degli intrighi di Curia del monaco eremita, divenuto papa, al fine di trarne vantaggi più o meno cospicui.

Ripercorriamo, sinteticamente, la vita di Celestino V che troviamo narrata, in modo sparso, dall'Autore nei dialoghi tra i due protagonisti: Giacomo e il Sovrintendente della Perdonanza, al fine di gustare meglio il romanzo. Celestino V nacque verso il 1215 nel Molise; prese l'abito benedettino nel 1230; si applicò allo studio nell'abbazia di Montecassino; ricevette il sacerdozio nel 1239; visse per 45 anni, dal 1240 al 1265, sul monte Morrone, in una delle Comunità di religiosi da lui fondate; fece consacrare il 25 agosto 1288 la chiesa di Collemaggio, da lui voluta; indisse il 18 settembre il suo unico concistoro in cui nominò ben 13 nuovi cardinali dei quali 7 di nazionalità francese; istituì, con una bolla, la Perdonanza de L'Aquila, il 29 settembre 1294; trasferì a Napoli la corte papale nell'ottobre 1294; lesse, il 13 dicembre 1294, in pubblico concistoro, la bolla con la quale sancì il diritto del papa alla rinuncia e il dovere dei cardinali di accettarla, e, in pari data, presentò la sua rinuncia e si spogliò delle vesti papali; si ritirò nell'eremo di S. Onofrio sul Morrone.


Celestino V martire innocente e suo messaggio indistruttibile

I cardinali, poiché la Chiesa era restata di nuovo senza papa, si riunirono in conclave a Castelnuovo di Napoli il 24 dicembre 1294 ed elessero papa Benedetto Caetani che prese il nome di Bonifacio VIII e si fece incoronare a Roma il 23 gennaio 1295 nella basilica di S. Pietro.

Bonifacio VIII, temendo uno scisma da parte dei Cardinali a lui contrari mediante una contrapposizione dell'Angelerio, diede disposizioni affinché il vecchio monaco-eremita, Celestino V, fosse arrestato. Questi, venuto a conoscenza della decisione del nuovo Papa, tentò una fuga verso oriente, ma il 16 maggio del 1295 fu catturato presso Vieste. Fu rinchiuso in carcere nella rocca di Fumone (tra Anagni e Frosinone) dove morì il 19 maggio 1296 all'età di 81 anni. Si disse che fosse stato assassinato per ordine del Caetani.

Il papa avignonese Clemente V (1305-1314), passato alla storia per la soppressione dell'ordine dei Templari e come il Papa che spostò la Santa Sede ad Avignone, il 5 maggio 1313, dichiarò santo il monaco-eremita del Morrone, le cui spoglie mortali avevano trovato sepoltura nel monastero di S. Antonio a Ferentino. Il 27 gennaio 1327 Biagio da Forca (sacerdote), Fra Pietro di Rascino (laico) e Davide da Monte (visitatore), trafugarono le ossa di San Celestino e le portarono nella Basilica di S. Maria di Collemaggio nel mausoleo scolpito da Girolamo da Vicenza.

Ribadiamo che bene ha fatto Angelo De Nicola a presentare il suo interessante romanzo a Rieti, anche perché il castello di Rascino- all'epoca dei fatti faceva parte dell'Abruzzo secondo ulteriore-, ora diruto, si trovava a ridosso del lago di Rascino, in provincia e diocesi di Rieti.

Passiamo ora all'attualità del messaggio di San Pietro Celestino, nel quale messaggio l'Autore fa spesso riferimento a Gerusalemme. Riportiamo, in proposito, un dialogo del romanzo tra il Sovrintendente e il signor Giacomo. "Il messaggio, il messaggio - spiega il sovrintendente al signor Giacomo -, è come se ci volessero dire che è arrivato il tempo, per i rappresentanti delle tre religioni monoteiste, ebraica, musulmana e cristiana, di far uscire il dialogo interreligioso "all'esterno". Di fissare un punto di incontro, una sorta di Capitale permanente della Riconciliazione. E dove, se non dentro le mura di Gerusalemme, nella Città Santa, amata e contesa nei secoli dalle tre religioni monoteiste e divenuta oggi simbolo e oggetto di una competizione aspra e crudele fra ebrei d'Israele e arabi palestinesi?" (pp. 115-116).
"Pare facile: lì innalzano muri..." - fa dire l'Autore a Giacomo.
Riprende il sovrintendente: "Proprio da lì, perciò, va abbattuto il muro dell'Odio, della Paura, del Terrore: questo loro ci stanno dicendo. Ne sono certo. Stando insieme e parlando insieme...".
"Ma se lì si sparano tra fratelli...", obbietta Giacomo.
"Proprio superando il pessimismo a cui induce la situazione del Medio Oriente - riflette il Sovrintendente -, proprio componendo lo scontro continuo tra israeliti e palestinesi, si potrebbe superare quella risposta bellica che si sta dimostrando un fallimento su tutta la linea. La Politica, anche quella degli uomini di fede, deve riconquistare il suo primato sulla Guerra. La Pace non può che essere figlia di sacrificio e studio comuni delle tre religioni monoteiste alle quali, oggi, si chiede un contributo per la sua costruzione" (p. 116).


Oltre la maschera il vero Celestino con le attese del mondo

Il De Nicola svela che oggi, agli inizi del XXI secolo, si ripresentano attese e speranze, per un mondo più giusto e in pace sia nella Chiesa sia nella società civile globale, già vissute, sul declino del secolo XIII, da tutti coloro che si trovavano in consonanza con Celestino V.

Il romanzo, La maschera di Celestino, si situa in un contesto storico virtuale globale universale e si snoda, nella trama, attraverso la soluzione di intelligenti anagrammi, essenzialmente sintetici, inventati dall'Autore, per la ricostruzione, anche senza documenti, dei fatti più significativi dove corre la storia vera degli ultimi cinquant'anni.

Il De Nicola, con linguaggio appropriato, con un periodare sintatticamente buono, racconta leggende, tradizioni, fatti storici, usi, costumi, consolidamenti giuridici; narra di papi, di capitani di ventura, principi, vescovi, dignitari ecclesiastici, di nobili, signori, borghesi, di contadini e artigiani; rievoca la nascita di monumenti e attività pittorica di artisti come il pittore Saturnino Gatti; descrive la toponomastica della città de L'Aquila.

L'Autore, in questa ampia e variegata prospettiva di interessi, è soccorso, nella trattazione, sia dalla sua erudizione storico-letteraria e da una appropriata conoscenza dell'uso di Internet, sia dalla sua esperienza di giornalista di razza.

Cosa può significare il titolo del romanzo: La maschera di Celestino V? L'Autore sollecita il lettore a non fermarsi alla maschera intesa come elemento di cera ricoprente la superficie del complesso faccia-cranio ma a penetrare sotto la maschera al fine di scoprire sia il vero volto fisico di Celestino, che presenta il foro del chiodo con cui fu barbaramente ucciso, sia soprattutto la sua grandezza spirituale e morale, simboleggiate dalla sua testa in cui albergarono sentimenti provenienti dal vangelo e vissuti nella eroicità della vita, soprattutto nella disponibilità al perdono per tutti.

Il De Nicola scrive: "l'affresco emerso in San Pietro a Coppito offre all'umanità del terzo millennio il vero volto di Celestino V. Il dato è particolarmente significativo se si considera che la stessa figura di Celestino, come tramandata dalla Storia, è soggetta ad una revisione che probabilmente gli rende giustizia: non già ignorante, debole e incapace, ma uomo energico, consapevole, deciso, dotato del carisma di chi rampogna cardinali e regnanti, fondatore di monasteri e chiese. Possiamo proprio dire che va emergendo il nuovo e vero volto di Celestino" (pp.55-56).


Angelo De Nicola divulgatore di fatti storici

Il De Nicola non scrive da storico ma da narratore di storia e divulgatore di fatti storici.
Il metodo della ricerca storica così è descritto dallo storico Emilio Gentile: "Io immagino il passato come un immenso cumulo di rovine, come frammenti di un edificio, di un monumento, di cui lo storico dovrebbe capire la sagoma, l'ordine, l'architettura, la funzione e poi, dovrebbe riuscire a capire chi lo abitava e cosa faceva chi abitava in questo edificio e così dovrebbe riuscire a ricostruire il mondo culturale, cioè il modo in cui l'uomo rappresenta se stesso, il modo in cui costruisce il proprio universo di simboli e di significati, il modo in cui l'uomo cerca di vivere nel mondo (...). Teniamo inoltre sempre presente, nel definire il carattere scientifico della storiografia, che gli storici, se sono storici onesti, con tutta l'umiltà che il loro essere storici comporta, sono continuamente sollecitati a dimostrare ciò che dicono. Pensiamo a certe enormi pagine di note che fanno apparire i libri come costruzioni a due piani, il piano nobile, cioè il testo, e il piano meno nobile, cioè le note. Questo non corrisponde a verità, perché le note, che sono la continua esibizione delle prove di ciò che noi stiamo dicendo e che chiunque può controllare, caratterizzano la parte nobile di un testo (...)". (E. Gentile, L'umiltà dello storico, in "Ricerche di storia sociale e religiosa", anno XXVI, n. 50, nuova serie (giugno-dicembre 1996), pp. 18-20).

Angelo De Nicola comprende "la sagoma, l'ordine, l'architettura, la funzione (...)" del tempo, inteso in senso globale, da Celestino V ai nostri giorni; riesce "a ricostruire il mondo culturale" e "il modo in cui l'uomo cerca di vivere nel mondo"; si manifesta contemporaneo commosso e benevolo.

Angelo De Nicola si manifesta non come storico ma come narratore di storia e divulgatore di fatti storici.

I narratori di storia e i divulgatore di fatti storici sanno raccontare, sanno rendere comprensibile la storia, sanno divulgare fatti, personaggi e istituzioni. I narratori di storia prediligono il racconto; narrano tanti racconti e non cercano a sufficienza la precisione.

Il libro di Angelo De Nicola, nella sua tecnica narrativa, sciolta e lineare, è destinato al grande pubblico di lettori profani di storia; è finalizzato all'elevazione culturale del popolo.


La lirica nel romanzo di De Nicola e l'esaltazione di Paolo VI al predecessore

Riportiamo, tra i tanti passi in cui l'Autore raggiunge l'altezza della lirica, il seguente brano: "Rimasto solo, il signor Giacomo aprì il vetro, senza alcuna esitazione, tirando verso di sé la "cloche".

Quel piccolo Codice, sul momento, gli ispirò tenerezza. Ed ancora di più lo colpì quella che era stata per secoli la copertina: un tessuto sdrucito, applicato su un pannello esposto all'interno della teca per mostrarne tutto l'antico splendore. Per due volte fece per prendere quel piccolo libro dalle pagine color avorio. Per due volte ritrasse le mani dalla teca. Non era paura, la sua. Ma rispetto. Gli sembrava di profanare quell'oggetto. L'oggetto più amato dal Santo che nella sua vita eremitica aveva rinunciato a tutto ma non al suo libro delle orazioni. Si fece forza. E prima di andare all'ultima pagina, lo sfogliò senza leggere nemmeno un rigo, nemmeno una parola, ma soltanto per sentire sulla faccia lo spostarsi dell'aria e del pulviscolo della Storia" (p. 43).

Ora possiamo porci la domanda: perché questo romanzo? Pensiamo che si possa dare la risposta che demmo, nel giugno 1978, nella prefazione alla prima edizione al volume, L'Antipapa Niccolò V: "Il periodo storico, così travagliato, in cui visse ed operò Niccolò V- in questo caso Celestino V- è emblematico. Le idee portanti di quelle lotte religiose, politiche e militari: la libertà di coscienza, la povertà della Chiesa, la fedeltà al Vangelo, la sua democrazia interna, i rapporti tra religione e politica e quindi tra Chiesa e Stato (...) sono restate più o meno in letargo nei secoli successivi e riesplosero nel XVI secolo con la Riforma Protestante; hanno ripreso nuovo e gagliardo vigore nei nostri tempi, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, con imprevedibili sbocchi finali".

Molte aspirazioni popolari e di élite poste da Celestino V costituiscono ancora problemi assillanti per la coscienza civile e religiosa degli uomini del XXI secolo, soprattutto le aspirazioni profetiche di Gioacchino da Fiore- miranti, nella terza epoca, quella dello Spirito- alla pace, all'amore, alla libertà universali. Ogni epoca, secondo Gioacchino da Fiore, doveva essere preceduta da un periodo di confusione e quella di Celestino V lo era sia nella Chiesa che negli Stati.

Concludiamo con le parole che il papa Paolo VI pronunciò il primo settembre 1966 al castello di Fumone: "Il principale scopo della visita è quello di rendere onore a San Celestino V perché fu Papa, fu santo e morì a Fumone.

E morì qui, segregato, perché altri non potesse profittare ancora della sua semplicità ed umiltà, e la morte non fu per lui la fine, ma il principio della gloria, oltre che nel paradiso, anche sulla terra".

L'attentato, paventato dal signor Giacomo, si verificò, non contro il papa vivente, ma ancora contro Celestino V a cui, nel romanzo, durante l'apertura della porta santa di Collemaggio, fu staccata la maschera insieme alla testa, la parte più nobile di ogni uomo.

mons. prof. Giovanni Maceroni
Archivista Curia vescovile di Rieti,
consultore storico della Congregazione delle Cause dei Santi




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