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Prefazione dell'Autore

Don Attilio Cecchini Quando, in un'incursione a sorpresa a fine estate del 2017 nel mitico studio-pensatoio in via delle Gazzetelle, mi sono sfacciato a fargli la proposta, avrei potuto scommettere quale potessero essere le sue parole, il tono, la postura delle mani aperte a mezz'aria, e soprattutto lo sguardo, di quelli che ti penetrano nell'animo.

"Ma che mi vuoi fare, un monumento da vivo?!".

Quella, solo quella, poteva essere la risposta di "don Attilio" alla mia proposta di scrivere un saggio sulla sua vita da romanzo. Lo sapevo. E perciò mi ero preparato l'"arringa".

"Don Attilio, mi scusi se insisto, ma questo è il momento!". Non ieri, non domani. Alla vigilia delle 93 primavere e di uno stato di grazia della sua salute mentale e fisica, era assolutamente necessario riordinare i cassetti dei ricordi, a partire dal "sogno" venezolano.

"Eppoi, don Attilio, molti dei documenti ce li ho già- dissi, con la sicurezza di chi tenta il bluff, tirando fuori da una borsa da ufficio una cartellina gonfia di fotocopie e originali, che sciorinai, uno a uno, sulla scrivania. Potrei, dunque, anche fare da solo. Ha senso farlo senza il suo assenso?".

"E tu come ce l'hai tutta questa roba? Molte delle mie cose, col terremoto, sono andate perdute..." chiese "don Attilio"? Avevo quelle carte perchè me le diede lui, nel 2004, per completare e corroborare quell'ultimo capitolo ("Confessioni di un impolitico") del mio saggio "Da Tragnone a Fidel Castro" in cui la citazione, fin dal titolo, del "Lìder Maximo" (una felice intuizione del professor Carlo De Matteis) era, appunto, un chiaro, quanto intrigante riferimento alla figura di Cecchini e alla sua lunga e appassionante storia personale.

"Don Attilio" sgranò ancor di più gli occhi. Quelle carte riemergevano "miracolosamente". I ricordi riaffioravano. E con essi, le emozioni. I profumi. Le tante battaglie. L'acre sapore delle sconfitte. "Certe cose non le ricordavo più...", sospirò.

"Ecco, appunto. Farò un saggio e non una biografia. Un libro di documenti, questi documenti, non un "monumento"- cercai di insistere con voce ferma-. È un'occasione unica per chi non conosce tutto questo, per i tanti che vedono lei come un totem morale, per questa nostra città martoriata e in difficoltà, per i nostri ragazzi futuri giornalisti o avvocati o cives. Per chi ci crede, ancora".

Passò un tempo che mi sembrò lunghissimo.
Arrivò la sentenza. Con un solo cenno del capo, lo sguardo non più ruvido e le due mani rilassate sullo scrittoio. "Si stampi".

L'Aquila, 20 marzo 2018




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