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L’ULTIMO SALUTO AD UN EROE



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dal nostro inviato

PACENTRO - Su una folla straripante, una nuvola ondeggiante di labari delle associazioni combattentiste e di gonfaloni dei Comuni limitrofi è entrata con difficoltà nella chiesa stracolma già due ore. «Un piccolo, pietroso paese» abbarbicato alle pendici del Morrone, ieri, ha toccato con mano che l’Italia è in guerra. Le immagini Tv di una guerra che appare lontana in una lontana terra, sono diventate bruciante realtà quando il feretro, avvolto nel tricolore, del maresciallo Franco Lattanzio («Uno di noi, un nostro fratello» ha detto il sindaco di Pacentro), ha attraversato le strade del suo amato paese natale tagliando due ali di bandiere abbrunate appese a finestre e balconi.

Un lungo corteo dietro la salma, portata a spalla da sei carabinieri, fino a piazza del Popolo sulla quale si affaccia la chiesa di Santa Maria della Misericordia. La stessa chiesa dove quattordici anni fa, l’allora 24enne Franco, le sue quattro sorelle Rosaria, Bambina, Silvana e Amelia (quest’ultime due emigrate, come in tanti hanno dovuto fare da queste parti) ed il fratello Tonino, diedero l’ultimo saluto ai genitori stroncati da un incidente stradale ad un maledetto incrocio. Una famiglia sfortunata, i Lattanzio. Che ieri hanno subìto lo shock di un doppio funerale: al mattino quello di Stato, straziante, in diretta Tv nella basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma; nel pomeriggio, quello ancora più toccante, a Pacentro.

In cinquemila hanno voluto stringersi attorno alla provatissima famiglia. C’era tutto il paese ma anche gente comune. C’erano moltissimi carabinieri della province dell’Aquila e di Chieti e militari e c’erano tante autorità. A tal punto che, verso le 16, s’è deciso di far uscire la gente, che aveva già riempito dalle 15 la chiesa, per poter predisporre un minimo di accoglienza. Oltre al sottosegretario di Stato alla Difesa, Filippo Berselli («L’intera Italia si stringe intorno ai familiari dei nostri carabinieri. Posso dire che non sono morti inutilmente. Si avvicina il tempo del rientro ma non si modifica» ha detto), c’erano il comandante interregionale dell’Arma dei carabinieri, generale Giovanni Cetola, il comandante regionale generale Antonio Antonini, i quattro comandanti provinciali dell’Arma (Ronzo, Carideo, Bernini e D’Amelia) il presidente del Consiglio regionale abruzzese Marino Roselli ed una rappresentanza di componenti della stessa assemblea (Bozzi, Melilla, Misticoni, Di Paolo, Mascitelli, Pace, Bianchi e Domenici), alcuni parlamentari abruzzesi (la Pelino, Tenaglia, Cialente, Legnini) i presidenti delle amministrazioni provinciali dell’Aquila (la Pezzopane) e Pescara (De Dominicis), il prefetto dell’Aquila Giovanni Troiani e quello di Pescara Giuliano Lalli con i rispettivi Questori Visone (L’Aquila) e Consiglio (Pescara) con il collega di Chieti (Fiore) nonchè tanti, tantissimi sindaci della zona tutti con la fascia tricolore. Assente il Governatore Del Turco del quale era stata pur annunciata la presenza dopo la sua partecipazione ai funerali di Stato, mentre è stata subito smentita la notizia di un arrivo in elicottero del neopresidente del Senato, Franco Marini (anche lui presente al mattino a Roma).

Il vescovo di Sulmona, monsignor Giuseppe Di Falco, nell’omelia ha ricordato «la memoria del cristiano, dell’uomo e del militare», ed ha invocato la pace nel mondo. «Quanta insensibilità e talora ostilità a questo Vangelo di Pace- ha detto Di Falco-. La radice è nel peccato, nella superbia umana che, misconoscendo il Dio della pace, affida i suoi progetti alla propria visione del mondo, intrisa di egoismi, di odio, di guerre e di ignobile terrorismo. La dignità dell’uomo viene così colpita nel suo diritto alla vita, alla libertà alla convivenza pacifica e al progresso solidale».

Dopo la benedizione del feretro, sulle struggenti note di tromba del ”Silenzio”, ha preso la parola dal pulpito il sindaco della cittadina, Fernando Caparso: «Carissimo Franco, da questo piccolo, pietroso paese, con umiltà sei partito per portare la pace a Nassiriya, la nuova ”Monte Grappa”. Con il pudore, l’onestà e l’altruismo che abbiamo sempre apprezzato in te. Il nostro cuore, ora, è come la nostra madre Maiella, spezzato ma duro. Perciò la tua seconda casa a Pacentro, la caserma dei carabinieri, porterà il tuo nome, il nome del nostro carissimo Franco, il nostro eroe di pace». Un lungo, liberatorio, applauso ha spezzato la commozione e facendo di nuovo ondeggiare i labari ed i gonfaloni che, guadagnando l’uscita, hanno fatto da ”picchetto” al feretro accompagnandolo lungo le vie del paese fino al cimitero. Tra due ali di bandiere. Sventolanti. A lutto.