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LA FINE DI UN COLOSSO E DI UN SOGNO



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L'AQUILA - Con la sentenza emessa ieri dal Tribunale dell'Aquila finisce un'éra per la nostra città. E non soltanto, e basterebbe, perchè è stata dichiarata fallita la più importante società privata aquilana ma soprattutto per come un fatto impensabile fino ad un anno, è avvenuto. Innanzitutto, con la sentenza di ieri è "morta" una mentalità, un sogno, forse un'utopia: quella che un modesto muratore potesse costruire un impero, in Abruzzo, all'Aquila, a Sassa Scalo: un "self made man" nostrano che sembrava invincibile. Muore e viene sepolta la favola del mitico fondatore Iniseo Irti che i cinque figli (due dei quali non ci sono più: uno, segno del destino, è morto venerdì scorso) hanno cercato di far vivere, fino all'ultimo. Fino a quando, come può accadere anche nelle migliori famiglie, il grande affare è andato storto.

Il guaio, e grosso, è ciò che è avvenuto dopo. Cioè la gestione Maccagni che ha infangato un nome, quello degli Irti, che nemmeno una clamorosa inchiesta, alcuni fa, della magistratura aquilana e qualche sospetto di contiguità con la camorra, erano riusciti a scalfire. Perciò, oltre alla morte fisica e morale di un nome glorioso indissolubilmente legato a quello dell'Aquila, resta l'inquietante dubbio del perchè sia stata varata l'operazione Maccagni. Chi l'ha portato a Sassa Scalo? Chi l'ha sponsorizzato? Chi l'ha "benedetto"? Chi gli ha dato carta bianca? Chi, in definitiva, gli ha dato la licenza di uccidere? Qualcuno risponda: la città, in lutto, lo esige.