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RAGAZZINO LADRO DI LIBRI CONDANNATO A LEGGERE



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L’AQUILA - «Non si può mettere sullo stesso piano chi ruba motorini e chi ruba libri: il giudice deve saper distinguere. “Distingue frequenter”, distinguere frequentemente, è il motto degli intellettuali e, quindi, anche dei giudici che si devono considerare degli intellettttali e non dei superimpiegati che pedissequamente lavorano a stampino». Il giovane Gip presso il Tribunale per i minori dell’Aquila, Federico Eramo, è stupito che in molti si siano meravigliati della sua decisione: quella di condannare un diciassettenne di Pescara, che aveva rubato alcuni preziosi libri antichi in casa di un antiquario, a leggere quattro romanzi. Pena che, una volta scontata a dovere (l’imputato, a fine anno, dovrà riassumere trama e significato allo stesso giudice dopo essere stato seguito da un assistente sociale), farà evitare al ragazzo la condanna vera e propria.

Domanda: Giudice Eramo, molti hanno applaudito ma molti considerano la sua decisione una ”crocefissione”, dal momento che la lettura deve essere un piacere non una condanna.
Risposta. «Innanzitutto non si tratta di una condanna- spiega il magistrato, 37 anni, romano, al secondo incarico dopo aver fatto il giudice presso il Tribunale di Rovigo. Si tratta, al contrario, dell’applicazione dell’istituto della ”prova” espressamente previsto dal codice di procedura penale per i minori. Istituto che è, in sostanza, un contentore vuoto: tocca al giudice riempirlo, secgliendo di volta in volta. In questo caso ho applicato la legge del contrappasso perchè tu mi sembrava la migliore soluzione».

D.: Contrappasso?
R.«Sì, il ragazzo, un giovane operaio, non ha avuto la fortuna di nascere in un ambiente familiare e sociale che lo mettesse a contatto con i libri, che lo invogliasse al sapere. Io gli ho voluto dare un’occasione non gli ho imposto di essere un lettore. E come chi va scuola: mica è costretto ad imparare, ma gli viene data l’occasione di apprendere. Se la sfrutta o no è affar suo: nessuna imposizione».

D.: Ma non è che avrà pesato sulla decisione un suo particolare amore verso i libri?
R.«Non nascondo di essere un bibliolatra, un adoratore dei libri. Mia madre era biblotecaria ed io sono nato e cresciuto tra i libri. Ecco, a quel giovane operaio incensurato, ho voluto dare la stessa occasione che ho avuto io di nascere in un ambiente simile e di creescere respirando una atmosfera simile. Tutto qui».

D.: Un libro salva la vita...
R.«Perche no. Un libro è un libro: insostituibile. E come partecipare alla Santa messa dal vivo invece di vederla in televisione. Magari stravaccati sul divano, in pantofole e con le dita nel naso. Le armosfere che regala leggere le pagine di un libro non sono surrogabili».

D.: E perchè lei ha scelto di consigliare al minore proprio il ”Marcovaldo” di Italo Calvino e ”Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern?
R.«La diffusione di queste due opere ne fanno un utile strumento educativo. Il primo romanzo, quando lo lessi da ragazzino, mi fece molta impressione; Mario Rigoni Stern, poi, descrive la sofferenza. Comunque ho voluto evitare che il giovane potesse scegliere quattro libri ”leggeri”. Gli altri due libri se li sceglierà il ragazzo. Se saprà cogliere l’occasione...».