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IL SUPERTESTIMONE: I DUE PIU’ GIOVANI SI BUTTARONO PER PRIMI



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L’AQUILA - «Erano due su quel maledetto viadotto dell’autostrada Roma-L’Aquila erano solo in due e non in quattro: ci ho fatto proprio caso. Mica sono scemo. Dio mio! Allora due già si erano buttati!». Il racconto di un testimone offre un’altra chiave di lettura alla finora inspiegabile tragedia del suicidio dei quattro componenti, madre e tre figli, della famiglia romana Baracchi. Una testimonianza che dimostrerebbe quello che qualcuno, per tentare di dare una spiegazione ad un caso senza precedenti (quattro, tutt’assieme, di una stessa famiglia non era mai avvenuto) di suicido collettivo, aveva solo pensato: che mamma Anna Maria Maracchioni sapesse poco sulle reali proporzioni del dissesto finanziario dei tre figli e nulla della loro intenzione (scritta in alcune lettere, in nessuna delle quali, in effetti, è citata la madre) di farla finita.

Il testimone, rintracciato ieri pomeriggio dal Messaggero, non è uno qualunque. È Antonio Di Giandomenico, dell’Aquila, presidente della Confederazione italiana agricoltori (Cia) abruzzese. «Stavo andando a Roma con la mia auto- racconta- per consegnare importanti documenti all’Aima. Quando sono passato sul viadotto di Pietrasecca, una lingua d’asfalto sospesa a novanta metri d’altezza che come si è visto, non fa paura solo a me, ho rallentato. Proprio all’uscita della lunga curva a sinistra, c’era questa Alfa 164 ferma sulla corsia dell’emergenza. Ho notato uno sportello, sul lato destro, aperto ed una donna, vestita con un cappotto, appoggiata al parapetto del guard-rail. La donna era come accasciata sul tubo d’acciaio, con la testa sul braccio, come se stesse dando di stomaco. Un’altra persona, un uomo, era sul sedile di guida. Mi sono detto: ma tu guarda questo! Per far vomitare la moglie, si ferma su un viadotto di novanta metri a costo di far succedere una tragedia. Ed invece...».

Un passaggio nodale. Di Giandomenico parla di «marito» che potrebbe benissimo essere il più anziano dei tre fratelli Baracchi, il trentottenne Roberto, da tutti definito il ”capofamiglia”. Tanto è vero che è proprio Roberto a scegliere di dormire con la madre quando s’è deciso di assegnare le due stanze prese nell’albergo ”Amiternum” dell’Aquila dove la famiglia ha passato la nottata tra mercoledì e giovedì. La nottata dei misteri.

Ma è sicuro signor Di Giandomenico? Erano solo due? Si rende conto che la sua testimonianza può smentire la circostanza, che sembrava acclarata, che madre e figli si siano gettati nel vuoto praticamente mano nella mano? E che ora era? «Sono certissimo- risponde il dirigente- perchè mi sono arrabbiato tra me e me pensando ai pericoli che quel parcheggio d’emergenza poteva arrecare a chi s’era fermato ed agli altri. Eppoi, un po’ più avanti, ho guardato bene dallo specchietto retrovisore: la donna non c’era più e lo sportello laterale era chiuso. Ho tirato un sospiro di sollievo. Quanto all’ora, sono arrivato a Roma alle 12 e 10 ed alle 12 e venti ho protocollato un documento. Quindi, potevano essere le 11,30. Posso sbagliare di dieci minuti, non di più. Ma ricordo che, il traffico, all’usclta dell’autostrada, non era molto intenso e sull’A24 non si va certo a 80 all’ora». E dopo? Dopo non si è rifatto i conti? «E come no! Alle 15 stavo tornando dalla Capitale all’Aquila. Ho sentito il radiogiornale della Rai. Mi si è accapponata la pelle. Mi sono dovuto fermare e prendere un caffè. Subito dopo ho telefonato col cellulare a mia moglie. Avevo un nodo alla gola. Con qualcuno dovevo pur sfogarmi. Ancora adesso non riesco a pensarci: mi viene la pelle d’oca. Anzi, man mano che parlo con lei comprendo sempre di più quando possa essere importante quello che ho visto. E dire che, nel vedere povera donna, ho provato anche un sentimento di stizza! Adesso mi toccherà andare a raccontare tutto al magistrato».