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PREFAZIONE di RENATO MINORE

Presunto Innocente
Un'esperienza dolorosamente vissuta nel tempo quella di Angelo De Nicola che si è trovato a raccontare una storia davvero "maledetta" dal suo incipit (la morte violenta di Cristina) al suo epilogo: la morte e il funerale del "presunto" assassino, lo zio Michele, il "mostro di Balsorano" divenuto simbolo di una "giustizia ingiusta" nelle parole di chi si è battuto fino in fondo per la sua innocenza.

È l'esperienza che ha il suo centro e il suo campo di forza in un dimenticato borgo della Valle Roveto, al confine tra l'Abruzzo e il Lazio, dove tutti cominciano dall'agosto del 1990 a guardarsi in cagnesco, a contarsi come Capoccitti e Perruzza, dopo che l'orrendo delitto di una bambina ne ha segnato per sempre la sua storia, provocando drammi e lacerazioni di ogni tipo.
Una continuità di scrittura che supera l'occasionalità. Uno sguardo cronistico che, per tredici anni, ha potuto narrare le vicende dell'inchiesta, gli arresti, i molti processi in una matassa tanto ingarbugliata. Un vero rebus che ancora non si può dire se sia stato definitivamente chiarito, anche se dal punto di vista giudiziario è apparso alla fine un colpevole a tutti gli effetti, cui è stato negato il processo di revisione, pochi giorni prima della sua scomparsa.
Riletti oggi in progressione, nella sequela delle date e dei colpi di scena, i testi rimontati con abilità da De Nicola, nella periodica acquisizione di nuovi elementi mescolati a quelli già conosciuti, sono la filigrana preziosa di un appassionato diario giornalistico che permette la ricostruzione della vicenda, giorno per giorno.

Una ricostruzione ferma e attendibile nel caldo delle sue emozioni e della sua "verità" parcellizzata nella pena di un supposto pedofilo che forse è diventato un innocente condannato all'ergastolo, di un ragazzo che forse ha fatto l'errore di salvare il padre o forse è la mente diabolica che lo ha accusato, di una madre costretta anche drammaticamente a scegliere tra marito e figlio.

Tutto è straordinariamente rappresentato nello spazio angusto di un'aula di tribunale dove- scrive De Nicola in una pagina tra le più vive e sintomatiche delle sue cronache ora rivisitate- va in scena una famiglia dilaniata: il padre in manette che continua a gridare la sua innocenza, la moglie distante e pressoché perduta tra avvocati e secondini, il figlio che non guarda né l'uno né l'altra, chiuso autisticamente in quella che può essere la conclusione di un gesto infame di accusa o la difesa estrema dall'orrore all'improvviso calato in famiglia. Nel farsi anche drammaturgico del racconto a queste tre immagini di pena diversa è praticamente impossibile attribuire un volto certo e veritiero. Il padre difende fino alla fine la sua costruzione d'innocenza perché è innocente davvero? Il figlio è un gelido accusatore per legittima o illegittima difesa? Perché la madre difende l'amore coniugale che pure si è dissolto contro quello filiare ormai impossibile? Solo perché sa e, alla fine, ha deciso di far sapere?

Dal suo racconto di cronista abile e documentato che guarda interroga mescola il reportage alla riflessione all'intervista (al momento opportuno ecco quelle assai significative ai due padri, il primo del presunto assassino, il secondo della vittima ), De Nicola ha saputo estrarre il nocciolo duro di ambiguità, di radicale incertezza conoscitiva tra vero e falso, verità e menzogna. Una tragica "doppia verità" che taglia il fronte dei colpevolisti e degli innocentisti e ci mette di fronte alla sostanza tesa e allucinata della vicenda, "una storia soprattutto di croci. E di sconfitte". Ci aiutano non poco a decifrarla le pagine sparse di una cronaca mai interrotta, che può contare sugli stessi elementi di conferma e di riconoscibilità nella scrittura chiara e investigativa di De Nicola. Che s'appassiona senza seminare troppa inutile retorica della passionalità e dei grandi sentimenti, parteggiando anche visibilmente, e senza per questo diventare partigiano e prigioniero di un solo, ristretto punto di vista.




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