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La Missione di Celestino - Capitolo 9

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«...“È costituito da 173 carte pergamenacee numerate con lettere romane che giungono sino a CLXXI e, in parte, con cifre arabiche imposte in epoca recente sulla parte centrale alta di ciascun foglio. È legato con assicelle di legno, di cui sono andate perdute quelle che componevano la parte anteriore ed è ricoperto con un antico tessuto a trama verde, oro e rosa, il medesimo di cui è costituita la tomaia delle pantofole indossate dalle sacre spoglie di Celestino V”».
Il sovrintendente leggeva, anche con la necessaria enfasi. Ma il signor Giacomo, seduto nel posto accanto al conducente dell’auto blu del sindaco, il quale aveva fatto accomodare l’ospite davanti, non lo stava a sentire. La sua testa vagava per altri lidi.
«Che poi non è detto che le pantofole delle reliquie siano coeve a Celestino. Potrebbero anche essere di epoca successiva. Ma il Codice è assai probabile che sia appartenuto al Santo Eremita».
«Sovrintendente, niente digressioni. Legga...» si risvegliò il signor Giacomo.
«Obbedisco! “...Sull’ultimo foglio un’altra annotazione indica la provenienza: ‘Celestinorum beate Marie Collis Madij prope Aquilam’”...».
«Ripeta, ripeta: sull’ultimo foglio...».
«Sì, la provenienza è Collemaggio. Aveva dubbi? Il loro obiettivo è Collemaggio: s’è capito ormai».
«Che altro significa questo Codice? Legga, per favore».
«... “Ma al di là degli aspetti storico, paleografico, linguistico e tematico, l’uomo contemporaneo può derivare ben altre considerazioni da un libro che, stando alle testimonianze, San Pietro Celestino tenne con sé fino alla morte. Dalla vicenda umana e spirituale di questo Santo delle montagne abruzzesi emerge l’assoluto distacco da ogni bene materiale e da ogni possesso personale, tanto più determinato e profondo, quanto più evidente è la concretezza con la quale svolse il ruolo di fondatore di un ordine monastico che dotò di monasteri e chiese. La ferma volontà che l’indusse al periglioso cammino verso Lione al fine di assicurare alla Congregazione dei Fratelli penitenti dello Spirito Santo non solo un futuro religioso ma anche il mantenimento delle proprietà acquisite in anni di apostolato, rivela il carattere dell’uomo, votato all’ascesi e alla missione religiosa nel Secolo ma consapevole delle mondane necessità economiche e di sicurezza, mezzi talora indispensabili per ben operare fra gli uomini. Alla Congregazione, anche negli anni di governo del fondatore, si ascrivono la bonifica di vaste aree agricole intorno ai monasteri, la regolazione di corsi d’acqua, la costruzione di mulini, l’incremento dell’attività armentizia, il sostegno spirituale ed economico delle Fraterne, tra i cui scopi c’era il miglioramento della condizione sociale dei partecipanti. La stessa costruzione della basilica di Collemaggio nelle immediate vicinanze di una città nuova, nata dalla confederazione di castelli, rivela la sua attenzione politica e l’esatta sua considerazione dell’esercizio del governo entro la struttura civile. Per la sua persona, tuttavia, San Pietro Celestino volle scegliere solo il rigore della vita ascetica. Le cronache riferiscono una vita di rinunce e penitenze: i digiuni, gli abiti indigenti, il giaciglio ricavato sulla nuda terra, la cella senza alcuna minima comodità, la severa essenzialità degli arredi e anche dei paramenti utilizzati nella celebrazione della messa. Scendendo da Sant’Onofrio al Morrone per accettare il peso della carica papale, lasciò tutte le sue povere cose. L’unico oggetto dal quale non si separò, sembra essere stato questo piccolo libro di letture morali e di preghiere. Un libro modesto, di nessun valore rispetto ai grandi codici, preziosamente miniati, che in gioventù aveva osservato a San Giovanni in Venere o in altra abbazia. Un libro, tuttavia, simbolo della sua propria dignità monastica. Educato entro la famiglia di San Benedetto nel periodo di splendore dell’Ordine e, in luogo non troppo distante dal faro culturale di Monte Cassino, vera città di Dio nella storia d’Europa, per il giovane Pietro Angelerio il libro divenne il segno della vita ‘sub Regula vel abate’, un segno inciso nel suo spirito. Giunto a Santa Maria in Faifoli dalla nativa Isernia, il manoscritto gli porse con chiarezza la differenza fondamentale tra vita secolare e vita monastica, il riferimento materiale dell’Opus Dei”...»
«Il riferimento? Ripeta, per favore...» chiese il signor Giacomo, già scesi dall’auto.
«...“il riferimento materiale dell’Opus Dei, la scansione stessa del tempo, quale è nel grande libro delle ore, aperto nella penombra del coro per la prima preghiera della notte. E la giornata claustrale continuava con la lettura del Salterio, del Messale e dell’Antifonario durante la liturgia, della Regola nella Sala del Capitolo, delle Vite dei Santi nel Refettorio. La fama dell’abbazia era legata al lavoro dello scriptorium. La sua ricchezza al tesoro della biblioteca, al prestigio dell’abate, del priore e dei decani, alla capacità di interpretare le scritture. L’immagine di un vecchio e venerabile monaco, preso dalla lettura nel porticato del chiostro, sarà restata a lungo nell’animo di San Pietro Celestino, ricordo degli anni in cui si era formato alla vita religiosa e al ministero sacerdotale. Il libro, dunque, come dottrina, preghiera, Verità. Tali furono, per l’austero Eremita, le considerazioni di questo piccolo Codice, la cui scrittura appena rubricata, sia stato o meno egli stesso l’estensore, rivela l’invincibile forza spirituale del Santo, che nessuna bellezza, nessuna ricchezza, nessun potere, nessuna perfezione inseguì mai, se non quelli che venivano dall’annullamento del suo stesso essere in Dio. Il tempo non ha offuscato la potenza evocativa dell’umana memoria. Né il luogo dove è custodito sminuisce l’emozione dell’uomo contemporaneo di fronte a questa reliquia. Sulle pagine resta l’orma della mano del Santo, sulla scrittura nitida e ordinata resta la traccia del dito che segue, leggendo, la parola, mentre dal profondo del cuore sale l’invocazione: ‘Potentia de lu Patre conforta me’”».
«Non sapevo che questo Codice avesse tutta questa importanza! – esclamò il sindaco fermandosi di scatto sul ponte del Castello cinquecentesco, sede del Museo nazionale –. Credo che siano pochissimi i cittadini che ne conoscono l’esistenza».
«Quasi nessuno, a parte studiosi e appassionati» confermò il sovrintendente.
«Il testo che lei mi ha letto, è anche pubblicato su internet?» chiese il signor Giacomo.
«L’ho preso da lì».
«Cristo!».
«Non è mica un reato, basta citare la fonte...»
«Sanno tutto. Sono espertissimi. Fanno collegamenti logici e tattici. Come quello dell’Opus Dei. Forse ci stanno anche spiando in questo momento – esclamò il signor Giacomo facendo quasi un giro su sé stesso per guardarsi attorno –. sindaco, non s’offenda: lei aspetti qui fuori. So che ci teneva tanto a mostrami di persona questo prototipo di architettura militare, così mi pare lei l’ha definito, che è il Forte eretto dagli Spagnoli nel Cinquecento. Sarebbe piaciuto molto anche a me, che oltretutto sono diventato un appassionato del De Contreras, del capitano di ventura Alonzo De Contreras: questa città è una continua scoperta. Anzi, mi faccia una cortesia: temporeggi una decina di minuti qui nell’atrio, poi torni all’auto e si faccia riportare in Municipio. Per strada si lasci sfuggire, pregando l’autista che prima, durante il tragitto, ci ha ascoltato con tanto interesse (non mi ha certo ingannato quel suo concentrarsi sulla guida!), di tenere la bocca chiusa (così è sicuro che non lo farà!). Gli spieghi che qualcuno voleva rubare il preziosissimo “Codice celestiniano” ma noi siamo arrivati appena appena in tempo: questo servirà da depistaggio per guadagnare, almeno spero, un po’ di tempo per riflettere sul da farsi. Se ci tiene alla famiglia (ma è sposato, sindaco?) non dica nulla a nessuno e, se proprio non ce la fa a tacere, depisti ulteriormente. La faccenda è delicatissima ed io ne sono il primo responsabile: sono già sull’orlo del baratro, non voglio essere spinto nel vuoto definitivamente dalle debolezze o insipienze altrui».
«Stia tranquillo. Ho capito. Farò come mi ha detto».


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