LogoLogo

La Missione di Celestino - Capitolo 23

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


Niente accadeva (per fortuna).
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Il signor Giacomo aveva l’udito come ovattato. Cercava con gli occhi il sovrintendente che si era cacciato chissà dove: impossibile riconoscerlo in quel mare di teste.
Niente accadeva (per fortuna).
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento?
«Celestino vescovo, servo dei servi di Dio...» il sindaco aveva cominciato a leggere il testo della Bolla, tradizionale ultimo atto prima dell’apertura della Porta Santa.
«Vede, è il sindaco che legge la Bolla, non l’arcivescovo» il sovrintendente s’era all’improvviso materializzato sbucando dalla folla.
«M’ha spaventato. Ero soprappensiero – balbettò il signor Giacomo –. Perché il sindaco?».
«Bonifacio VIII tentò in tutti i modi di annullare quell’atto rivoluzionario, la Bolla del Perdono concesso gratis a tutti, ricchi e poveri. Non una pura e semplice remissione dei peccati ma una vera e propria riconciliazione sociale. Celestino, evidentemente, intuiì che questo suo atto avrebbe dato fastidio e così affidò la Bolla, fin dall’inizio, alle autorità civili e non alla Chiesa. La Perdonanza era e rimane un evento laico, non religioso. L’arcivescovo ed il clero, da sempre, vengono invitati a partecipare, non ne sono i titolari».
«Bella storia: la Bolla del perdono da tutti i peccati “proprietà” dei politici e non dei religiosi. Ma ora non ho tempo per starla a sentire».
Il sindaco aveva concluso la lettura del testo della Bolla. Il signor Giacomo si concentrò sul breve tragitto che il Papa, stavolta a piedi, avrebbe dovuto fare per arrivare dal sagrato sino alla Porta Santa. Urla festanti salutavano ogni gesto del pontefice che, imboccata la via laterale sinistra della basilica, all’improvviso si fermò. Guardò la targa stradale intitolata a San Josemaria Escrivà. Sostò, assorto, alcuni secondi col pastorale stretto tra le due mani, guardando in direzione di quella targa. Anche la scorta fu disorientata dalla mossa, evidentemente non concordata. La folla che in quel punto era assiepata all’inverosimile, dietro le transenne, urlava ancor di più festante per quella insperata sosta del Papa. Il signor Giacomo, al pensiero di quella targa che lo aveva fatto impazzire, raggelò: si convinse che il momento fosse davvero arrivato («È finita!»). Il pontefice si scosse come da un torpore. Riprese il suo cammino, fermandosi più volte a salutare e benedire la folla che lo acclamava a gran voce. Giunse, al fine, davanti alla Porta Santa. Si fermò. Si genuflesse. Chiese all’aiutante il ramo d’ulivo dell’Orto dei Getsemani i cui tocchi, per tradizione, schiudono la Porta Santa. «De gloria olivae» sussurrò il Santo Padre all’arcivescovo in estasi. Col bastone, bussò tre volte alla porta. Si sentì il rumore dei chiavistelli.
Niente accadeva (per fortuna).
Ma da dove? Come? In quale punto? In quale momento? Non appena il Papa, fatta la brevissima sosta davanti a quella targa, s’era diretto verso la Porta Santa, il signor Giacomo volle cambiare prospettiva. Seguiva il suo istinto: gli portava bene. Si mise a correre. Con scatti felini evitò come birilli chi sul sagrato procedeva in senso contrario al suo per andare a vedere il Papa. Entrò nella basilica dall’ingresso principale, non ancora affollato, e si precipitò ad appostarsi dietro la Porta Santa, in quel momento ancora chiusa a doppia mandata. I conti non gli tornavano. Era certo di aver tralasciato qualcosa, proprio quel qualcosa che loro avevano sicuramente ipotizzato che lui tralasciasse. Forse, pensò, la sua era solo paura di dover subire una sconfitta che, viste le prevedibili conseguenze, sarebbe stata anche dell’umanità intera. Si sentiva schiacciato dal peso dell’enorme responsabilità («Maledetto quel giorno!»).
La luce, che all’improvviso penetrò dalla Porta appena schiusa tra un assordante cigolio, come una fucilata lo colpì in pieno sugli occhi che intanto s’erano abituati alla penombra della basilica non ancora illuminata a festa in attesa dell’ingresso del Papa. Gli mancò il terreno sotto i piedi: si sentiva venir meno perché l’ora del destino, pensava, era ormai giunta. («È finita!»).
Si guardò istintivamente i piedi. I suoi mocassini si trovavano proprio sopra la pietra bianca a forma di fiore-croce, in asse con la Porta Santa. Proprio il punto in cui, gli aveva detto il sovrintendente, secondo le teorie esoteriche, si concentrerebbe tutta l'”energia” della Basilica. («È finita!»).
Urla di gioia, all’unisono, rimbombavano da fuori la basilica amplificate nel loro effetto dall’androne della Porta Santa. Il pontefice, pregando, scendeva uno ad uno gli scalini sotto la volta che, settecento e più anni prima, aveva visto passare l’Eremita che stava per diventare Papa. Ogni scalino una preghiera. Furono momenti interminabili. Di profondissima spiritualità per chi aveva la fortuna di assistere a quello storico momento, di fottutissima paura per il signor Giacomo. Che all’improvviso si girò. Il suo sguardo andò a incrociare gli occhi sbarrati del sovrintendente che si precipitava, trafelato, verso di lui.
Pensò ad alta voce: «È finita».


[Versione stampabile in pdf]
Capitolo precedenteIndice Capitoli ⇨Capitolo successivo Capitolo successivo

Segui Angelo De Nicola su Facebook