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Il Giallo del Papa Angelico

La Maschera di Celestino
di Francesca Sammarco
dal Corriere di Rieti - 31 ottobre 2005


PETRELLA SALTO - C'è tanta religione senza fede e non c'è pace senza perdono: questo il messaggio-provocazione di Celestino V, il ”Pastor angelicum” profetizzato da Gioacchino da Fiore. Questo Papa ha ispirato il libro di Peter Herde ”Il papa angelico” (edizioni Celestiniane) e la nascita, nel 1982, del Centro Studi Celestiniani. Dal 2003 il Centro è anche sede di una Fondazione sotto il patrocinio dell'Onu, riconosciuta dall'Unesco.

Anche Angelo De Nicola, giornalista e scrittore, è rimasto affascinato dalla figura di Celestino e ha scritto ”La maschera di Celestino” (edizioni Textus), libro scritto in chiave di giallo, dedicato anche alla città dell'Aquila, dove Celestino V venne incoronato nel lontano 1294. Il libro, che pone degli interrogativi interessanti, è stato presentato recentemente nella sala consiliare del Comune di Petrella Salto alla presenza del sindaco Marcello Bellizzi, di Maria Flavia Perotti, docente al Liceo Classico di Rieti e ricercatrice, di Dina Di Giampietro docente alla Pontificia Università Lateranense e dello stesso autore Angelo De Nicola.

I cardinali erano in conclave da 16 mesi e poichè tra i Colonna e gli Orsini non c’era verso di trovare una soluzione (entrambe volevano il Papato), fu scelto Pietro dal Morrone, l'eremita, come Papa di transizione. Cinque mesi durò il suo pontificato, ma lasciò il segno, non solo per le note dimissioni, ma per il progetto di una Chiesa semplice, che non doveva prestarsi a giochi di potere. Celestino V non aveva interesse per i fasti della Curia, istituì le cooperative sociali, portò il Papato lontano da Roma e aveva, un suo progetto, di pace e di fede, alla ricerca del dialogo fra religioni monoteiste.

Anni prima, si dice con l'aiuto dei Templari, fece erigere l'Abbazia di Collemaggio e scavi recenti hanno rinvenuto cinque absidi, dunque un'Abbazia di dimensioni spropositate per una città come L’Aquila fondata solo 50 anni prima. Perchè? Con la Bolla della Perdonanza, Celestino concedeva per la prima volta, il perdono a tutti coloro che, confessati e pentiti, avrebbero attraversato la Porta Santa dall'Abbazia di Collemaggio all’ora del vespro, tra il 28 e il 29 agosto.

La bolla è custodita all'Aquila nella cripta del Municipio, in una teca di vetro, insieme a un ramo di ulivo dell'orto del Getsemani, con il quale si bussa tre volte per aprire la Porta Santa. Il corteo in costume, con la dama che porta la Bolla e un giovane che regge il bastone, esce proprio dal Municipio, sulla cui torre civica batteva una campana, che si sentiva a distanza di 36 chilometri e chiamata ”Reatinella” perchè venne trafugata dai reatini. La campana, che gli aquiloni vennero a riprendersi a Rieti, venne fusa per forgiare i cannoni del castello spagnolo all'Aquila, prototipo di architettura militare.

Proprio nel Castello, nella sezione oreficeria e tessuti, è custodito il Codice Celestiniano da cui Celestino V non si separò mai. Il tessuto della sopracopertina è lo stesso delle pantofole che coprono ancora oggi i suoi resti mortali Perchè non affidò questi documenti alla Curia? Certamente per sottolineare l'aspetto laico della Perdonanza, ma probabilmente per preservare i suoi atti più importanti dall'annullamento. Un perdono senza distinzione di classe o religione, senza pagare oboli e per giunta durante le Crociate era cosa scomoda per la Chiesa di allora.

E aveva visto giusto, perchè‚ il Vescovo dell'Aquila non potè riconsegnare la Bolla a Papa Bonifacio VIII, principe Caetani, che ne chiedeva l'annullamento. Fu così che Bonifacio VIII, il giorno della sua incoronazione a Roma, per riprendere il controllo sulla Perdonanza, emise una nuova Bolla, istituendo l'anno giubilare. Quando Papa Paolo VI visitò la piccola prigione di Celestino nel castello Caetani a Fumone, lasciò una targa in cui le dimissioni sono ”l’eroica rinuncia che salvò l'unità della Chiesa”. Dunque, non fu viltà!

Più volte trafugate, le spoglie di Celestino nascondono il ”mistero” del foro sulla tempia sinistra del teschio, provocato da un chiodo a testa quadrata. Venne ucciso? Era un rito dei Templari? O secondo la leggenda, volevano controllare se dentro al teschio erano nascosti dei tesori? Su questo mistero sta scrivendo Roberto Rusconi dell'Università dell'Aquila e Roma Tre.

Nella chiesa aquilana di San Pietro un affresco raffigurante San Ludovico Re, morto di peste a Tunisi durante una crociata, copriva l'affresco sottostante di Celestino V in tiara, aureola e codice, riportato recentemente alla luce. Perchè nasconderlo? Al Metropolitan museum di New York un dipinto mostra la traslazione della casa di Nazareth fatta dai Templari che la smontano e la portano in Istria e successivamente gli angeli, via nave, la portano a Recanati e poi a Loreto, dove fu eretto il santuario. Altra coincidenza: il Vescovo di Recanati fu segretario di Celestino V!

Un altro affresco ad opera di Saturnino Gatti, seminascosto dietro al coro dell'Abbazia di Collemaggio, rappresenta Celestino mentre si toglie le vesti, San Michele che uccide il drago ed al centro una croce, senza il Cristo, con un chiodo sanguinante, a punta quadrata all'altezza della mano sinistra.

La maschera di cera sui resti del volto di Celestino V (sembra su indicazione di Pio XII) è dell’arcivescovo Carlo Confalonieri che salvò 300 ebrei dai nazisti. Ancora un riferimento al suo progetto di pace fra religioni monoteiste?

Misteri, strane coincidenze, sicuramente la figura e il messaggio di Celestino V vanno rivisitate e ripensate soprattutto alla luce dei fatti odierni. Dopo le dimissioni- ha precisato Dina Di Giampietro- Celestino V lavò i piedi a tutti i presenti a sottolineare che la Chiesa è servizio e che verremo giudicati dagli atti d’amore». Di lui Ignazio Silone scrisse «Un cristiano senza Chiesa, un socialista senza partito».
Francesca Sammarco




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