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UNA METROPOLI MEDIOEVALE

Mappa della città
di ANGIOLA DE MATTEIS


Quando un viaggiatore inglese di grande esperienza e sensibilità artistica come Edward Lear veniva folgorato, nel suo soggiorno in Aquila del 1843, dalla «desolata magnificenza», dalla «popolazione scarsa» e «dall'assenza totale di movimento e di affari in un luogo tanto vasto», dalle «lunghe mura che racchiudono vigne», metteva inconsapevolmente in risalto un carattere originario e duraturo della città: la sua bassa densità abitativa. La cinta muraria (la sua costruzione iniziò nel 1272 e terminò nel 1312) che delimitò l'area urbana e gli ampi spazi rimasti inedificati fino al Novecento, rivelano infatti un progetto che aveva sopravvalutato o comunque ottimisticamente pianificato le iniziali possibilità insediative e di crescita complessiva della città.

Tali possibilità erano indubbiamente legate a una serie di fattori contingenti di carattere politico, sociale e culturale, nonché al positivo e generale trend demografico ed economico che interessò i tre secoli dal Mille agli inizi del Trecento. Furono dunque, essenzialmente, le peculiarità di fondo connesse alla sua stessa fondazione a determinare caratteri, qualità ed entità (anche futura) del popolamento.

Innanzitutto la città non sorse per un ingrandimento graduale e naturale intorno ad un originario nucleo insediativo, ma bensì per espressa volontà di un gruppo di uomini; come ”città artificiale” ebbe pertanto una ”data di nascita” (sancita dal diploma di Corrado IV del 1254) ed un vasto spazio da edificare e popolare di uomini. Questa popolazione era dunque data da una sorta di emigrazione forzata dai ”castelli” e ”ville” costituenti gli ex Contadi di Amiterno e di Forcona ed era ”costretta” ad abitare lo specifico spazio urbano assegnato al rispettivo luogo d'origine. In secondo luogo l'Universitas Aquilana era costituita dalla città e dal vasto territorio dell'insieme delle terre consociatesi ad erigerla: L'Aquila e il suo Contado furono infatti un unico corpo politico- amministrativo- fiscale (nel 1508, al culmine del processo che ne aveva consolidato e ampliato il territorio, il Contado era costituito da 184 centri abitati, 48 dei quali erano castelli). Il vasto territorio controllato dalla città fu dunque il suo vero punto di forza, il grande serbatoio di risorse agricole da cui si attingeva, sia per i rifornimenti alimentari della popolazione urbana che per l'acquisizione delle due merci all'origine della grande ricchezza del ceto agrario, mercantile e artigiano cittadino: la lana e lo zafferano.

Non è un caso che la forte commistione fra le due aree ha spesso ingenerato molta confusione anche nelle prime stime sulla popolazione, in un'epoca segnata dall'assenza assoluta di fonti, sia pure indirette. A tal proposito, il progetto iniziale di popolamento della città prevedeva un contingente numericamente rilevante: nella Cronica di Buccio di Ranallo è indicata la cifra, piuttosto improbabile, di 15.000 fuochi, pari a circa 60.000 abitanti, mai raggiunta dalla città (fino all'epoca contemporanea, naturalmente).

Intanto occorre sottolineare che non tutti i potenziali abitatori provenienti dai ”Castelli fondatori” si lasciarono conquistare dal miraggio della città, né tutti coloro che avevano chiesto ed ottenuto l'assegnazione vi si erano trasferiti. In secondo luogo vanno tenute presenti le circostanze storiche particolarmente turbolente e sostanzialmente frenanti un potenziale e massiccio fenomeno di inurbamento, ove si consideri che dopo la fondazione, la città fu subito distrutta da Manfredi, nel 1259, e fu con Carlo I d'Angiò, a partire dal 1266, che si procedette alla riedificazione e al consolidamento delle sue prime strutture di governo e del suo vasto Contado, tra violenti contrasti. L'assoggettamento di questo e, prima ancora, il trapianto di parte dei suoi abitanti nella nuova comunità urbana, creò infatti problemi di coesione all'interno di questa, e generò odi e rivalità mai sopiti del tutto: la storia dei primi decenni di vita della città è costellata di vere e proprie guerre civili tra i Castelli fondatori e le fazioni civili cittadine, nonché di sanguinose ribellioni della campagna allo strapotere cittadino.

Per una stima della popolazione in qualche misura realistica occorre pertanto ripercorrere a ritroso il cammino compiuto da quel primo insediamento, partendo dal dato certo scaturente dal documento della ”numerazione dei fuochi” del 1488, quando furono rilevati 2.000 fuochi effettivi, per un totale di 7.600-8.000 abitanti. Considerando quindi, innanzitutto, che tra la metà del Trecento e la metà del Quattrocento la perdita di popolazione, in Italia come nel Mezzogiorno, fu di circa il 40% e che in quest'ultimo, peraltro, la crisi si tramutò in una lunga stagnazione (prima della generale ripresa cinquecentesca), che si protrasse per altri 50-60 anni. Consideriamo, ancora, che anche ad Aquila i tre ”flagelli dell'Apocalisse” - la peste, la fame e la guerra - si susseguirono con frequenze e intensità impressionanti, moltiplicando gli effetti distruttivi sul contingente di popolazione iniziale. Tutto ciò premesso, anche mettendo in conto una perdita massima di popolazione del 50% , si potrebbe ipotizzare la presenza di un numero di fuochi pari a 4.000 unità ed una popolazione di 10.000-16.000 abitanti (adottando il coefficiente medio per fuoco di 3.8-4 abitanti) negli anni del consolidamento della nuova formazione urbana, e cioè nel primo Trecento.

Seguendo questo ragionamento, si può considerare plausibile la stima fatta dall'altro cronista aquilano Antonio di Buccio per il 1375, pur se approssimata in eccesso (perché i 4.000 fuochi sopra ipotizzati sono un tetto massimo): egli indica infatti per quell'anno 3.000 fuochi, pari a ”14.000 bocche”.

Un aspetto dell'iniziale insediamento cittadino, che lo caratterizzerà a lungo, merita qui di essere ricordato ed è l'alta percentuale di forestieri d'ogni parte d'Italia (l'11% circa della popolazione). Era, in gran parte, una manodopera varia e qualificata, da mettere in rapporto con l'origine della città, che doveva impiantare ex-novo ogni sorta di attività, oltre che provvedere all'arredo urbanistico, civile ed ecclesiastico, nonché far fronte alle frequenti distruzioni operate dai frequenti terremoti.




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