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CORRADO E NON FEDERICO FONDA LA ”CIVITAS NOVA”

Mappa della città
di CARLO DE MATTEIS


L'attribuzione della paternità formale, per così dire anagrafica, della fondazione dell'Aquila è debitrice di una duplice tradizione, una più antica, contemporanea o di poco successiva all'evento, un'altra moderna, che ha finito per prevalere sulla precedente pervenendo, almeno nella vulgata popolare, fin quasi ai nostri giorni. La tradizione medievale, fondata su fonti cronachistiche d'autore, appare univoca ed esplicita sin dalle primissime attestazioni, quali quelle di Saba Malaspina nella sua Rerum Sicularum historia del 1285 (in cui l'Aquila si dice fondata col favore di re Corrado, «rege Corrado favente») e di Niccolò Jamsilla nella probabilmente coeva opera pur dedicata alle gesta di Federico II («Civitas Aquilae quae a quondam rege Conrado in confinibus Regni condita fuerat»).

Ma è in un testo ben altrimenti significativo la dichiarazione più patente e persuasiva del ruolo di Corrado in questa vicenda, e cioè nella Cronica aquilana di Buccio di Ranallo che, seppur redatta un secolo dopo la sua fondazione, costituisce la fonte più antica e attendibile della storia aquilana, potendo essa ancora attingere a testimonianze orali contemporanee all'evento fondativo. Come può leggersi nel passo accanto riportato, i versi di Buccio non lasciano adito a dubbi: «Re Corrado della Mangia c'allora era singiore, / a stanzia de lu Papa acectò farlj honore; / concedio lu asenzio, le carti e lu faore», fissando altresì inequivocabilmente anche la data di edificazione, non sempre nelle fonti precedenti correttamente attestata: «Ficiro la citade solliciti e uniti, / anni mille ducento cinquanta quatro giti».

Buccio fu a lungo il testo di riferimento dei vari cronisti aquilani, fino alle soglie del XVI secolo, quando una ricostruzione storiografica destinata a grande successo, il Compendio de le istorie del Regno di Napoli di Pandolfo Collenuccio, non introdusse una sostanziale variante circa la paternità della fondazione: «Federico comandò che raccolti tutti insieme edificassero una terra in un loco opportuno a la difensione del regno da quella banda, chiamata Aquisa (sic), e mutandoli il nome volse che per onore de l'imperio fosse chiamato Aquila sì come lui ne le sue epistole apertamente comanda. Così fu edificata l'Aquila, la quale in poco tempo fece grandissimo augmento e oggi è reputata potentissima terra nel regno».

Le «epistole» di Federico, fonte precipua del Collenuccio, non sono che una raccolta di testi attribuiti al suo cancelliere Pier delle Vigne tra i quali figura anche il diploma di fondazione dell'Aquila, privo tuttavia del nome del sovrano, della data e del luogo di emanazione. Tale raccolta, ufficialmente edita solo nel 1566 ma evidentemente già nota, comprende anche documenti non appartenenti al celebre funzionario imperiale, secondo è stato dimostrato, funzionale com'era a fornire piuttosto modelli di scrittura epistolare di autori vari che non una documentazione rigorosamente diplomatica di atti ufficiali. Un'analisi poi della parte introduttiva del diploma, con il trionfalistico riferimento alle recenti vittorie imperiali, mostra con evidenza come esso si addica piuttosto allo stato del Regno sotto Corrado che non sotto Federico.

Ma l'autorevolezza del Collenuccio fece testo e la sua attestazione, anche a seguito dell'edizione a stampa della raccolta di Pier delle Vigne, fu ripresa (con l'eccezione del Cirillo) da tutti gli scrittori di cose aquilane: Massonio, Pica, Franchi, Antinori e via via i più modesti eruditi ottocenteschi, fino a diventare communis opinio e ad entrare a far parte della tradizione cittadina: L'Aquila divenne così ”la città di Federico” ed al suo presunto fondatore intitolò un segmento dell'arteria principale del suo centro storico.

Solo ai primi decenni del Novecento un più attento esame delle fonti documentarie, ad opera soprattutto di G. M. Monti, ha consentito di rivalutare il ruolo dell'antica tradizione a fronte della scarsa consistenza della successiva e di restituire la città al suo legittimo iniziatore: non più, tuttavia, che l'esecutore istituzionale di una volontà e di necessità che venivano da lontano e andavano ben oltre la sua fuggevole persona, coinvolgendo forze economiche e sociali, disegni politici diversi, primo fra tutti quello della Chiesa, consenziente e partecipe della fondazione della città ed, in seguito, patrocinatrice del suo secolare destino.




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