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DAGLI ARRESTI ALLE URNE: LA MALEDIZIONE ABRUZZESE



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L’AQUILA - «Nulla, non cambierà nulla». La profezia lanciata da Ottaviano Del Turco in una delle sue dichiarazioni “ad orologeria” durante la più anomala campagna elettorale della storia dell’Abruzzo, la dice lunga su quanto abbia pesato la retata della “notte di San Camillo” del 14 luglio scorso.

Tanto ha pesato che l’autorevole Pierluigi Battista, su quel Corriere della Sera notoriamente prudente ma dichiaratamente innocentista in questi mesi sul caso giudiziario Sanitopoli che ha spazzato via la Giunta Del Turco, è intervenuto ieri a gamba tesa sulle urne ancora aperte per sostenere, sostanzialmente, che quella retata che ha condizionato le elezioni (e, dunque, la sua stessa storia) dell’Abruzzo non era affatto necessaria alla luce soprattutto della richiesta di proroga delle indagini preliminari fino al prossimo aprile, e che, dunque, queste elezioni sono state “taroccate”.

Non erano così urgenti, insomma, gli arresti chiesti dal Pm di Pescara Trifuoggi del presidente Del Turco, del segretario generale della presidenza della Giunta regionale, Lamberto Quarta, del capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Camillo Cesarone, dell’assessore al Commercio, Antonio Boschetti, dell’ex funzionario del gruppo di cliniche private di Vincenzo Angelini, Gianluca Zelli, dell’ex manager della Asl di Chieti, Luigi Conga; nè quelli, agli arresti domiciliari, dell’ex presidente della Fira (Finanziaria regionale abruzzese), Giancarlo Masciarelli, dell’ex assessore alla Sanità del centrodestra, Vito Domenici, dell’assessore alla Sanità, Bernardo Mazzocca e il suo segretario, Angelo Bucciarelli.

Nulla cambierà? Di certo nulla cambiò dopo l’altra retata, quella della notte di San Michele del 1992 che decapitò la Giunta Salini. E forse anche questo dato andrebbe analizzato per valutare l’astensionismo record oltre la presunta distrazione da shopping natalizio che non fa onore all’intelligenza degli elettori abruzzesi. Disse lo storico Raffaele Colapietra alla vigilia del maxiprocesso alla Giunta Salini: «Questo processo mi sembra tanto un accompagno funebre. Già immagino il povero Salini balbettante come Forlani di fronte a Di Pietro. E con la stampa e la Tv ad infierire in questa uccisione di uomini morti. Ma tant’è: l’era di “zio Remo” è tramontata... In Abruzzo il sistema è caduto per opera della magistratura non certo della politica: la rivoluzione l’ha provocata il Pm Tragnone, non il segretario del Pds, Verticelli».

La “via giudiziaria”, la maledizione del tintinnare notturno delle manette nel Palazzo, non sembrano portare bene all’Abruzzo. Anzi.

Oltretutto, la maledizione non genera effetti solo sul fronte “penale” ma c’è anche quello amministrativo. Se già la vicenda penale che coinvolse Salini ebbe rilevanti effetti, tra ricorsi e controricorsi, fin quasi a far cadere la Giunta di Antonio Pace, anche stavolta aleggiano fantasmi. Non soltanto quelli che hanno determinato, per l’accoglimento in extremis del Tar dell’Aquila del ricorso della lista “Per il bene Comune”, uno slittamento del voto di due settimane che ha finito con l’accrescere la sfiducia degli elettori sull’utilità di recarsi alle urne. Ci sono anche altri ricorsi in piedi dopo la clamorosa, iniziale esclusione e (con riserva) della lista del Pdl poi rivista, dopo l’esclusione confermata della lista di Alleanza Federalista. Il primo dicembre la lista Alleanza Federalista ha presentato un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato, nel quale chiedeva di annullare la decisione del Tar dell’Aquila che aveva deciso di escluderla dalla competizione elettorale. Il 9 dicembre il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso in sede di sospensiva: si attende ora la decisione nel merito. Nulla cambierà?

Angelo De Nicola