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L'ARRESTO DI DEL TURCO: LA CELLA ACCANTO ALLA FAMIGERATA N.7



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Entrando nel carcere di Sulmona, dopo i controlli all’ingresso, nel padiglione principale al piano terra si deve percorrere un lungo corridoio, per oltre metà della sua altezza pittato di un verde acceso. Si attraversa una prima porta carraia, di colore verde scuro: i secondini, divisa blu e basco celeste, infilano la lunga chiave, si scambiano occhiate e “codici” tra chi è di qua e chi è di là delle sbarre. La porta blindata si richiude, alle spalle, con fragore. In quel punto ci si ritrova in una sorta di “piazzetta”: a destra, oltre una porta carraia, si va al primo piano dove ci sono “mammasantissima” al regime duro del 41bis; di fronte, invece, si apre un’altra porta carraia che fa accedere ad un corridoio corto, pittato in grigio, il “braccio” riservato ai detenuti comuni, in isolamento, in attesa di giudizio. Quattro celle: tre metri per tre di grandezza con un letto, il bagno, una piccola scrivania, la sedia e la porta in ferro con lo spioncino ad altezza degli occhi.

Il presidente Ottaviano Del Turco è in una di queste quattro celle, nella n. 6. Proprio accanto alla famigerata n.7.

«La presenza del presidente Del Turco è stata un motivo in più per procedere all’ispezione di un carcere che teniamo, come Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, particolarmente monitorato dopo la sequela di suicidi degli ultimi anni- ha spiegato Pierluigi Mantini- perchè è un carcere che, per quanto molto efficiente, ha un circuito di detenuti speciali e quindi merita anche un’attenzione dal punto di vista delle richieste che vengono dalla Direzione».

È stato, dunque, l’“ispettore” Mantini a dare voce alle perplessità (enfatizzate ieri anche da Marco Pannella), soltanto sussurate nel giorno della retata, sulla scelta di affidare la detenzione del presidente Del Turco nel carcere di Sulmona, a metà strada tra Collelongo (sede dell’ultima perquisizione presente l’indagato) e Pescara (sede della Procura che indaga). La casa di reclusione tristemente nota come il “carcere dei suicidi”, famigerata fama (furono in molti a chiedere ad alta voce, addirittura, la chiusura della struttura) che solo negli ultimi tempi, dopo un energico lavoro dell’Amministrazione penitenziaria, sembra essersi attenuata.

Ma quel 2005 fu un annus horribilis per la struttura penitenziaria alle falde del monte Morrone, realizzata di recente e che ospita circa 400 detenuti sorvegliati da 290 agenti. All’alba del Ferragosto di quell’anno si suicidò, nella famigerata cella n.7, l’allora sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, arrestato per una clamorosa inchiesta sugli appalti nel centro montano: si chiuse la testa in una busta di plastica, stretta dai lacci delle scarpe. Lacci che sono stati “protagonisti” di molti dei sette suicidi in cella nel breve volgere di un anno e mezzo. Una drammatica sequenza che era stata aperta dal suicidio dell’allora direttrice, Armida Miserere, uccisasi con un colpo della sua pistola nel proprio alloggio interno alla struttura.

«Fai bene a fare ispezioni per controllare la situazione carceraria» ha detto Del Turco al suo buon amico Mantini sottolineando di aver trovato un’assistenza eccellente e con alti standard di qualità. Aumentata, ieri, con l’innesto di rinforzi di personale richiamato dalle ferie: il carcere di Sulmona, ancora una volta, sotto i riflettori.

Angelo De Nicola