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CELESTINO V, DUE BALORDI RUBARONO LE SPOGLIE



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L’AQUILA - Nessun complotto internazionale, nessun giallo interreligioso, nessun mistero esoterico. Il clamoroso furto delle sacre spoglie di Papa Celestino V avrebbe motivazioni molto più terra terra: un volgare ricatto di due balordi locali. Oggi, a vent’anni esatti da quel 18 aprile del 1988, sembrano essersi un po’ allentate le maglie del segreto che ha sempre attanagliato un clamoroso sequestro di sacre spoglie, di un Papa per giunta, che finì sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. Un mondo, e non solo quello cattolico, esterrefatto di fronte al mausoleo desolatamente vuoto di un Pontefice, già “marchiato” di viltà secondo l’interpretazione classica del verso dantesco (“colui che per viltade fece il gran rifiuto”), le cui spoglie non avevano mai trovato pace visto che erano già state trafugate nel 1326 per essere trasportate a Collemaggio, con uno stratagemma (si fece uscire la donna delle pulizie con un materasso sulla testa in cui erano nascoste le ossa), da due fraticelli dal convento celestiniano di Ferentino (nel Frusinate) dove Pietro dal Morrone, nel frattempo (1313) diventato Santo, riposava dalla morte (1296) avvenuta nella vicina rocca di Fumone, “prigioniero” del cardinale Benedetto Caetani che gli succederà sul soglio di Pietro col nome di Bonifacio VIII.

Niente complotto, dunque. Le spoglie, in quella nottata tra il 17 ed il 18 aprile di venti anni fa, furono rubate da due pregiudicati aquilani a scopo di ricatto. La polizia, infatti, aveva manifestato l’intenzione di attivare, per uno dei due, la sorveglianza speciale vista la progressiva esponenzialità della sua attività criminale. Perciò, il pregiudicato decise di mettersi in posizione di vantaggio. Come? Usando quel “povero cristiano” di Celestino. Rubare le spoglie dal mausoleo all’interno della Basilica di Collemaggio fu un gioco da ragazzi vista l’assenza di un sistema di allarme. Costruita una piccola bara in legno chiaro per poterli trasportare, i sacri resti furono caricati su una “Apetta” e, grazie al complice, portati fino nel minuscolo e sperduto cimitero di Rocca Passa, una manciata di case a quaranta chilometri dall’Aquila, in provincia di Rieti. La bara di legno venne infilata e tumulata in un loculo dove nessuno l’avrebbe mai potuta trovare. Un piano ingegnoso. Di grande efficacia mediatica. Forse troppa, vista l’eco che ebbe.

Non ci volle molto per la polizia, che subito fece scattare un pressante lavoro ai fianchi della criminalità locale, a scoprire che quel pregiudicato in odore di sorveglianza speciale sapeva molto sul furto. L’alternativa era: o rischiare di non ritrovare, chissà per quanto tempo, quelle spoglie; o venire a patti con chi sapeva. Si scelse la seconda strada: nel giro di 48 ore, il “giallo” venne risolto e le spoglie ritrovate nel cimitero di Rocca Passa. Il patto, ovviamente, non è mai confluito in atti e ancora oggi nessuno ne vuol parlare in termini espliciti: «L’importante è stato aver ritrovato le spoglie- taglia corto un investigatore-. Anche la Procura sapeva».

Si capì subito, d’altra parte, che la verità del “miracoloso” ritrovamento non era quella ufficiale che venne raccontata dall’allora questore dell’Aquila, Michele Napolitano, nel corso di un’imbarazzata ed imbarazzante conferenza stampa. Si capì subito che non era credibile il fatto che la polizia fosse riuscita ad arrivare al nascondiglio seguendo due «giovani meridionali sospetti», muniti di motorini. Un mezzo tanto veloce che avrebbe consentito ai due, sempre nel troppo fantasioso racconto dell’allora questore, di sfuggire alla polizia che da 48 ore s’era buttata a capofitto con tutti i suoi uomini e mezzi, per giunta rafforzati da reparti speciali venuti da Roma, per ritrovare quelle “benedette” spoglie.

La leggenda dice: “Guai a mettersi contro Celestino”. Chissà come se la sono passata i due ideatori di uno straordinario (sotto il profilo criminale, ovviamente) “spot” per Celestino, finito nel dimenticatoio in una città che pare non tenere memoria di nulla. Anche degli eventi epocali.

Angelo De Nicola