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CASSAZIONE: GIUNTA ABRUZZESE, CONDANNE ANNULLATE



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L'AQUILA - La "Clientopoli" abruzzese non aveva fondamenta. Così ha deciso la Corte di Cassazione che, l'altro ieri, ha annullato la sentenza della Corte d'Appello dell'Aquila con la quale, il 23 novembre '95, era stata condannata l'intera ex Giunta regionale d'Abruzzo per abuso d'ufficio e falso nell'assegnazione, nel 1992, dei 245 miliardi dei fondi comunitari Pop (Piano operativi plurifondo). Una decisione clamorosa che ha fatto riesplodere le polemiche su un caso nato (e secondo molti condizionato) da una retata quando, nella notte del 29 settembre '92, scattarono le manette per l'ex presidente Dc della Regione Abruzzo, Rocco Salini, e per i dieci assessori della Giunta Dc-Psi-Pli dopo che il Gip dell'Aquila aveva accolto le richieste di custodia cautelare per l'intera ex Giunta regionale sollecitate dal Pm Fabrizio Tragnone (nel frattempo promosso procuratore capo a Lanusei, in Sardegna).

L'Abruzzo, sotto choc e senza Governo (primo caso nella storia italiana), finì persino sul New York Times. Dei 29 indagati iniziali, solo in 13 sono arrivati al processo; delle tre accuse (abuso d'ufficio, falso ideologico e tentata truffa alla Cee) ha poi sostanzialmente retto solo l'abuso; dopo le clamorose manette iniziali, sono arrivate ridotte condanne in Tribunale, mitigate per giunta in Appello. Due sentenze che, ha deciso la Cassazione (sesta sezione, Sansone presidente), non reggono, tanto che sono state annullate con rinvio degli atti Corte d'Appello di Roma. Ai cui giudici, ora, tocca riesaminare la questione, in sostanza, sotto due profili: uno relativo ai metodi di indagine del Pm Tragnone; un altro relativo alla valutazione fatta dei giudici aquilani del dolo, cioè dell'intenzionalità nel commettere il reato dell'abuso. Non ha retto, insomma, il "teorema Tragnone", secondo cui la logica spartitoria dei fondi pubblici assegnati in base alle "segnalazioni" di chi aveva le mani in pasta, oltre ad essere un malcostume politico è anche un reato.