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CHE BELLO DARE ADDOSSO AI MAGISTRATI



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L’AQUILA - «Sapete perchè quel magistrato, quel Fabrizio Tontolone, arrestò l’ex Giunta regionale abruzzese? Perchè era sicuro che il Pds avrebbe vinto e elezioni». Gli applausi (per premiare lo show) misti alle risate (per la battuta Tragnone-Tontolone) pervadono la sala delle conferenze del Palazzo della Regione: l’onorevole Vittorio Sgarbi, sudato e ululante proprio come in Tv, ha appena concluso la sua maratona in cui ha parlato di tutto meno che dello ”Scandalo Pop”. Ossia della vicenda per ricordare la quale, a due anni esatti dalle manette per l’intera ex Giunta Salini, ieri stato organizzato (dal gruppo consiliare del Ppi) un incontro dal tema: ”Giustizia e politica. La legge è uguale per tutti?».

Ma per sorprendere i convenuti con la donna nuda che sbuca dalla torta e guadagnare qualche titolo sulle pagine nazionali la festa di ”compleanno” di un fatto che ha "segnato" l’Abruzzo, ha forse mancato l’occasione per segnare un’altra storica svolta: inizio, proprio dall’Abruzzo di un «processo alla magistratura e ai protagonismi di una corporazione per anni stampella del potere corrotto». Eppure, prima dell’arrivo del vulcanico Sgarbi, s’era tentato di dare un senso alla ricorrenza che, non senza qualche imbarazzo, è stata ”festeggiata” proprio nella sede della Regione.

Senza ululare, Domenico Tenaglia, a nome di tutti gli ex arrestati e condannati in primo grado (2 anni mezzo agli ex assessori, 3 anni all’ex presidente Salini), ha descritto il dramma vissuto. «Ho dedicato la mia vita al Foro, dato due figli alla magistratura e uno all’avvocatura- ha detto- cercate di capirmi». E da giurista, Tenaglia ha impostato la questione: quegli arresti che hanno distrutto l'immagine di un'istituzione e di una regione, sono ancor più esagerati alla luce delle motivazioni della condanna per il solo reato di abuso d’ufficio. «Una sentenza aberrante perché non tiene conto del potere degli assessori di rare le scelte. Perché in altre regioni i giudici non si son mossi?».

Sulla stessa linea gli interventi dell’onorevole Marco Taradash (Commissione Rai) e Carlo Giovanardi (Ccd). Il primo, ricordando «l’intuito politico che ebbe Marco Pannella che io oggi rappresento qui, il quale condannò la retata» ha chiesto che del «caso Abruzzo si occupi il Csm: la sentenza Pop non regge e sarà cancellata in Appello». Taradash ha sostenuto che vanno separate le carriere dei magistrati tra Pm e giudicanti, e che se i giudici sbagliano devono pagare. Giovanardi ha puntato il dito sui magistrati troppo vicini al Pds, tanto che sulle ”tangenti rosse” hanno sempre voluto chiudere gli occhi. Non s’è presentata ma s’è fatta sentire, eccome, per lettera, l’onorevole Tiziana Maiolo secondo la quale «grazie al sacro furore, all’ansia di imitare il vostro quasi conterraneo Di Pietro, i magistrati che decisero l’arresto in blocco della Giunta abruzzese fecero una delle cose più sporche a cui abbiamo dovuto assistere».

Ma forse, l’intervento più significativo (anch’esso per lettera) è stato quello di Giuseppe Di Lello magistrato ora deputato progressista. «Se deve riconoscersi- ha scritto- una valenza positiva all’operato della magistratura nel suo complesso, non altrettanto può farsi, quasi per dogma, per delle prassi che hanno portato molti magistrali a scivolare sempre più nel ”sostanzialismo” e cioè nella ricerca del ”risultato” a scapito delle forme... Se ripenso alle tante violazioni consumate qui in Abruzzo dalla Dc di Gaspari e alle continue ”archiviazioni” che i Tribunali opponevano alle nostre denunce, in palese dispregio della legalità e in speculare sostegno agli uomini di quel partito, e se oggi vedo che in quegli stessi Tribunali ci si attiva, anche con un ricorso abnorme alla custodia cautelare, per fatti identici a quelli per i quali ieri ci si tappava gli occhi, devo rilevare che qualcosa non funziona, oggi come ieri».

Un’autocritica del cui significato s’è accorto anche Sgarbi: «Solo oggi potete organizzare questo convegno- ha detto- perchè prima se la facevano tutti addosso quando si doveva parlare male dei magistrati: ora i tempi sono cambiati. Gli imputati sono loro».