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QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DEL COMMISSARIATO DI AVEZZANO



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L’AQUILA - Un camorrista pentito ha fatto il poliziotto per sei mesi. I ”colleghi” del Commissariato di Avezzano lo chiamavano ”ispettore” quando, col casco e manganello, s’occupava del servizio d’ordine allo stadio oppure, con una pistola giocattolo, partecipava ai ”blitz" nei night. Il ”Commissariato dei veleni” che aveva già dato scandalo per un ispettore arrestato con l’accusa di aver messo della cocaina nell’auto di un giornalista ”scomodo”, rischia ora di diventare il ”Commissariato dei misteri”. La clamorosa vicenda del pentito-poliziotto sta facendo schizzare altro fango sulla Polizia addensando nuovo ombre sul Commissariato e sulla Questura dell’Aquila al centro da due anni di piccoli e grandi scandali.

Dall’inchiesta sul pentito-poliziotto della Procura di Avezzano, avviata dalla denuncia di un agente e diventata subito incandescente, sta emergendo che in Questura qualcuno sapeva del ”singolare” utilizzo del venticinquenne ”collaboratore di giustizia”. Che perciò sarebbe stato allontanato una decina di giorni fa da Avezzano e trasferito in una località segreta. L’ha candidamente ammesso lo stesso pentito che, ieri, avrebbe concesso addirittura un’intervista in cui ha confermato di essere stato utilizzato come agente ed ha rincarato la dose parlando non solo di un vicequestore (Giovanni Pedone, da nove mesi a capo del Commissariato) a cena con ballerine polacche in un night ma soprattutto collegando la sua vicenda con presunti complotti facenti capo a Pietro Di Giamberardino, l’ispettore arrestato per aver messo droga nell’auto del free-lance Gennaro De Stefano che si fece 57 giorni di carcere. Uno scoop, l’intervista, che per le modalità con cui sarebbe stata realizzata (attraverso un ”intermediario”) fa sorgere ulteriori interrogativi. Chi ha consentito, pur se per proteggerlo, ad un pentito di fare il poliziotto con accesso anche in sala radio ed ai terminali? Chi ha consegnato ad un giornale una foto che ritrae il pentito vicino ad un’auto civetta della polizia crivellata di colpi dopo una rapina? E chi fa da intermediario col rischio di consentire l’individuazione di un pentito da proteggere? Interrogativi ancor di più accavallatisi ieri mattina visto che «il pentito da far restare in incognito» è stato interrogato dal magistrato titolare del caso, il Procuratore Brizio Montinaro. Negli uffici della Procura, in pieno centro ad Avezzano, chiunque l’ha potuto individuare, non foss’altro per l’ingente scorta. Se lo si voleva nascondere, lo si è offerto su un piatto d’argento a chi lo cercava.

Al vicequestore vicario dell’Aquila, Giacomo Deiana, è stata invece affidata l’inchiesta interna sull’ennesimo scandalo in una Questura dove da mesi s’assiste ad un via vai di ispettori ministeriali e dove i questori (attualmente c’è Raffaele Stella) non sembrano ”resistere” più di un anno. Una Questura che da due anni sale periodicamente alla ribalta per vicende clamorose: prima perché diciassette tra agenti ed ispettori finirono sott’inchiesta per la gestione ”allegra” dello spaccio interno; poi per le critiche della Procura di Caltanissetta secondo cui sarebbe stata tenuta sciaguratamente per due anni in un cassetto una denuncia riguardante l’omicidio del giudice Livatino; quindi, perché alcuni funzionari finirono sott’inchiesta insieme con l’allora prefetto dell’Aquila, Calogero Cosenza, per presunti soprusi ad un cittadino e, infine, per il ”caso De Stefano” che a sua volta ha generato il ”caso Fortuna”. Dal nome della vicequestore Rosanna Fortuna che, nominata a capo del Commissariato di Avezzano, portò alla luce e denunciò strani fatti tra cui quello del giornalista ”incastrato” dall’ispettore Di Giamberardino con l’aiuto di un pregiudicato. Finito sotto inchiesta e trasferito da Avezzano all’Aquila, Di Giamberardino denunciò la Fortuna per aver cercato di proteggere la figlia accusata di un furtarello. Anche la Fortuna finì sott’inchiesta, fu sospesa e quindi trasferita da Avezzano a Faenza.