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Recensione di Elio Peretti de "Presunto Innocente"

Presunto Innocente
"Novantanove" Dicembre 2003/Marzo 2004
Elio Peretti


Tra i pregi del libro di Angelo De Nicola "Presunto innocente cronaca del caso Perruzza" (Edizioni Tracce), emersi ed evidenziati nel corso della "Vita editoriale e pubblica" del volume, a partire dalla prefazione di Renato Minore, coerente e d aderente al lavoro di scrittura del giornalista aquilano, non è stato rilevato, almeno in modo completo e dovuto ad un libro così nuovo ed interessante, l'aspetto letterario e quindi artistico, perno su cui ruota ogni narrazione.

Si è disquisito sulla snellezza della pagina cronachistica, del linguaggio fluido e corrente e quindi di immediata comprensione, ci si è soffermati su angolazioni indagatorie e giudiziarie, appannaggio di avvocati e giornalisti, che appassionano enormemente gran parte di lettori, ma il corpus, la costruzione, l'essenza, la metafora, la filosofia che costituiscono la tessitura letteraria di un'opera non è stata sufficientemente trattata e quindi non messa nella luce che illumina una vera opera di scrittura. Comunque il libro di De Nicola non è solamente un bel lavoro resocontistico di un fatto di cronaca nera che si dipana o si aggroviglia nel corso di tredici anni tra commissariati di polizia, aule di tribunali, carceri, con alterni ricorsi di avvocati e giudici, cavilli giuridici, perizie e ricostruzioni, fazioni di innocentisti e colpevolisti, ma è una ripartizione scenica di una tragedia greca, di una sceneggiatura filmica di "lunghissimometraggio" degna della penna slanciata di Simenon e dell'occhio "voyeruristico" di Hitchcock, di riflessi e riflessioni intimistiche e pur ampie di inquadrature di Igmar Bergman su echi di laceranti tematiche strindberghiane.

Le parole suonano come note espressionistiche della musica di Berg e di Schonberg. Intesi di vera letteratura sono alcuni segmenti di capitoli-articoli, dove gli elementi descrittivi si manifestano più intensamente, come quello appunto, del piccolo cimitero di Ridotti nel quale "tutti, tutti dormono sulla collina" lamentando silenti giaculatorie, rimandanti echi della poetica di Masters, o delle aule delle "giustizie", dove più soffre la condizione dell'esistenza ed affiora di tanto in tanto, come una beffa alla tragedia, la grottesca maschera di un "testimone", recuperato da un'eterna dimenticanza e inconsapevole, involontario attore di una moderna atellana.

Il "romanzo" è ricco di motivi che riconducono alla letteratura, alla storia e all'atte, all'umanità creativa, all'umanità imperante e a quella soccombente: per questa ragione, al "Presunto innocente", si può e si deve riservare un costrutto ermeneutico di vasto interesse. Il lettore stesso deve necessariamente ampliare la visione di acquisizione di questa articolare, "medita" finora, formula di narrazione che costituisce il volume. Il "romanzo" va sfogliato lentamente, analizzato pagina dopo pagina, acquisito nel profondo e, dal profondo estratto l'humus culturale e artistico dell'autore giornalista.

Angelo De Nicola non è solamente il narratore pedissequo di una nera, lunga storia, ma è l'artefice di un'opera che palpita sotto la patina della cronaca, è il troviere di una tragica rapsodia che canta con voce rotta, perché ha anima, l'anima del professionista sensibile e colto, di poeta che non intuisce con la frequentazione quotidiana di scellerate vicende, ma da esse trae levità di speranza. De Nicola, come un dipintore del romanticismo, affresca nella sequenza delle pagine la disperazione, la crudeltà, la commozione, la pietà, varando anche, sulle procelle dell'anima, una novella "Zattera della Medusa".




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