LogoLogo

Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 86

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



86. MAURO MENTI’: ERA BUIO E NON POTEVA VEDERE
8. 10. 1997



La verità, forse, è vicina. O almeno, la Giustizia sta facendo del tutto (riempiendo le lacune che tre gradi di giudizio non sono riusciti a colmare) per arrivare a capire chi è l’assassino del delitto di Balsorano.
La verità sul maledetto dubbio (il padre o il figlio?) potrebbe arrivare finalmente dall’esito della perizia sul Dna, richiesta dalla difesa di Michele Perruzza e concessa ieri mattina dal Tribunale di Sulmona, davanti al quale si sta celebrando un processo- satellite che è diventato l’ultima spiaggia per riaprire il procedimento principale.
È la carta del tutto per tutto, una sorta di “roulette russa” per la difesa di Perruzza.
Il perito (Carla Vecchiotti, medico-legale dell’Università di Roma, la quale riceverà l’incarico nella prossima udienza fissata al 28 ottobre) dovrà infatti stabilire a chi appartenevano, se al figlio o al padre, il paio di slip rinvenuto sul tetto di casa Perruzza e sul quale fu trovata una macchia di sangue che, all’esame del Dna, è risultato appartenere alla piccola Cristina.
Dunque, è certo che l’assassino, quella maledetta sera del 23 agosto di sette anni fa, indossava proprio quell’indumento intimo precipitosamente gettato sul tetto dalla finestra del bagno.
Indumento che finora è stato attribuito a Michele perché, in una perquisizione in carcere a distanza di un mese dal delitto, gli fu trovato addosso un paio di slip identico, per marca e misura, a quello “incriminato”.
Ma, ha sempre sostenuto la difesa, in casa Perruzza padre e figlio Mauro (all’epoca tredicenne ma già sviluppato), indossavano la stessa misura tanto che prelevavano gli slip dal medesimo cassetto di panni puliti.
Con una perizia che si sarebbe potuta fare già durante il procedimento principale, si accerterà a chi appartenevano gli slip attraverso l’esame comparato del Dna sulle tracce di liquidi organici (in gran parte di urina) presenti sull’indumento.
Se le tracce appartengono al muratore, per Michele sarà davvero finita: ergastolo, senza alcuna speranza. Ma se quelle tracce, come sostiene la difesa di Perruzza, appartengono al figlio Mauro, allora va cancellato un ergastolo, riscritta l’intera storia del delitto di Balsorano e vagliate anche le ragioni per le quali la giustizia s’è accanita contro un uomo che s’è sempre professato innocente non sondando a dovere la prima pista. Il ragazzino, infatti, si autoaccusò del delitto prima di ritrattare e, infine, accusare il padre fornendo svariate versioni.
La difesa è convinta di essere vicina alla verità. Ieri, infatti, è stato ufficialmente chiarito che Mauro ha detto il falso quando, davanti alla Corte d’Assise d’Appello, ha reso la testimonianza contro il padre risultata uno dei due pilastri (insieme al famoso paio di slip) per la condanna all’ergastolo.
Il perito nominato dal Tribunale, il generale in pensione dell’Aeronautica, Natale Giacobello, in aula ha spiegato che Mauro non poteva vedere la scena del delitto dal tetto del capanno che il ragazzo descrisse durante la testimonianza-chiave, semplicemente perché all’ora indicata (tra le 20,30 e le 20,45) era buio. Sulla base dell’esperimento fatto il 23 agosto scorso (ovvero nello stesso giorno del delitto, seppure dopo sette anni), il perito ha concluso che già dalle 20,22 il buio impediva di vedere la sagoma che raffigurava l’assassino accovacciato e con le mani al collo della piccola vittima. «Una perizia di una meticolosità unica», come l’ha definita il presidente del Tribunale, Oreste Bonavitacola, che è stata duramente contestata dal padre di Cristina secondo il quale deve far testo il sopralluogo effettuato dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila che si recò sul posto in un giorno di gennaio ed alle prime ore del pomeriggio.
Una Corte che avrebbe potuto benissimo attendere lo stesso giorno del delitto per avere un quadro molto più esatto dei luoghi descritti dal ragazzo.
Luoghi nei quali, ha detto ieri il generale Giacobello, sono oltretutto intervenute delle modifiche (è sparita, come s’è potuto rilevare con la comparazione di riprese televisive dell’epoca, molta della vegetazione) che hanno persino aumentato la visibilità rispetto all’epoca del delitto.
Il risultato di questa perizia, da solo, appare già sufficiente a soddisfare le esigenze processuali della difesa. I legali del muratore, in un processo apparentemente insignificante che però due Tribunali (prima quello di Avezzano e, poi, quello dell’Aquila) non hanno voluto celebrare e che invece la Cassazione per due volte ha imposto di fare, vogliono dimostrare che Mauro non disse la verità né quando ha accusato il padre né quando ha detto che i genitori lo istigarono ad autoaccusarsi del delitto (per quest’ultimo reato, induzione all’autocalunnia, si sta celebrando il procedimento- satellite a Sulmona).
Un’assoluzione nel merito di Perruzza in questo processo, per l’evidente contrasto con le motivazioni della condanna all’ergastolo, potrebbe essere per la difesa un elemento sufficiente per chiedere la ”revisione” del procedimento principale. La difesa, alla ricerca della verità, è andata oltre chiedendo ed ottenendo anche la perizia sul Dna. Evidentemente, anche il Tribunale di Sulmona vuol sapere la verità.


[Versione in pdf]
Capitolo precedente⇦ Indice CapitoliCapitolo successivo

Segui Angelo De Nicola su Facebook