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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 64

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



64. SPERANZE FINITE, E' IL CARCERE A VITA
29. 9. 1992



Carcere a vita, senza speranza.
La Corte di Cassazione, dopo un'ora e mezza di camera di consiglio, ha posto ieri la parola fine alla vicenda processuale del “delitto di Balsorano” a poco più di due anni dal quella sera del 23 agosto.
La prima sezione della Suprema Corte ha confermato la condanna all'ergastolo che era stata inflitta a Michele Perruzza, dalla Corte d'Assise dell'Aquila il 15 marzo del '91 e che era stata confermata il 29 gennaio scorso dalla Corte d'Assise d'Appello.
Ergastolo.
Per la Cassazione non ci sono dubbi. Ad uccidere, dopo aver cercato di abusarne, la piccola Cristina uscita di casa per andare a giocare in piazza con gli amichetti, fu lo “zio Michele”. Fu lo zio ad attirarla con una scusa nel boschetto di more a pochi passi da casa sua dove, oggi, è stato eretto un tempietto.
Ergastolo.
Stavolta la definitiva “condanna a morte” di Perruzza non è stata salutata né da applauso in aula né dai fuochi d'artificio a Case Castella di Balsorano.
Nel piccolo borgo in cui le famiglie si chiamano per metà Perruzza e per metà Capoccitti, ieri al bar c'era qualcuno che faceva festa. Una specie di liberazione da un incubo soprattutto per quei paesani che, chiamandosi Perruzza, si sentono spesso additati come «parenti del mostro di Balsorano».
Ergastolo.
Ora, per Perruzza l'unica speranza resta quella di giocare la carta della revisione del processo. Ma serve un fatto nuovo, importante e fondamentale, per chiedere la riapertura. Ed al momento sembra poco quel sopralluogo, fatto il 23 agosto scorso sul luogo del delitto dall'Associazione vittime dell'ingiustizia (Avi), per dimostrare che all'ora indicata nella decisiva testimonianza del figlio minore Mauro davanti alla Corte d'Appello, era già buio e non si poteva vedere nulla.
Nella maestosa aula della prima sezione della Corte di Cassazione ieri sera l'aria s'era fatta viziata. L'aria diventata irrespirabile e le facce sfatte di avvocati, dei giudici e del (poco) pubblico testimoniavano l'intensissima giornata d'udienza.
Confermando la tradizione che da due anni vuole il “delitto di Balsorano” come un caso a parte, anche per il terzo grado a Perruzza sono saltate tutte le regole.
Il rapido, quasi frettoloso, esame della Cassazione è andato invece per le lunghe occupando un'intera giornata. Agli avvocati della parte civile e della difesa non sono stati «imposti» limiti ai loro interventi che, si commentava ieri nei sontuosi corridoi dell'ex “Palazzaccio” della Capitale, forse rappresentano un record di durata.

«Carnevale è sempre presente». Un'intera giornata per una sola causa: anche questo, forse, è un altro record. Degli otto procedimenti fissati per ieri mattina, si è tenuto solo quello riguardante Perruzza ed un altro riguardante un pregiudicato di Catanzaro la cui discussione, in tutto, non è durata più di undici minuti.
Da ieri, infatti, anche tutto il personale ausiliario della Cassazione è sceso in sciopero ad oltranza per protestare contro il taglio dalla busta paga dell'indennità giudiziaria.
Due assistenti d'udienza ed un commesso sono stati così precettati ma soltanto per le cause che riguardassero gli imputati detenuti. Gli altri procedimenti sono saltati «con tante scuse» agli avvocati da parte del giudice “ammazzasentenze” Corrado Carnevale.
A principio s'era creduto che saltasse l'intera sessione per l'assenza anche dei magistrati: «Il giudice Carnevale - ha però subito precisato un usciere - c'è sempre. Lui, viene sempre. Anche in barella... ».

L'incompatibilità dell'avvocato Casciere. Nel giudice Carnevale hanno sperato, fino all'ultimo, i due avvocati di Perruzza (Attilio Cecchini e Antonio De Vita). Ma forse presagendo la decisione finale, i due legali non hanno atteso, al contrario dei colleghi della parte civile, il verdetto reso noto poco prima alle 18. Hanno preferito andar via verso le 16, 30, conclusi i propri interventi. Nei quali con forza, Cecchini e De Vita hanno chiesto alla Corte (quattro giudici, più il presidente Carnevale) di “cassare”, cioè cancellare il processo fin dal primo grado. Di ricominciare da capo «per sondare al meglio la vera strada che porta all'assassino della povera Cristina: il figlio minore del muratore, Mauro, un bugiardo che, oltretutto ha depistato inquirenti e giudici».
La difesa, a cui è stata data la parola alle 14 dopo la breve pausa per un panino, ha puntato tutto sulla presunta incompatibilità dell'ex difensore di Perruzza, l'avvocato Casciere. Quest'ultimo, ha insistito la nuova difesa, aveva assistito e fatto prosciogliere il figlio minore. Quindi non avrebbe dovuto assumere anche la difesa del padre «trovandosi nella incresciosa situazione - ha spiegato Cecchini - da una parte di non tradire Michele e dall'altra di non investire di responsabilità Mauro e garantirgli l'impunità. Non è esatta l'interpretazione della norma data dalla Corte d'Assise d'Appello che -ha continuato l'avvocato- rigettò questo nostro fondamentale rilievo con la motivazione che lo stesso difensore deve trovarsi « nello stesso processo». Anche perché siamo stati noi a fare le spese delle interpretazioni, peraltro restrittive, dei punti più controversi del nuovo codice. Il rodaggio del nuovo processo penale ha danneggiato solo noi... ».

La “lezione” della parte civile. Alla faccenda dell'incompatibilità, al mattino, aveva dedicato gran parte del suo intervento durato ben due ore, l'avvocato Franco Coppi, il noto docente universitario incaricato di rappresentare davanti alla Suprema Corte la famiglia di Cristina sia per dare maggiore peso all'Accusa privata sia perché i due giovanissimi legali dei Capoccitti (Giancarlo Paris e Antonio Milo) non sono ancora patrocinanti in Cassazione.
Nella sua lucidissima analisi, una “lezione” da cattedratico, Coppi ha spiegato che seppure «l'avvocato Casciere avrebbe dovuto usare il buon gusto di non assumere la difesa di Michele Perruzza» e che anzi «si sarebbe dovuto denunciare a chi di dovere Casciere se non altro per scarsa deontologia professionale», non esiste incompatibilità perché sanava ogni problema la presenza dell'altro difensore di Perruzza (Domenico Buccini, che pure fu assente durante il decisivo interrogatorio di Mauro in primo grado).
E comunque, quand'anche ci fosse stata un'incompatibilità, ha concluso Coppi, questa non è causa di nullità del processo. Insomma, non è un falso problema ma il diritto è stato rispettato.
Così, evidentemente, ha deciso la Corte sulla questione presentata dalla stessa difesa come la più importante ai fini di quel “freddo” vaglio sull'applicazione del diritto che è il processo davanti alla Cassazione.
La difesa ha insistito anche su altri punti: la scomparsa di un nastro con la registrazione della prima accusa del figlio contro il padre; la posizione processuale di Mauro qualificato ”testimone” dai giudici ed invece da considerarsi “co-indagato” per lo stesso delitto; l'inaffidabilità del metodo usato per estrarre il Dna dalle macchie di sangue trovate su un paio di slip rinvenuto sul tetto di casa Perruzza e su alcuni capelli rimasti intrappolati in una canottiera appartenente al muratore.
Non è servito a nulla. L'assassino è lui. Anche per la Cassazione.


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