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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 57

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



57. MAURO E' LA PROVA “REGINA”
28. 2. 1992



L'intera vicenda dell'omicidio di Balsorano è come un “film” di cui si hanno a disposizione solo spezzoni. Quegli spezzoni «riuscendo però a svelare i momenti più importanti, consentono di conoscere la trama e di affermare perciò la colpevolezza di Michele Perruzza».
E le zone buie del film? Ce ne sono, ma «sugli spezzoni del film, che, nonostante lo sviluppo delle indagini, sono rimasti oscuri, la difesa dell'imputato ha ritenuto di poter fare leva per contrastare i successi della tesi accusatoria per infondere il dubbio sugli eventi e sui suoi autori. Ma di fronte alla chiarezza ed alla decisività delle circostanze accertate le considerazioni della difesa appaiono, nella loro marginalità, del tutto irrilevanti ai fini del giudizio».
La suggestiva immagine del “film” intermittente riassume, più di ogni altra considerazione, le lunghissime motivazioni della conferma dell'ergastolo per il muratore di Balsorano depositate ieri, a 29 giorni dalla conclusione del processo, dal presidente della Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila, Bruno Tarquini.
Ben 103 pagine (il triplo delle motivazioni della sentenza di primo grado) nelle quali il dottor Tarquini affronta tutti i punti; scende nei minimi dettagli di ogni questione: smonta le tesi dei due difensori Cecchini e De Vita per i quali spesso mostra una certa ammirazione «per essersi battuti con vigore», cerca di sgomberare il campo dai dubbi e rifila poderose bacchettate sulle mani di chi ha sbagliato e-o è stato superficiale.

Il “teorema Tarquini”. Dopo aver spiegato il perché sono state rigettate tutte le numerose eccezioni di nullità presentate dalla difesa, il presidente illustra il suo teorema: il quadro della vicenda emerso dal processo di primo grado si è arricchito di «contributi decisivi» e univoci contro Michele. Cioè, nel processo di secondo grado è emerso un testimone del fatto, il figlio minore di Perruzza, Mauro, che ha accusato il padre asserendo di averlo visto uccidere la piccola Cristina dal tetto di un capanno, una posizione da dove poteva vedere come la Corte ha accertato in un sopralluogo. Le dichiarazioni del ragazzo sono state poi confermate dalla superperizia, successiva, del professor Merli.

Le prove. Le prove di merito contro Perruzza secondo Tarquini sono quattro.
Primo: la testimonianza di Mauro, appunto. «Questa deposizione - si legge nelle motivazioni - è stata resa da un ragazzo che ha dato prova di notevole fermezza, consapevole della gravità e della rilevanza delle parole che stava pronunciando e del pregiudizio che esse arrecavano alla linea difensiva del padre, verso il quale ha manifestato sentimenti di amore; da un ragazzo che sottratto alla negativa influenza della madre, ha dato dimostrazione di aver ritrovato un sufficiente equilibrio interno dopo la tragedia abbattutasi anche sulla sua famiglia e sulla sua stessa persona, rapido, sicuro e tranquillo nelle risposte alle domande della Corte, capace di rispondere con grande disinvoltura alle contestazioni dei difensori dal padre».
Secondo: le dichiarazioni della superteste Rosa Perruzza a cui anche la Corte di secondo grado ha voluto credere.
Terzo: la perizia d'ufficio sul Dna del professor Bruno Dallapiccola è pienamente credibile: il sangue sul paio di mutande (che la Corte ha attribuito a Perruzza e non al figlio) ed i capelli strappati trovati sulla canottiera del muratore sono sicuramente della vittima.
Quarto: il comportamento dopo il fattaccio dell'imputato che ha cercato in tutti i modi di crearsi un alibi morale, facendosi per esempio trovare a letto al momento dell'allarme per la scomparsa di Cristina e mettendo in scena altri strani comportamenti come quello di andare di persona ad avvertire i carabinieri a Balsorano già allertati dal padre della piccola. Un comportamento che, secondo la Corte, è stato attuato anzi spesso ispirato dalla moglie del muratore la quale ha avuto un ruolo nella vicenda niente affatto secondario.

Il silenzio di Perruzza. Alla personalità dell'imputato viene dedicata una lunga analisi. In particolare le motivazioni danno fondamentale importanza alle accertate tendenze pedofiliache di Perruzza: «Se quelle tendenze non possono assurgere da sole a rango di prova dell'omicidio nei confronti di Perruzza, tuttavia sono tali da costituire una rilevante prova della sua causale e finiscono per rappresentare un efficace collante tra tutte le numerose prove che le risultanze processuali hanno consentito di raccogliere sulla colpevolezza dell'imputato».
Ma soprattutto il dottor Tarquini, mette in evidenza il silenzio di Perruzza, atteggiamento che spinge inevitabilmente verso un giudizio di colpevolezza «perché se veramente fosse stato solo testimone della morte della nipotina, non si vede per quale motivo, di fronte al rischio di una pena gravissima, dovrebbe tacere, anche a costo di accusare il non imputabile figlio, cosa che né lui né la moglie hanno mai fatto, lasciando tale incarico, invece, agli avvocati difensori e solo in questo grado del giudizio».

Le bacchettate. Ce n'è per tutti. Per gli inquirenti che hanno sbagliato nel ritenere che l'enorme pietra sequestrata potesse essere stata lo strumento per colpire Cristina; per i giudici di primo grado che hanno utilizzato «illegittimamente» il verbale di comparazione, fatto dalla Polizia, degli slip, operazione che invece necessitava di una perizia; per il giudice di primo grado che non ha «posto nella dovuta luce» l'elemento della pedofilia per arrivare «ad affermare la compatibilità psicologica del fatto con la personalità di Perruzza»; «per l'ambiguità» di chi ha difeso il muratore nelle fasi precedenti.


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