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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 51

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



51. A BALSORANO IN CERCA DI VERITA'
22. 1. 1992



Sciarpe e cappelli per difendersi dal freddo pungente e dalla neve, calzoni tirati a mezz'asta e scarpe “ingessate” dal fango, la classica foschia del primo pomeriggio di una giornata di pieno inverno, una trentenne biondina avvocatessa nella “parte” del corpicino di una bambina di 7 anni, tanta voglia di far presto e tornare a casa.
Non si può proprio dire che ieri, al momento dell'ispezione della Corte d'Assise d'Appello sul luogo del delitto a Case Castella di Balsorano, ci fossero le stesse condizioni di quella sera del 23 agosto del 1990 quando venne uccisa Cristina.
A parte la diversa stagione, non c'erano le stesse condizioni di luce: non possono essere paragonabili le ore 16 (seppure in una giornata “grigia”) rispetto alle 20, 30-20, 45 (che potrebbe anche essere buio) in cui si è accertato che è stata uccisa la piccola.
Ma il presidente della Corte d'Assise d'Appello, Bruno Tarquini, forse spiazzato dal sopralluogo a sorpresa ed in gran segreto di una settimana fa del Pubblico ministero Antonio Palumbo, ieri mattina al termine di un'altra intensissima udienza del processo d'Appello a Michele Perruzza, è stato irremovibile e non s'è fatto scoraggiare nemmeno dalla neve: «L'udienza è sospesa: tra due ore riprenderà sul luogo del delitto, alle 15, 30» ha detto spiegando la decisione di fare il sopralluogo con «lo scrupolo della Corte di andare il più a fondo possibile in questo processo».
D'altra parte il presidente appare preoccupato di comprimere i tempi di un processo che si dilata sempre più: non certo per colpa sua visto che, in pratica, si stanno via via colmando tutte le sciagurate lacune lasciate dal processo di primo grado ormai smantellato.

Il sopralluogo. La Corte ieri ha deciso di accogliere la richiesta dei difensori Attilio Cecchini e Antonio De Vita non tanto per rendersi conto dei luoghi del delitto, quanto per verificare il racconto fatto dal figlio del muratore Mauro, che in aula ha raccontato di aver visto il padre uccidere Cristina da sopra un capanno.
Una testimonianza che, seppure rappresenta l'ennesima versione accusatoria (la quarta e settima in totale) data dal ragazzino che s'era in un primo momento autoaccusato del delitto, ha assunto una decisiva importanza in quanto ha anticipato uno dei fondamentali risultati a cui è giunta la superperizia depositata una settimana fa. E cioè che la morte della bambina è stata provocata dall'azione combinata di una mano a chiudere la bocca e di un'altra a stringere il collo: il ragazzino ha detto di aver visto il padre che era sopra Cristina con due mani e non con una sola al collo come s'era detto in primo grado.
Dal capanno descritto da Mauro, seppure posto più in basso rispetto al terrazzamento sul quale è avvenuto il delitto, ieri, la scena si vedeva chiaramente: questo l'esito del sopralluogo della Corte.
Il problema, però, è stabilire il punto del delitto: sul ciglio del muretto che contiene il terrazzamento o verso l'interno? Nel primo caso la ragazza che si è offerta volontaria stendendosi sul terreno infangato, la “scena” si vede benissimo; nel secondo caso, ovvero due metri all'interno rispetto al ciglio, non si vede nulla. Dov'è stata trovata la macchia di sangue col famoso sasso? Ieri nessuno sapeva dare una risposta. Eppoi le caratteristiche del luogo sono cambiate (la siepe non c'è più) e non soltanto perché vi è stata eretta un'edicola, a ricordo di Cristina, ieri “profanata” da una folla di giornalisti, cameraman e curiosi schiamazzanti e dalle battute («Cristina dicci tu la verità?») di pessimo gusto.

Il famoso sasso. L'udienza ieri mattina è cominciata con l'esame di Pubblica accusa e soprattutto dalla difesa del superperito, professor Silvio Merli. La difesa ha insistito su un punto: «Il perito deve spiegarci perché non è possibile che la bambina sia caduta sul sasso».
Merli ha risposto che sulla base della sua esperienza ventennale poteva escludere la caduta «a meno di poter sperimentare il contrario». L'avvocato Cecchini ha preso in parola ed ha chiesto alla Corte la possibilità di effettuare un esperimento, magari con un manichino.
Proposta alla quale Merli s'è subito opposto nella considerazione che nemmeno con un cadavere si sarebbe potuto fare un'utile prova. La Corte s'è ritirata in camera di consiglio ed ha quindi rigettato, con ordinanza, la richiesta di un esperimento. Un “no” che sembra agevolare ugualmente la difesa dal momento che il dubbio sull'ipotesi contraria, nell'impossibilità di provarla, rimane.

Il giallo dell'audiocassetta. Successivamente la Corte è entrata di nuovo in camera di consiglio per decidere su un'altra istanza presentata dalla difesa. Gli avvocati hanno infatti chiesto di poter acquisire il nastro contenente la prima accusa al padre da parte del figlio Mauro che sarebbe stato fatto ascoltare a Perruzza e a sua moglie.
Un nastro che, secondo la difesa, sarebbe entrato negli atti del procedimento anche per una risposta data dal ragazzino nel corso della sua ultima deposizione in aula. La Corte ha rigettato la richiesta sostenendo che del nastro non c'è alcun riferimento agli atti. Resta il fatto che la Procura di Avezzano non ha risposto né si né no all'istanza scritta con la quale la difesa chiedeva di conoscere il contenuto della audiocassetta. Di qui la grave denuncia in aula da parte dell'avvocato Cecchini di un'ipotesi di soppressione di un atto «in totale spregio dei diritti della difesa».
L'udienza riprenderà lunedì prossimo, 27 gennaio. La sentenza è prevista entro la fine del mese.


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