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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 32

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



32. PERRUZZA, OGGI LA SENTENZA
15. 3. 1991



A 198 giorni da quell'alba di fine agosto quando una bimba scomparsa venne trovata nuda dentro un fosso in un borgo della Valle Roveto, oggi la Giustizia darà una risposta a questo brutale assassinio.
Oggi, a meno di un colpo di scena dell'ultimo momento, è prevista la sentenza della Corte d'Assise dell'Aquila che deciderà la sorte di Michele Perruzza per il quale il Pm ha chiesto l'ergastolo e la difesa l'assoluzione.
Dopo la replica del Pubblico ministero, i due giudici (Villani presidente, Como a latere) e i sei giudici popolari (Pietro Acciarino, Anna Ciccone, Gianvincenzo D'Andrea, Maria Fabbriani, Walter Priore, Fernando Verini) si ritireranno in camera di consiglio.
Essi vi entrano dopo 200 giorni di ininterrotto “battage” sulla stampa, 7 intensi giorni di processo col nuovo rito, 51 testimonianze, 7 deposizioni di esperti medici legali e scienziati le cui perizie sono raccolte in un faldone, una durissima requisitoria del Pm sostenuta da due interventi della parte civile e le due arringhe difensive, ieri, della difesa.
Ma soprattutto i giudici, nella saletta accanto all'aula, avranno come stampati nei loro occhi le macabre fotografie di una bimbetta di 7 anni dal corpicino martoriato e l'immagine di un ometto che, in carcere da 195 giorni con l'infamante accusa di essere il ”mostro” che ha assassinato la nipotina, ha continuato a dirsi innocente rimanendo impassibile, a testa china, nella “gabbia” degli imputati. «Perruzza continua ad urlare la sua innocenza - hanno detto ieri gli avvocati Leonardo Casciere e Domenico Buccini-, anche a noi che gli abbiamo prospettato l'attuale situazione processuale».
In dubbio pro-reo. In due ore, l'avvocato Casciere ha sintetizzato la sua richiesta di assoluzione. «Si è tentato di portare la Corte all'interno di un tunnel» ha esordito sferrando un violento attacco contro i giornalisti e contro tutti coloro che dovranno prendersi le loro responsabilità per aver voluto scrivere in anticipo una sentenza e precostituito ad arte il mostro di Balsorano». «Una speculazione per biechi fini economici o pubblicitari - ha detto Casciere - da cui noi vogliamo prendere decisamente le distanze.
Accettando, a metà strada, la difesa di Perruzza, abbiamo voluto imprimere un 'impronta diversa a questa pubblicità sfrenata che si è fatta su una triste vicenda».
Nella logica che «non è la difesa che deve discolparsi, ma l'accusa che deve fornire le prove», il difensore ha cercato di insinuare dubbi per smontare uno per uno, tutti i passaggi delle indagini e della ricostruzione fatta dal Pm. Casciere ha mandato alcune sue “cartucce” decisamente a segno altre decisamente a vuoto: «La difesa non ha mostrato una precisa linea difensiva, ha continuato a sbandare» ha commentato le arringhe il Pm Mario Pinelli. I dubbi di Casciere, appunto. La perquisizione in casa Perruzza: l'abitazione non era stata affatto chiusa. La canottiera: al momento di “repertare” i capelli poi risultati di Cristina il difensore non c'era e l'atto è quindi nullo. Il paio di mutande: il 27 agosto, nella Valle Roveto, è venuto giù un temporale e perciò quelle mutande sarebbero dovute risultare quantomeno umide. I testimoni: sono tutti inattendibili, compreso il figlio tredicenne a cui si crede solo quando fa comodo e la “superteste” Rosa Perruzza, «perché sono venuti in aula con la paura di poter essere utili al “mostro di Balsorano”. Il cane “Pippo”: è una fantasia del Pm. Le perizie: gli sbarramenti dell'illustre scienziato professor Fiori parlano da soli.
Poi Casciere ha riproposto le altre ”vie” alternative rampognando gli inquirenti per le gravi carenze nell'indagini su sui due primi sospettati Dino Capoccitti e Fernando Capoccitti «le cui posizioni non sono affatto chiare».
Quindi ha ricostruito l'assassinio: prima ha detto che «Cristina mentre scappava ha battuto più volte la testa contro il muretto vicino al boschetto di rovi. Non è stato un omicidio dalla crudeltà inaudita come si è voluto dipingere» e quindi ha invece consigliato ai giudici popolari di «vedere le fotografie della povera Cristina martoriata, subito e non dopo la sentenza come ha chiesto il Pm per chiedersi se un uomo normale può fare quel massacro. Allora l'unica spiegazione è che abbia agito un pazzo. Ma Perruzza non è «pazzo». Ha concluso: «Fate giustizia non vendetta».
Manca la prova « regina». Su questo aspetto ha insistito Buccini: «Non ci sono prove, ma soli indizi che portano ad un giudizio di verosimiglianza. E senza certezze si può condannare un uomo all'ergastolo?».
E' il classico caso, ha spiegato l'avvocato, di insufficienza di prove, una formula non più ammessa dal nuovo codice che va risolta a favore dell'imputato, «un onesto gran lavoratore, con qualche precedente che semmai dimostrerebbe che pur pedofilo non è affatto un violento.
Ha mai usato violenza Perruzza contro le altre bimbe oggetto delle sue attenzioni? Mai».
Dubbi, troppi dubbi, ha insistito Buccini: «Anche i genitori di Cristina non hanno certezza su chi ha ucciso la loro piccola».
A questa frase Giuseppe Capoccitti, il padre della bimba, ha scosso la testa per poi abbandonare l'aula dopo una strana affermazione con la quale Buccini voleva dire un'altra cosa: «... E' stato un ratto di libidine di minore consenziente». «L'avvocato ha superato ogni limite - ha commentato Giuseppe Capoccitti-: una frase di una nefandezza incredibile».


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