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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 25

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



25. BOCCIATA LA “TERZA VIA”
6.3.991



Intensa, combattuta e subito determinata. La mattinata che ieri ha aperto il processo davanti alla Corte d'Assise dell'Aquila per l'”omicidio di Balsorano”, non ha deluso le attese del folto pubblico presente al dibattimento, ovvero il momento «principe» secondo la filosofia del nuovo codice, di una triste vicenda. La storia di una bimba di 7 anni trovata morta, completamente nuda, tra i rovi di un boschetto di more a due passi da casa.
A “leggere” le prime cinque ore del processo contro Michele Perruzza che rischia l'ergastolo per le accuse di omicidio, ratto a fine di libidine e occultamento di cadavere, emergono tre fatti. Primo: la Corte (presidente Villani, a latere Como più 6 giudici popolari) sembra aver già bocciato l'ipotetica “terza via” che la difesa (avvocati Casciere e Buccini) vorrebbe proporre in alternativa alla “verità processuale” secondo la quale l'assassino è in casa Perruzza. Secondo: la moglie di Perruzza, Maria Giuseppa Capoccitti, ha ritrattato davanti ai giudici ogni sua accusa al marito. Terzo: l'imputato è soggetto con evidenti problemi sessuali come le prime testimone hanno confermato.
La «terza via». L'avvocato Leonardo Casciere, nel suo intervento preliminare teso a sollevare eccezioni di nullità, l'ha indicata fin troppo chiaramente. Il difensore ha infatti ritirato in ballo quel Dino Capoccitti, 23 anni, che fu tra i primi sospettati del delitto, tanto che gli vennero sequestrati alcuni indumenti con macchie rossastre (poi risultate non essere sangue) e fu messo più volte sotto torchio da magistrati ed inquirenti.
Perché, si è chiesto in sostanza Casciere, quella “pista” venne subito abbandonata? «E perché, proprio il 7 gennaio scorso, quando la difesa presentò la propria lista testimoniale, la signora Rosa Perruzza, madre del giovane Dino, s'è ricordata che il 23 agosto sentì il suo vicino di casa e cugino Michele rientrare a casa presumibilmente all'ora del delitto e dire alcune cose alla moglie? Questa superteste come viene presentata dall'accusa - ha detto Casciere - non va ammessa a testimoniare perché inattendibile a distanza di così tanto tempo». «Qui si gioca sull'ergastolo di una persona, e non sono ammissibili certi “giochi”»: Casciere ha accusato di «scorrettezza» gli inquirenti in particolare sul fatto che il figlio tredicenne di Perruzza, pur essendo “indagato” dopo la sua autoaccusa, venne più volte sentito come testimone contro il padre senza la presenza di un legale e fu oggetto di una perquisizione personale.
«Quegli interrogatori del figlio dell'imputato sono nulli»: la difesa ha riproposto la nullità già rigettata dal Gip. Ma la Corte, in due diverse ordinanze ha rigettato la nullità delle testimonianze del figlio tredicenne ed ha ammesso a testimoniare Rosa Perruzza, ma soprattutto, come aveva chiesto il Pm (il sostituto Mario Pinelli) ha acquisito al fascicolo del dibattimento la sentenza di proscioglimento del Tribunale dei Minori per il figlio e i tre «no» (del Gip di Avezzano, del Tribunale della Libertà dell'Aquila e della Cassazione) all'istanza di scarcerazione dell'imputato. La Corte ha acquisito, comunque, gli indumenti sequestrati a Dino Perruzza: «L'alibi del giovane - ha però commentato Pinelli - regge ed è stato scrupolosamente verificato».
La moglie. Ha accusato il marito, tre giorni dopo il delitto, perché quella notte era in stato di confusionale. Così ha detto Maria Giuseppa Capoccitti durante la sua deposizione sorprendentemente, su disposizione dalla Corte, a porte chiuse. A sorpresa perché non era stata chiesta dal Pm, né la signora Perruzza era chiamata a soffermarsi su particolari scabrosi.
Il pubblico e soprattutto i paesani di Case Castella relegati dietro i vetri delle grandi porte dell'aula d'Assise, non si sono spiegati la decisione: «Porte chiuse? Ma quella è più che maggiorenne...» dicevano alcune donne non senza notare dietro i vetri la sicurezza della signora Perruzza, impassibile, come fosse infastidita dal dover testimoniare. Così le decisive parole e (i decisivi silenzi) di un personaggio-chiave della vicenda, i giornalisti se li sono dovuti far raccontare raccogliendo sussurri qua e là.
Ma ognuno diceva una cosa diversa secondo il proprio interesse. L'Accusa e la parte civile: «La donna è caduta in numerose contraddizioni che non possiamo specificare perché saranno il fulcro del proseguio del processo». La difesa: «La donna, nella sua ricostruzione, ha fornito l'alibi al marito». Insomma, grazie alle porte chiuse poco si è riusciti a capire su uno dei punti nodali e soprattutto la donna non ha subito il confronto in aula con i suoi paesani. Che a giudicare dai commenti a denti stretti, non mostravano certo di volerle bene.
Le prime testimonianze. Dopo le eccezioni preliminari, e prima di Maria Giuseppa Capoccitti, la Corte ha ascoltato due testimoni. Una ragazzina quattordicenne venuta dalla Francia, dove vive, che durante una sua vacanza a Ridotti fu oggetto di particolari attenzioni da parte del muratore, ed una donna di 35 anni (di Ridotti ma oggi residente a Verona) che 25 anni fa, all'età di 10 anni, fu aggredita per chiari scopi sessuali dal muratore allora adolescente.


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