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Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza - Capitolo 107

Un saggio di Angelo De Nicola

Presunto innocente



107. L’ALTRA VERITA’ DEL GIALLO DI BALSORANO
23. 4. 1998



Se la “sentenza Tarquini” aveva posto un macigno davanti alla cella dell’ergastolano Michele Perruzza, la “sentenza Bonavitacola” solleva quel macigno ed apre le “Grandi porte” del processo di revisione.
Proprio nel giorno in cui il Tar del Lazio ha rigettato la richiesta di sospensiva del provvedimento di trasferimento del muratore dal carcere di Sulmona a quello milanese di Opera. Con un sforzo ciclopico (raro è il coraggio di “processare” processi già chiusi), il presidente del Tribunale di Sulmona, Oreste Bonavitacola, nelle motivazioni depositate ieri della sentenza del processo-satellite (al termine del quale Michele e sua moglie sono stati assolti dall’accusa di aver istigato il figlio Mauro ad autoaccusarsi del delitto della piccola Cristina), ribalta le verità processuali del delitto di Balsorano. Fino ad affermare che Mauro è totalmente inaffidabile ed incoerente quando accusa il padre, mentre è attendibile e coerente quando si autoaccusa.
Anzi, «l'autoaccusa di Mauro, lungi dall'apparire una costruzione fantasiosa, si pone, al contrario, su un piano generale, come un’esposizione credibile di una vicenda vera».
Insomma, l’assassino della piccola Cristina potrebbe essere il ragazzo, dove il condizionale, spiega Bonavitacola, è solo per rispetto ai giudici che dovranno ora ristabilire la verità, alla luce delle nuove prove emerse nel processo di Sulmona.
Le nuove prove, appunto. Dopo aver spiegato che è stata la Cassazione ad imporre al Tribunale peligno «non solo di valutare liberamente le risultanze del processo principale per omicidio ma anche di sviluppare l’indagine istruttoria fino ad estendere gli accertamenti a fatti diversi da quelli già accertati e valutati in quella sede», Bonavitacola dedica gran parte delle 41 pagine delle motivazioni ai due punti fondamentali.
Da un lato se Mauro poteva vedere, nascosto dietro il famoso capanno, la scena del delitto; dall’altro, l’appartenenza del paio di slip, sicuramente indossato dall’assassino perché risultato macchiato del sangue di Cristina.
Ebbene, per Bonavitacola le due perizie parlano chiaro. Quella del generale dell’Aeronautica, Natale Giacobello, ha concluso che dopo le 20,35 dal capanno non si vede la scena del delitto perché è buio pesto.
Il presidente va anche al di là perché sposta, sulla base delle varie testimonianze e soprattutto dopo quanto raccontato da Mauro, l’ora del delitto dalle 20,30 alle 20,45. «Orbene, una volta collocato l’orario di avvistamento intorno alle ore 20,45, non c’è dubbio che Mauro mente platealmente».
Tanto più che, sostiene Bonavitacola, «appare legittimo il sospetto che la versione del capanno resa da Mauro davanti alla Corte d’Assise d’Appello fosse stata pilotata e predisposta ad arte, ad oltre 15 mesi di distanza dalla prima costruzione accusatoria, da parte di chi aveva interesse a presentare alla Corte d’Assise una versione definitiva, ben costruita, più sicura e credibile e meno vulnerabile, mettendo ordine nelle precedenti contrastanti e contraddittorie versioni». Versione pilotata, insiste il presidente, dall’assistente sociale Silvia Bianchi che si occupò di Mauro.
Chiara, secondo il presidente, è anche la perizia del Dna sul paio di slip. Una perizia che Bonavitacola giudica «sorprendente» perché, partita per accertare se l’indumento apparteneva o meno a Michele, ha poi finito con l’“incastrare” Mauro, peraltro dopo un’iniziativa dello stesso ragazzo, perché il Dna è risultato perfettamente compatibile con quello del figlio e non del genitore. E la credibilità di Mauro «riceve un colpo fatale quando si affronta il tema del Dna».


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