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La Missione di Celestino - Capitolo 25

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«Dunque, non è finita. Il gioco dell’oca riparte...».
«È stato il questore in persona a trovarlo durante il sopralluogo per cercare qualche impronta, qualche indizio. Nulla. Come se li avesse aiutati lo Spirito Santo a violare il mausoleo. Hanno scritto nel verbale quelli della Criminalpol che le serrature dell’inferriata e della teca dovevano essere già state aperte nei giorni scorsi. Non avrebbero avuto tempo e modo di farlo in quel trambusto e con tutta quella gente: sarebbero stati notati. Addirittura, il timer dell’allarme è stato trovato fermo alla data del primo giugno scorso. Dunque, avevano predisposto tutto, da mesi, nei minimi particolari. Non c’è nemmeno bisogno di sottolinearlo».
«Dov’era il biglietto?».
«Nascosto nella pantofola, quella di destra mi pare. Voglio dire del piede destro delle sacre spoglie. Il questore mi ha subito chiamato e mi ha ordinato di consegnarla a lei...per competenza. Il tempo di tornare qui in Municipio a cercarla...».
«Il solito foglietto. Il solito tratto di pennarello. La solita frase...».
«Esattamente. Per giunta proprio nella pantofola».
«Che è dello stesso tessuto della copertina del Codice celestiniano...».
«Esattamente».
«Mi risparmi lo stillicidio. Dove porta la frase?».
«Ho già fatto le mie valutazioni e credo di aver capito...».
«Sovrintendente, lei ormai sembra davvero ragionare come loro...».
«Non si affanni a sprizzare addirittura odio contro di me. Credo che avrà un bel daffare con quest’ultimo messaggio».
«Non bastava un povero Papa decapitato...».
«Se ci riflette, forse avremmo dovuto capirlo, almeno noi due, che non potevano fermarsi a quel gesto pur così eclatante. A proposito: siamo sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo».
«Cos’altro vogliono fare? Distruggerci, annientarci psicologicamente? Vogliono farci stare qui anni a trovare biglietti, per giunta lì piazzati da chissà quanto tempo? Cosa vogliono? Un’ammissione sui giornali e in tv che sono più bravi, più intelligenti, più...».
«No. Vogliono la Pace».
«Cosa?».
«Ripeto: è solo la mia interpretazione. Ma ho come l’impressione che vogliano tendere un ponte per cercare una sponda dove appoggiarsi. Sta a noi cogliere l’occasione».
«Sovrintendente, lei è impazzito!».
«Può darsi. Certo sono esausto. Sono giorni che rifletto, non faccio altro che pensare e ripensare. E credo che l’unica spiegazione sia questa che le sto dicendo».
«E quale, sentiamo?».
«La frase, fatto l’anagramma, è: “Gli ebrei hanno il vero volto della Pace”».
«“Gerusalemme” e “volto” sono le due parole-chiave, giusto?».
«Esatto. Chiavi che s’incardinano su due questioni: il cardinale Confalonieri e gli ebrei».
«E lo sapevo che c’entravano anche gli ebrei! Come ho fatto a non pensarci prima. Sentiamo!».
«La frase ruota attorno alla parola “volto”. Dunque non può che essere il Volto di Celestino V».
«Elementare, Watson! Il Volto hanno portato via, mica una mano...».
«Ebbene, signor Sherlock dei poveri, il volto delle sacre spoglie non è di Celestino V».
«Perbacco. Allora hanno rubato un falso...».
«Quella maschera di cera è stata ricavata da un calco fatto, nel 1944, sul volto del cardinale Carlo Confalonieri che fu arcivescovo in questa città durante la Seconda Guerra».
«Oh bella! Nemmeno da morto hanno lasciato in pace questo povero cristiano...».
«Carlo Confalonieri, che è stato anche segretario di Papa Pio XI, ebbe a che fare, come è stato dimostrato da recentissime ricerche...».
«Che loro mostrano di conoscere, ovviamente...».
«Ovviamente... Ebbe a che fare, stavo dicendo, con gli ebrei. Che il prelato aiutò. Le leggo la scheda...».
«Ormai ho dei sospetti su questo suo archivio magico. Ogni loro mossa trova pronto riscontro nelle sue prodigiose schede maniacalmente archiviate in cartelline infilate dentro ordinati faldoni».
«Sospetti? L’archivio?».
«Chi tace acconsente».
«Perdinci! Ora che ci penso...Ma sì, quella mattina, qualche giorno dopo l’annuncio che il Papa sarebbe venuto alla Perdonanza, che trovai le mie sudate carte in totale disordine e confusione. Pensai subito ad una “visita” di qualcuno: con la Perdonanza mi sono fatto non pochi nemici. Mi tranquillizzai, comunque, dopo aver constatato che nella mia stanza, e soprattutto nell’archivio, non mancava nulla...».
«Senta a me: le hanno fotocopiato anche i buoni pasto».
«Ecco perché conoscevano tutto quello che io conosco. Ora è tutto chiaro: ce l’avevano già comodamente a disposizione!».
«Ci penseremo dopo agli spiriti che hanno aleggiato, evidentemente, anche nelle stanze di questo Municipio. Gli ebrei... stavamo dicendo del cardinale e degli ebrei».
«Sì, ecco la scheda: “... In verità, l’antico arcivescovo non fu solo questo. Seguendo le ‘direttive’ di Pio XII, egli aprì i conventi e i monasteri a tantissimi ebrei braccati dalle ‘SS’. Basti pensare, come è stato accertato di recente, che ben 35 donne ebree, giovani e meno giovani, furono nascoste in città, alla fine del 1943, nell’Istituto delle Suore della Presentazione di Maria Santissima al Tempio in via Celestino V. Senza contare l’accoglienza di signore nei monasteri di clausura cittadini. Questa rischiosa attività in favore degli ebrei (forse oltre duecento) fu compresa nella più difficile azione di salvaguardia dei giovani riparati in montagna, nel soccorso ai prigionieri inglesi e, soprattutto, nel cercare di evitare, con ogni mezzo e con l’intervento del Vaticano, l’esecuzione delle condanne a morte emesse dal tribunale dell’armata tedesca che aveva sede in città, nonché nell’organizzazione delle evasioni dal locale carcere. Insomma, una ‘resistenza bianca’, non armata, misconosciuta dagli storici e dagli organi istituzionali. L’antico arcivescovo realizzò e rivisse la ‘resistenza bianca’ entro una sua rinnovata interpretazione degli esempi e delle gesta di alcune grandi figure di santi più strettamente legati alla storia religiosa cittadina”».
«A parte il riferimento a via Celestino V, che mi sembra un po’ poco, cosa c’entra Gerusalemme?».
«Il messaggio, il messaggio. È come se ci volessero dire che è arrivato il tempo, per i rappresentanti delle tre religioni monoteiste, ebraica, musulmana e cristiana, di far uscire il dialogo interreligioso “all’esterno”. Di fissare un punto di incontro, una sorta di Capitale permanente della Riconciliazione. E dove, se non dentro le mura di Gerusalemme, nella Città Santa, amata e contesa nei secoli dalle tre religioni monoteiste e divenuta oggi simbolo e oggetto di una competizione aspra e crudele fra ebrei d’Israele e arabi palestinesi?».
«Pare facile: lì innalzano muri...».
«Proprio da lì, perciò, va abbattuto il muro dell’Odio, della Paura, del Terrore: questo loro ci stanno dicendo. Ne sono certo. Stando insieme e parlando insieme...».
«Ma se lì si sparano tra fratelli...».
«Proprio superando il pessimismo a cui induce la situazione del Medio Oriente, proprio componendo lo scontro continuo fra israeliani e palestinesi, si potrebbe superare quella risposta bellica che si sta dimostrando un fallimento su tutta la linea. La Politica, anche quella degli uomini di fede, deve riconquistare il suo primato sulla Guerra. La Pace non può che essere figlia di sacrificio e studio comuni delle tre religioni monoteiste alle quali, oggi, si chiede un contributo per la sua costruzione».
«È più facile fare le guerre».
«Perciò la scelta è caduta su Celestino V. Perciò decapitare il Papa della Pace. Tutto questo per farla questa benedetta Pace».
«Non credo che il mondo voglia pretenderla da noi due».
«Certo che no. Ma ora noi due, piccoli piccoli, abbiamo una grande responsabilità davanti al mondo. Abbiamo una possibile chiave».
«È solo una sua ipotesi».
«L’unica possibile. Rifletta su quanto è capitato proprio a noi due, l’avventura di due poveri cristiani».
«Avventura? Io direi un incubo...».
«Rifletta».
Il signor Giacomo guardò fuori dalla finestra. I soliti piccioni beccavano sciamando sui sampietrini della piazza. Abbacinato dal sole, gli sembrò di vedere delle colombe: «Farò un rapporto dettagliato. Ci metterò dentro tutto. In particolare queste sue ultime elucubrazioni, parola per parola. Mi dia tutte le sue stramaledette schede. Allegherò pure quelle».
«La prenderanno per pazzo».
«È certo».
«E allora?».
«Faccio come il mio Celestino».
«Cioè?».
«Mi dimetto: uno “scivolo” per la pensione non si nega a nessuno».
«E allora sarà finita».
«Nient’affatto».
«È finita, le dico».
«Nient’affatto. In quel caso avrò tutto il tempo per andare io a Gerusalemme. Con lei, naturalmente».
Erano rimasti in silenzio: la loro mente vagava, forse era già a Gerusalemme. Così, quando un fischio squarciò l’irreale silenzio nella stanza, entrambi sobbalzarono, svegliati all’improvviso dai loro pensieri. Il fischio, l’inconfondibile segnale della connessione, aveva innescato il fax che il sovrintendente teneva collegato ad un telefono con la suoneria disattivata per non subire lo stress di continui trillii. Si guardarono negli occhi e, all’unisono, chinarono la testa su quel foglio che usciva dalla macchina del fax come i condannati aspettano il sibilo della lama.
Il solito tratto di pennarello. Il solito stampatello. La solita frase, stavolta a caratteri cubitali. Su due righe: “Petrus romanus”.
«Bastardi!» esclamò il Signor Giacomo.
«Mio Dio!» gli fece eco il sovrintendente.
«Vigliacchi, un altro fax anonimo».
«No, non è anonimo» sussurrò il sovrintendente illuminando il foglio sotto il raggio della lampada alogena della scrivania.
«Come, c’è l’intestazione?».
«Sì, in testa c’è il numero di provenienza: 06.... E ho anche un sospetto. Ma no, è impossibile».
«Dev’essere lo stesso sospetto che ho io. È incredibile».
«Mi faccia prima verificare...Ma no, è impossibile».
«È incredibile!».
«Avevo qui, tra le altre carte, una copia del fax giunto dal Vaticano che annunciava l’arrivo del Papa per la Perdonanza. Ma non riesco a trovarlo. Ma no, è impossibile».
«È incredibile!».
«Eccolo! 06...06.... È lo stesso numero...».
«Incredibile!».


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