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La Missione di Celestino - Capitolo 2

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino



«Il mio nome è Bond, James Bond... Che differenza fa se mi chiamo Giovanni o Giuseppe? Il prefetto e il questore, nel preannunciarmi, le hanno fatto il mio nome? No. E allora chiuso il discorso. Mi chiami come vuole. Mi chiami Sir James, signor Giacomo per gli amici».
Il sindaco aveva fiutato giusto. Un guaio, un guaio grosso così, s’era abbattuto sul Municipio. Il “signor Giacomo” era seduto di fronte a lui. Insignificante, a guardarlo bene. Lo “007” del quale gli era stata annunciata la visita, se l’era immaginato somigliante, almeno vagamente, a Sean Connery. Da una folta barba incolta spuntavano, invece, due vispi occhietti celeste mare. I capelli davano l’idea di essere lievemente unti, lunghi fino a sfiorare le spalline di un vestito di cotone blu, la cui stoffa, sotto i raggi del sole che filtrava nello spazio fra due drappi rossi della finestra dello studio del primo cittadino, appariva un po’ lisa nei punti critici. Più che uno “007”, sembrava uno della Digos, anche se di quelli più eleganti.
«Senta, lei può chiamarsi anche Gesù. A me non importa un fico secco. Non mi appassionano né la saga di “007” né quella casereccia del maresciallo Rocca! Quello che m’importa, invece, è che mettiamo subito in chiaro le cose. Io sono il sindaco e lei non mi può scavalcare. Io sono la città e la città sono io. Se lei prende qualche decisione o iniziativa senza comunicarmelo, certo può farlo. Ma fa un danno sia a me sia alla città. Che tutto s’aspettava, meno che essere messa a ferro e fuoco da un novello Braccio da Montone, del quale lei, in questo momento, mi dà tutta l’idea. Qui, in questa stanza, senza nemmeno un blazer e con una cravatta stonata. Chiaro?».
«Chiarissimo».
«Eppoi, senta, credo sia meglio che noi due andiamo d’accordo. Se lei è stato incaricato, e dunque ne è a tutti gli effetti il responsabile, di proteggere il Papa da qualsiasi rischio, solo noi conosciamo i segreti di questa città e di questa nostra particolarissima manifestazione».
«Ma che ne sapete voi, per darmi ordini, di protezione? Di protezione di un Papa, poi!».
«E che ne sa lei di questa città? Della Perdonanza? Di Celestino V? E ha solo tre mesi di tempo per recuperare».
«Va bene: facciamo un patto. Io dico a lei, ma solo a lei, ogni cosa e lei mette a mia totale disposizione le persone giuste per poter sapere tutto ed in fretta».
«Affare fatto».
«Chi mi dà una mano?».
«Il sovrintendente alla Perdonanza è la persona giusta. Colto e preparato, è il motore dell’evento. Sa molte cose. Glielo presento subito».
«Sì, e magari gli dice che sono Bond, James Bond! Per favore, gli dica che sono l’inviato dell’Osservatore Romano. Qui, meno cose si sanno e meglio potremo lavorare. Anzi, mi raccomando, non dica niente a nessuno. Nemmeno a sua moglie. È sposato, sindaco?».
Il sindaco non rispondeva, assorto nei suoi pensieri.
«Mi dica, almeno, chi era questo Braccio da Montone al quale lei mi ha paragonato».
«Braccio Fortebraccio da Montone – spiegò il sindaco, risvegliandosi dai suoi pensieri – è stato uno dei più famosi capitani di ventura a cavallo tra il Trecento ed il Quattrocento. Si chiamava, per la verità, Andrea della nobile famiglia dei Fortebracci di Montone, appunto, in Umbria. Ma subito lo soprannominarono Braccio per la sua precisione, quasi magnetica, nel maneggiare le armi. Passò di vittoria in vittoria accrescendo la sua fama che divenne leggendaria».
«La ringrazio sindaco, troppo buono».
«Ma fu sconfitto dagli abitanti di questa città. Dove morì».
«Come, come?».
«Nel giugno del 1424, dopo tredici lunghi mesi di assedio messo in atto dall’esercito di Braccio Fortebraccio, il grande condottiero, assoldato dagli Aragonesi per conquistare l’importante municipio Angioino, viene sconfitto. Nella battaglia di Bazzano, oggi come allora alle porte della città, che passerà alla storia come una delle più sanguinose del secolo, si scontrarono il fior fiore dei capitani di ventura del tempo».
«Se è vero come è vero che anche noi siamo in guerra, il paragone con Fortebraccio decisamente non mi porta bene».
«Nella battaglia Braccio si difende come un leone. Ma viene ferito gravemente da una pugnalata al collo che rischia di decapitarlo. Fatto prigioniero, rifiuta cibo e medicine. Dopo tre giorni di agonia, muore in un’abitazione del centro cittadino. La strada dove si trovava quella casa si chiama, perciò, via Fortebraccio».
«Giugno, ha detto. Che giorno ci fu la battaglia?».
«Mi pare il 2 giugno».
«Cioè domani».
«Non ci avevo pensato. Segni del destino!».
«Non credo nel destino».


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