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La Missione di Celestino - Capitolo 19

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«Forse, signor Giacomo, è davvero arrivata l’Età dello Spirito Santo» sospirò il sovrintendente dopo essersi assicurato d’aver richiuso la porta “segreta” di accesso alla parte retrostante il coro.
«Che fa, ricomincia con le sue visioni mistiche?».
«Ma no. È una cosa seria. Venga, le mostro un’ultima cosa».
«Ancora?».
«Ne vale davvero la pena. È qui vicino, poco prima del mausoleo».
«Certo questa basilica è bellissima!».
«Guardi questo stemma, lo stemma dell’Ordine fondato da Celestino V. Cosa vi nota?».
«La Croce, la parte superiore della Croce è un po’ strana. Sembra quella dei Templari».
«Caspita! Non ci avevo mai riflettuto. Io volevo, invece, attirare la sua attenzione sulla “S” che avvinghia la Croce: è il simbolo dello Spirito Santo».
«Perciò ha citato l’età dello Spirito Santo? Scommetto che ora tira fuori una delle sue miracolose schede?».
«Discreto intuito».
«Non a caso faccio il poliziotto».
«Ma non era un giornalista, un inviato speciale dell’Osservatore Romano?».
«Il luogo che ci ospita impedisce di esprimermi come vorrei. Non faccia lo spiritoso. Piuttosto legga, legga...».
«Leggo, leggo: “Nella seconda metà del XIII secolo vi era una grande attesa a livello popolare: tutti aspettavano segni dell’ormai imminente Età dello Spirito Santo profetizzata da Gioacchino da Fiore, morto nel 1202 nel convento di San Giovanni in Fiore, in Calabria, già cistercense, fondatore della Congregazione florense...».
«Firenze... Ecco forse il perché dei due gigli che campeggiano ai lati della Croce nello stemma celestiniano».
«Lei mi sorprende. Francamente non ci avevo mai pensato. Ho sempre ritenuto che i gigli fossero da collegare alla casa dei D’Angiò, che li ebbe nei blasoni. Carlo II prese Celestino ed i suoi fraticelli sotto la sua la protettiva tanto che concesse alla casa madre il titolo, sintetizzato nell’acronimo “Ram”, di “Regia abbazia morronese” che si estese a tutti i luoghi celestiniani».
«Compresa questa basilica».
«Certamente»
«Mi ero chiesto cosa potesse significare quella scritta “Ram” sul portale della sacrestia, nei pressi del Coro. Vada avanti con la scheda!».
«Vado. “Il monaco che si dedicò allo studio esegetico delle Sacre Scritture, basandosi sulle 42 generazioni, di trent’anni ciascuna, indicate nel Vangelo di Matteo da Davide a Gesù ed individuanti complessivamente l’Età del Padre (Vecchio Testamento), computandone altrettante per l’Età del Figlio (Nuovo Testamento), aveva previsto per il 1260 l’inizio della Terza Età della storia dell’umanità, quella dello Spirito Santo in cui una nuova consapevolezza avrebbe caratterizzato il sentire umano grazie al potere di discernimento dello Spirito Santo. Gioacchino da Fiore prefigurava anche una Chiesa riformata e santa e la predicazione dell’Evangelium Aeternum una volta superata la fase ‘letterale’ dell’interpretazione. Gli insegnamenti del monaco, trascurati mentre era in vita, suscitarono la reazione della Chiesa istituzione, accusata di essere corrotta e non santa, che nel Concilio Laterano IV nel 1215 condannò la concezione gioachimita dei tre stati e successivamente bollò come eretici i gioachimiti”...».
«Mi vuol rifare tutta la storia della Chiesa?».
«Chiedo scusa. Ma il passaggio è fondamentale. Abbia un po’ di pazienza. Posso continuare?».
«Vada!».
«Vado. “Gli Ordini più estremisti ed in particolare gli Spirituali francescani abbracciarono con entusiasmo le tesi di Gioacchino che prevedevano un antipapa come manifestazione dell’anticristo, ma anche un Papa Spirituale ‘dispetto nell’esterno e grande nell’interno’. Inoltre sarebbe apparso l’Angelo dell’apocalisse ad annunciare il tempo del compimento. Le coscienze popolari furono molto scosse dalle visioni apocalittiche dell’eremita calabrese: il desiderio del divino, di un’età dell’amore dopo le tenebre di un’epoca dominata dalla legge del più forte e dalla indotta rassegnazione del debole nel subirla in vista di una ricompensa nell’aldilà, serpeggiò con una forza di contagio tale da suscitare entusiasmo e fanatismo. In ogni dove, nel fermento spirituale di un’epoca in cui energie divine scuotevano il torpore della materia, fermento che i roghi di reazione tentavano di canalizzare entro binari di accettabile ortodossia, dentro e fuori i conventi si viveva l’attesa del verificarsi degli eventi profetizzati da Gioacchino da Fiore. Non fu difficile per i contemporanei vedere in San Francesco l’Angelo dell’apocalisse ed in Celestino il Papa Spirituale ‘dispetto nell’esterno e grande nell’interno’ e poiché il profeta calabrese affidava ai “viri spirituales” l’attuazione dell’Età dello Spirito Santo, gli Spirituali francescani che probabilmente presero il loro nome proprio dall’espressione gioachimita, si sentirono i predestinati a preparare le basi dell’Ecclesia Spiritualis in sostituzione della corrotta Ecclesia Carnalis. Essi vissero nell’attesa escatologica della Terza Età convinti che l’angelo annunciatore dell’apocalisse fosse Francesco, il vero Francesco della Regola ‘non bullata’ e del testamento e che sarebbe apparso un Pastor Angelicus, il pontefice della Chiesa spirituale e della Universalis Renovatio”».
«Ma restano solo supposizioni...».
«Concludo la lettura: “Pietro Celestino fu indiscutibilmente seguace del monaco calabrese come attesta un particolare degno di nota: allorché fu eletto Papa scelse il nome del predecessore che, non senza opposizione, aveva riconosciuto l’Ordine di San Giovanni in Fiore: cioè Celestino III. Le biografie e gli studi su Pietro dal Morrone riferiscono dell’incontro tra il neoeletto Celestino e Angelo Clareno, il capo degli Spirituali d’Abruzzo, che con il cuore colmo di speranza, osò rischiare il rogo uscendo dai nascondigli nei luoghi più aspri, abituali rifugi degli eretici. Fu così che Celestino trasformò gli Spirituali nei suoi Poveri Eremiti, ponendo a capo del nuovo ordine proprio Angelo Clareno. Allorché l’astro di Pietro dal Morrone tramontò, gli Spirituali tornarono nella clandestinità, di nuovo perseguitati come eretici. Alcuni, tra cui il Clareno, varcarono l’Adriatico forse nella speranza che si realizzasse la profezia di Gioacchino da Fiore secondo cui il Cristianesimo morto in Occidente sarebbe risorto in Oriente”».
«Oriente. Dove voleva fuggire Celestino V dopo le clamorose dimissioni».
«Sì, ma il mare in tempesta, un’eccezionale mareggiata, lo rigettò a riva dove erano ad attenderlo gli aguzzini di Bonifacio VIII. Sul punto Ignazio Silone ha scritto pagine memorabili nell’“Avventura di un povero cristiano”».
«Che storia!».
«Che guaio, dico io».
«Un grande guaio per una grande storia».
«Potrebbe essere il titolo del suo reportage per l’Osservatore Romano».
«La sua ironia è fuori luogo».
«Cercavo di sdrammatizzare!».
«Siamo in un grande guaio. Ora comprendo perché hanno messo nel mirino il Papa che è venuto ad onorare questo grande Papa. Altro che vigliacco! Celestino V aveva un piano ben preciso. Perciò lo hanno fatto fuori!».


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