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La Missione di Celestino - Capitolo 12

Un romanzo di Angelo De Nicola

La missione di Celestino


«Chi ha la disponibilità delle chiavi del forziere?» chiese il signor Giacomo al sovrintendente davanti all’uscio della “cappella” scavata nel retro della Torre civica, con ingresso blindato al primo piano del Municipio. Un locale dove, nel Medioevo, i condannati a morte trascorrevano la loro ultima notte prima di essere “esposti” in una gabbia appesa alla torre. Anche per questo motivo, la “cappella”, trasformata da luogo di morte in luogo di pace, emanava un’atmosfera suggestiva.
«Le quattro chiavi delle quattro, diverse, serrature sono affidate una al sindaco, una al vicesindaco, una all’assessore anziano ed una, naturalmente, al sottoscritto,
«Qui la porta blindata e l’inferriata con quattro serrature diverse, come dice lei, sono aperte e non mi pare ci sia alcun segno d’effrazione...».
«Non capisco il tono. Che fa, ora sospetta di nuovo? Sospetta di me? Sospetta del sindaco? Ma sì, potremmo anche essere due entità occulte del Male al soldo di questo assurdo progetto. Anzi il sindaco è mio ostaggio: lo governo con la makumba e gli faccio fare quello che voglio, anche aumentarmi lo stipendio, quando serve. Lo dice pure la minoranza di turno al Comune: il Male è il sovrintendente».
«Probabilmente è quello che loro vorrebbero che io credessi. Certo questa porta non è stata aperta dallo Spirito Santo».
«Perdinci! La Bolla è sparita dalla teca di vetro. Hanno lasciato l’inutile, volgare copia. Sapevano anche questo. Glielo dicevo, hanno la laurea. Per oltre settecento anni siamo riusciti a conservare questo eccezionale documento che molti, a cominciare da un Papa, hanno cercato a tutti i costi di distruggere per narcotizzarne la portata rivoluzionaria. Stento a crederci. Sarà uno shock quando lo si verrà a sapere in città».
«La città non saprà nulla, nessuno deve sapere nulla. Mi raccomando. Questa beffa, questa grandissima presa in giro, deve restare un segreto tra me e lei, almeno fino a quando non avremo le idee chiare su cosa è avvenuto e, soprattutto, su cosa avverrà. Niente questore, niente prefetto, niente sindaco. Niente di niente. Beh no, al sindaco glielo dica, ma con la rinnovata, pressante consegna al più assoluto silenzio. Ma, soprattutto, niente giornali o peggio tv, per carità. Tanto nel corteo sfilerà l’astuccio vuoto».
«Certo sarebbe una grande pubblicità per la Perdonanza: “Rubata la Bolla di Celestino V. Era stata protetta per settecento anni”».
«Questo Evento, più vado avanti e più me ne convinco, non ha affatto bisogno di alcuna pubblicità. Anzi, qualsiasi iniziativa pubblicitaria, che so? il solito premio annesso, un concerto di una star o lo show di un ospite di grido, rischia di inficiare quello che è il vero, grande spot: il messaggio di Celestino (quanto mi è simpatico questo Papa!) che è di un’attualità e modernità sorprendenti. Quell’Eremita riuscì a diffonderlo senza satelliti, senza telefonini e senza internet. Evidentemente “bucava” da sé».
«Forse perché disse alla gente quello che la gente voleva sentire: diede l’Indulgenza a tutti, anche ai poveri, in un momento in cui solo i ricchi potevano permettersi di acquistarla. Oggi, comunque, i tempi sono cambiati: senza promozione non si va da nessuna parte».
«Lei, sovrintendente, fa il suo mestiere (e lo sa fare bene!), e certamente potrebbe trarre enorme giovamento da simili, eccezionali accadimenti. Ma io devo pensare ad altri, superiori, interessi. Siamo nell’ultimo girone dell’inferno. Perciò, mi raccomando a lei... ».
«Non ce n’è bisogno».
«Il biglietto! Ovviamente, lì dentro a quell’astuccio, al posto della Bolla, c’è un biglietto!».
«Eccolo qua, c’era da scommetterci. Stavolta non è piegato ma arrotolato».
«Una frase su un solo rigo, scommetto?».
«Esatto. Solito pennarello, solito tratto».
«Legga».
«“Cardine su volo”. Presto, torniamo subito sopra, nel mio ufficio. Serve il computer. Loro hanno rilanciato i dadi. Noi conteremo le caselle che dobbiamo fare. Arriveremo ad un’altra casella. Poi da capo. Sono stufo di questo gioco. Anzi, sa cosa le dico: basta! Almeno per oggi, basta! Sono due giorni che non si vive. Io, fra qualche ora, ho anche da coordinare la serata inaugurale. In città ci sono gli inviati dei giornali di mezzo mondo: tutti hanno scoperto la Perdonanza! Non possiamo fallire: mi riposo un po’ e, quindi, mi tuffo in un evento per il quale ho sputato sangue per anni. Domani mattina, se vuole, sono a sua disposizione».
«Ma sì, una pausa farà bene anche a me. Per riordinare le idee. La curiosità e la preoccupazione mi tormentano ma sono stanco morto anch’io. Stasera verrò a vedere i fuochi sulla Torre, per servizio ma anche per piacere. A domani».


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