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GAETANO BAFILE, UNA VITA PER IL GIORNALISMO

Mappa della città
di Mauro Bafile
da La Voce d'Italia di Caracas, del 5 gennaio 2008


Scrivere, in queste circostanze, è tutt'altro che facile. La penna pesa più di quanto si possa immaginare. Come ha scritto di recente Eugenio Scalfari, «il nostro è un mestiere crudele». Sagge parole che solo ora, che scriviamo nonostante il dolore che ci affligge, comprendiamo nella loro pienezza. Il nostro Direttore, Gaetano Bafile, non è più tra noi. Se n'è andato in silenzio, con la stessa semplicità e umiltà con cui ha vissuto; con la stessa modestia e coraggio con cui per oltre mezzo secolo ha raccontato le vicende dell'emigrazione italiana in Venezuela – la nostra emigrazione – sempre pronto a spezzare lance in difesa dei diritti dei più deboli.

Lo conobbi veramente a 13 anni. Il Paese viveva ancora la drammatica esperienza della lotta armata, ma la politica di pacificazione inaugurata dal Presidente Rafael Caldera cominciava a dare i suoi frutti. E per il Venezuela si apriva una stagione di progresso, di benessere e di libertà. Fin dal primo giorno, mi colpirono la sua vasta cultura umanista ed il suo profondo rispetto per le idee altrui. Quando non era al lavoro, o nel suo studio scrivendo cronache, interviste o reportage, lo si osservava assorto nella lettura di qualche buon libro. Un vizio, questo, del quale ci ha contagiato e oggi gliene siamo grati.

Non ebbi, quindi, la fortuna di trascorrere la mia infanzia con i genitori. Le circostanze non lo permisero. Gaetano Bafile, giornalista sognatore e libertario, innamorato della verità e genuino antifascista, non rinnegò mai i suoi ideali. Non lo fece neanche quando, in seguito all'inchiesta su sette siciliani coinvolti in un falso complotto contro il dittatore, ricevette le minacce degli sbirri della temuta “Seguridad Nacional”; minacce che, poi, si materializzarono in un attentato fortunatamente non riuscito. Preferì affidare l'educazione dei figli ai parenti in Italia che venir meno al suo dovere di giornalista e piegarsi alla volontà del despota. Furono il nonno e gli zii materni che, con amore e affetto, assunsero il ruolo di tutore, mantenendo vivo il ricordo del genitore che veniva descritto senza esagerazione– non ve n'era bisogno– antifascista, onesto e colto. Insomma, il giornalista di battaglia, quello ostinato e minuzioso sempre in trincea.

Quando Gaetano Bafile decise di lasciare l'Italia, lo fece nella consapevolezza che avrebbe abbandonato gli agi del giornalista già affermato, nonostante la giovane età; conscio che lasciava alle spalle la sicurezza che offriva essere cronista del Messaggero di Roma, per affrontare i pericoli che accompagnano la vita dell'emigrante. Del Messaggero fu corrispondente da Caracas. Fu lui a narrare quel radiante 23 gennaio che restituì al Venezuela la gioia delle libertà democratiche e la speranza di un futuro migliore. E fu sempre lui a raccontare le tragiche giornate che seguirono al terremoto che, negli anni '60, distrusse parte di Caracas e annientò la speranza di tante famiglie di emigranti.

Il nostro Direttore fu uomo di principi, sempre pronto ad offrire la propria penna per la causa dei più deboli. Fu così che riuscì a far luce sul "Giallo Zagame", l'umile emigrante italiano accusato dalla "Seguridad Nacional" dell'omicidio del costruttore Oscar Lairet, per nascondere i loschi affari degli uomini del regime e dei "boss" della costruzione. Grazie al nostro Direttore, il traumatologo Alessandro Beltramini, accusato d'essere un corriere del comunismo internazionale, tornò in libertà. È questo reportage, tutt'oggi, testo di studio delle facoltà di giornalismo nel mondo. E sempre grazie a Gaetano Bafile, il giovane guerrigliero italo-venezolano Renato Mossucca, condannato dai tribunali militari, ottenne la grazia dal Presidente Rafael Caldera. Potremmo proseguire per pagine e pagine, tanti sono i casi di cui si è occupato il nostro Direttore in più di mezzo secolo di giornalismo.

L'inchiesta più importante, che condizionò la sua vita e quella di chi scrive, fu senz'altro la vicenda di sette siciliani coinvolti in un falso complotto per uccidere il Generale Marcos Pérez Jiménez, che governava con pugno di ferro il Paese. Furono due lunghi anni in cui, come scrisse il Premio Nobel Gabriel García Márquez nel suo libro “Cuando era un periodista feliz e indocumentado”, «le conclusioni a cui giunse erano un biglietto senza ritorno verso la morte».

Coraggioso e onesto, non fu mai capace di "usare" questa sua creatura per altri obiettivi che non fossero un omaggio al Giornalismo, quello con la "G" maiuscola. La "Voce", fin dalla sua fondazione, è sempre stata una tribuna aperta. Ed in essa hanno trovato spazio tutte le correnti del pensiero, tutte le opinioni. La sua integrità intellettuale gli ha permesso di conquistare immediatamente la stima di chi lo ha conosciuto e l'ammirazione di chi ha avuto la fortuna di averlo come maestro.

Il nostro Direttore ci ha insegnato che il giornalismo non è solo una professione ma una forma di vita. Si era allontanato da qualche anno dalla direzione del Giornale, che aveva fondato assieme all'avvocato Attilio Maria Cecchini, amico d'infanzia, ed al Mons. Ernesto Scanagatta. Una decisione sofferta, presa soprattutto per inseguire un sogno: scrivere un romanzo che narrasse assieme la sua vita di giornalista e quella della sua "Voce". La morte, purtroppo, non gli ha permesso di vedere realizzato questo suo desiderio.

Stargli accanto, l'aver lavorato alla sua ombra, ci ha insegnato che il giornalismo è fatto di sacrifici, notte d'insonnia, frustrazioni, delusioni e pressioni d'ogni genere. Ma l'odore della carta stampata è sufficiente ricompensa. Non importa quanto effimera possa essere l'edizione di un quotidiano perché è un miracolo che si ripete giorno dopo giorno. La conclusione di un articolo altro non è che l'inizio di una nuova avventura.

Da oggi la nostra Redazione non sarà la stessa. Iniziamo un nuovo anno senza il nostro caro Direttore. Restano, però, i suoi ideali, Gli stessi ideali che coltivò nelle montagne d'Abruzzo, quando con la sua penna si oppose alla barbarie nazifascista; gli stessi ideali che lo accompagnarono quando nella nostra Redazione i responsabili della "Junta Patriótica" si riunivano per cospirare contro gli orrori della dittatura perezjimenista. Sono gli ideali dell'Italia che scese dalle montagne; del Venezuela che soffrì a Guasina. Ideali che, da queste pagine, continueremo a coltivare con lo stesso amore e spirito di sacrificio, coscienti che la "Voce" sarà sempre al servizio degli interessi della nostra Collettività e di due Paesi: Venezuela e Italia".
Mauro Bafile
figlio di Gaetano,
direttore esecutivo de "La Voce d’Italia"




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