Il libro “Dante, Silone e la Perdonanza”: le 12 tavole del Maestro Sandro Arduini

Volume intrigante, questo, impreziosito dal pittore-scultore Sandro Arduini con l’acquerello riprodotto in copertina ispirato al trecentesco esoterico labirinto iniziatico in pietra visibile nella basilica di Collemaggio, con i sei cerchiconcentrici, a loro volta formanti tre 8 leggibili anche quali simbolo dell’infinito e dall’interno dei quali affiorano tre ulteriori cerchi per ciascuno. Liberamente reinterpretato sia nella resa cromatica complessiva fondente in un vibrante abbraccio i marroni (terra) ai bianchi ed agli azzurri (cielo) che nella resa prospettica. Labirinto peraltro ampiamente citato visivamente nello straordinario Amphiteather realizzato recentemente nelle vicinanze della basilica dall’artista americana Beverly Pepper opportunamente sensibilizzata dalla critica d’arte Roberta Semeraro, ideatrice e curatrice dell’intera operazione.

Con i disegni a matita riproposti nelle 12 tavole, il libro viene così ad incorporare un’autentica, rilucente gemma estetica, appositamente sagomata dall’artista aquilano dopo la lettura delle bozze di “Dante, Silone e la Perdonanza”.

Un autentico, e per certi versi autonomo “livre d’artiste” il suo, che non si limita ad illustrare questo o quell’evento, ma che ne interpreta lo spirito anche d’ordine esistenziale circolante tra le incalzanti pagine. Spirito captato da una geometrizzata, per lo più astrattizzante figurazione, nel contesto di una natura selvaggia e rocciosa (così cara all’eremita fra’ Pietro da Morrone), con alcuni disegni che fanno da basso continuo al tutto, come è percepibile ne “La lotta per la vita”, “L’albero della vita” e “Il sasso” con l’inconfondibile impronta memoriale d’una conchiglia fossilizzata.

E, mentre in altri è ravvisabile solo nel titolo il diretto riferimento all’intera “Trilogia” con quell’incrocio di linee rette ascendenti genitrici di euclidei solidi geometrici e con uno statuario non-più-Celestino V che scaglia lontano la ricusata tiara de “Il grande rifiuto” o la cui effigiata ombra rivive en plein air ne “Il sogno e l’incubo” , è l’urgenza di una libertà espressiva senza vincoli ad imporsi in una modernizzante figurazione neo-rinascimentale. Come avviene nella gianica, teatralizzata “Le due chiese”, nell’allegorico “Il bene e il male”, nella ovidiana, bidimensionalizzata “Metamorfosi” e, con particolare pregnanza, in “Mi chiudo – mistero”, dove quella giovane donna fuoriuscita di botto da una vistosa cornice è tormentata dalla tortura di mostruose voci.

Il ritorno all’Inferno dantesco con “Canto XIX – I SIMONIACI”, “O qual che se, che ’l di su tien di sotto, / anima trista, come pal commessa / comincia’io a dir, se puoi, fa motto”, con un corpo discinto ed a testa in giù, parzialmente inscritto in un enorme disco e con la restante parte dall’ombra dello stesso, dialoga idealmente con “Il tempo e lo spazio”, quasi a ritrovare una rinnovabile dimensione cosmogonica nell’inseguire simbolicamente “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

tratto dalla Prefazione al libro di Antonio Gasbarrini