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L’AQUILA PORTAFORTUNA DI GINO BARTALI



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L’AQUILA - C’è stata L’Aquila nel destino del mitico Gino Bartali. ”Aquila”, come il nome della società sportiva toscana di Ponte a Ema per i cui colori gareggiò agli esordi, ma anche Aquila (come si chiamava allora il capogruppo regionale prima della aggiunta dell’articolo) dove vinse due importanti tappe del giro d’Italia, nel 1935 (prima vittoria da professionista) e l’anno successivo (prima maglia rosa), fondamentali per il ”toscanaccio”. Il particolare di queste due importantissime vittorie in terra abruzzese è riemerso in questi giorni in cui ”Ginettaccio”, a poco meno di sei anni dalla morte, è tornato al centro dell’attenzione per il successo della fiction di RaiUno.

L’Aquila, dunque, come portafortuna per Bartali. Tanto che la vittoria del 1935 sotto lo striscione della tappa in rosa nel capoluogo abruzzese fu la prima da professionista per uno dei campioni più amati dagli italiani.

Ecco come ha ricordato quella tappa Antonello Corrente che ha scritto (per il periodico ”Sipario”) la ”Storia del Giro d’Italia all’Aquila”: «Il 24 maggio 1935, alla partenza della settima tappa, la Portocivitanova-L’Aquila di 171 km, la maglia rosa era sulle spalle di Giuseppe (Gepin) Olmo, grande passista che 5 mesi dopo avrebbe stabilito un nuovo strabiliante record dell’ora su pista. La tappa fu bellissima, decisiva per la vittoria finale e per certi versi può essere definita addirittura storica: vinse un giovane toscano di 21 anni, tale Gino Bartali da Ponte a Ema (Firenze), alla sua prima vittoria da professionista, che negli anni successivi avrebbe fatto parlare molto di sé. Bartali staccò il francese Maurice Archambaud sulla salita del Passo delle Capannelle e passò primo e solo al Gran Premio della Montagna; ripreso da Ezio Cecchi in discesa, attaccò di nuovo sulla salita che portava al traguardo e giunse da solo all’Aquila con 16 secondi di vantaggio sullo sfortunato atleta pistoiese e con quasi due minuti sulla coppia Morelli-Bergamaschi».

L’anno successivo, nel 1936, il Giro presentò ancora il traguardo aquilano, il 27 maggio, nella ottava tappa Campobasso-L’Aquila di 204 km dove Bartali conquista la sua prima maglia rosa. «Bartali, che ormai era già un asso affermato e indossava la maglia tricolore di campione italiano- scrive ancora Corrente-, iniziò il Giro in sordina e alla partenza da Campobasso era solamente nono in classifica generale, anche se con distacco contenuto. Non appena mise piede in territorio aquilano, Bartali entrò in scena da grande attore attaccando senza tregua sulla salita delle Svolte di Popoli e presentandosi tutto solo nel capoluogo abruzzese, con sei minuti di vantaggio su Valetti e Del Cancia e quasi otto minuti sul suo principale avversario di quel Giro, il recordman dell’ora Gepin Olmo; all’Aquila il fuoriclasse toscano indossò la prima delle 50 maglie rosa della sua strepitosa carriera».

L’Aquila nel cuore del toscano. Tanto che Bartali così cita la tappa aquilana del ’36 nel suo libro ”Tutto sbagliato, tutto da rifare”: «Alla nona tappa, Campobasso-L’Aquila (il capoluogo abruzzese aveva già registrato la mia prima vittoria di tappa nel Giro del 1935), quasi sulle stesse strade dell’anno precedente, con ben quattro salite (Macerone, Rionero Sannitico, Roccaraso, Svolte di Popoli) da scavalcare, impegnando tutte le mie forze, anche perché mi ero trovato in testa con estrema facilità (e avevo solo mezzo minuto di distacco dalla maglia rosa Olmo), arrivai solo al traguardo con 5 minuti di vantaggio sul secondo, indossai la maglia rosa e la tenni per le restanti dodici tappe, sino a Milano. Toccavo il cielo con un dito. Non avevo ancora 22 anni ed ero...arrivato».

E ieri anche l’abruzzese Vito Taccone ha ricordato il grande ”Ginettaccio”. «Se penso che nelle classifiche di sempre dei Gran premi della montagna- ha detto il ”Camoscio d’Abruzzo”- sono secondo dopo il grande Bartali e prima del grande Coppi, mi vengono i brividi».

Una vita, Bartali, a brontolare. A dire, un giorno sì e l’altro pure: «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare». Per dirla con Jannacci: ”Da quella curva spunterà/ quel naso triste da italiano allegro/ e i francesi che si incazzano/ e i giornali che svolazzano...”.