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ECOLOGISTI E SCIENZIATI, SCONTRO SUL TERZO TRAFORO DEL GRAN SASSO



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L'AQUILA - Qualcuno vorrebbe farla passare come una guerra tra poveri (L'Aquila contro Teramo) in una regione dove la costa recita la parte del leone. Meno riduttivamente, la questione del terzo tunnel sì-terzo tunnel no sotto il Gran Sasso appare la sintesi delle contraddizioni che sta vivendo l'Abruzzo in conclusione di millennio. Una regione che vorrebbe essere considerata (non solo dai parametri della Cee) a tutti gli effetti del Nord ma pretende ancora gli aiuti come se fosse del Sud; che vorrebbe essere la Regione dei Parchi, il "polmone verde" d'Europa, ma non vorrebbe rinunciare allo sviluppo ed ai prezzi ad esso connessi. Di certo, sono in molti a ritenere che la soluzione che si troverà sulla terza galleria segnerà profondamente la conformazione ed il ruolo dell'Abruzzo del Duemila che qualcuno spera possa essere una delle capitali mondiali dei parchi ma anche della scienza.

In attesa del Duemila, il problema è in sostanza questo: nel 1990 il Parlamento ha votato una legge (con parere favorevole del ministero dell'Ambiente e astensione dei Verdi) con la quale sono stati stanziati 110 miliardi per la realizzazione di un tunnel a servizio dei Laboratori sotterranei dell'Istituto di fisica nucleare (Infn). La galleria (o meglio mezza galleria che partirebbe dal versante aquilano fino ai Laboratori sotterranei) lunga circa 7 chilometri (il Traforo è di 11 km) serve per superare i problemi di sicurezza, evidenziata anche da una relazione della Prefettura dell'Aquila, che si creano per i Laboratori con l'attuale viabilità legata all'uso della canna in direzione Teramo-L'Aquila. Ecco uno dei due principali nodi della questione.

Secondo il fronte del sì (Comume e Provincia dell'Aquila, Infn, Anas che ha in appalto l'opera, Università dell'Aquila, e mondo scientifico in generale) bloccare questa "galleria di servizio" significherebbe tarpare le ali ad una delle più importanti strutture nel mondo per la ricerca. Senza questa galleria, insomma, non si potrebbero ampliare i Laboratori così come sollecitato dal direttore dell'Infn, Alessandro Bettini, e da Carlo Rubbia (premio Nobel per la fisica nel 1984). A margine del recente convegno internazionale sulla fisica sotterranea di Taup, i due scienziati hanno sottolineato gli attuali limiti di spazio a fronte delle tante richieste di utilizzo provenienti da tutto il mondo, visto che la fisica è un campo in netta espansione in quanto vuol tornare a "porre domande alla natura" e che l'Italia ha lanciato a tutta la comunità scientifica internazionale una sfida sulla fisica del futuro facendo affidamento proprio sull'unicità dei Laboratori del Gran Sasso.

"Così i Laboratori sarebbero costretti a chiudere" hanno detto senza mezzi termini all'Infn. "Una perdita incalcolabile che l'Italia non può permettersi" ha tuonato alla Commissione ambiente della Camera il parlamentare aquilano del Pds Francesco Aloisio che ha ricordato come gli Stati Uniti (già pronti ad investire nei Laboratori del Gran Sasso tre milioni di dollari) hanno rinunciato a costruire un'analoga struttura ritenendo troppo oneroso fare un doppione di ciò che già esiste e che i Laboratori sotto il Monte Bianco (migliori, in fatto di "schermatura" rispetto a quelli abruzzese) sono rimasti al palo proprio perchè è stato deciso di non potenziarne gli accessi legati al traforo del Frejus.

Il mondo scientifico è in ansia, va bene. Ma chi ci pensa alle legittime preoccupazioni delle popolazioni che gravitano attorno al Gran Sasso che vedranno a rischio non solo l'approvvigionamento idrico ma anche ridotto la loro montagna sacra più o meno ad un groviera proprio al centro del sistema dei parchi abruzzesi? Questo, in sostanza, l'altro nodo della questione: la posizione del fronte del no (Comune e Provincia di Teramo, Comune Isola del Gran Sasso, il Parco nazionale Gran Sasso-Monti della Laga, sezione abruzzese della Società italiana geologi ambientali, Acquedotto del Ruzzo, tutto il mondo degli ambientalisti) che ha avuto il suo paladino nell'onorevole Franco Gerardini (deputato giuliese del Pds) la cui risoluzione in seno alla Commissione ambiente della Camera con la quale si chiede di riutilizzare per altre opere (in particolare per il completamento della Teramo-mare e riqualificazione dei centri storici pedemontani) i 110 miliardi già stanziati, ha fatto nascere la querelle.

In sostanza, il fronte del no sostiene che un nuovo disastro ambientale si aggiungerebbe a quello già provocato, venti anni fa, dalla realizzazione del Traforo creando notevoli problemi all'approvvigionamento idrico che serve, grazie alle captazioni dell'Acquedotto del Ruzzo oltre 250mila utenze con punte, durante l'estate, di quasi mezzo milione. Nè il fronte del no è rassicurato dagli studi sulla valutazione di impatto ambientale dell'opera. Eccolo l'altro nodo: le valutazioni di impatto ambientale.

Esistono due studi, uno del 1991 fatto a corredo della legge di finanziamento della terza galleria, un altro fatto qualche mese fa dall'Università dell'Aquila. Entrambe escludono disastri e-o problemi alla faglia. "Non ci fidiamo degli studi di impatto ambientale sarà un disastro come venti anni fa" ha detto, l'altro giorno nell'audizione davanti alla Commissione della Camera, il fronte del no. "È come se si rinunciasse ai progressi della chirurgia- ha ribattuto il fronte del sì- anni fa si poteva anche morire per un appendicite. Oggi, invece, l'appendicite è talmente una fesseria che si cura spesso senza operazione. Venti anni fa era una cosa, ora la tecnica ha fatto passi da gigante. O ci fidiamo, o non ci fidiamo". Fronte del sì. Fronte del no. In mezzo la Regione Abruzzo che ancora non prende una posizione netta. Dovrà farlo nell'audizione davanti alla Commissione fissata per il 27 novembre. Sarà un passaggio decisivo.