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QUEI PASTORI VENUTI DAI BALCANI



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L'AQUILA - "Abruzzo, terra di pastori" recita un antico detto. La definizione, che per la verità è sempre andata stretta agli abruzzesi, non pare più utilizzabile: è ormai roba da biblioteca. In Abruzzo, infatti nessuno vuol più fare il pastore. Mestiere antico e durissimo. Lo sanno bene i giovani abruzzesi che, disoccupazione o non disoccupazione, di imbracciare il bastone non ne vogliono sapere: 365 giorni su 365 giorni sotto pioggia, neve o sole spaccapietre, per un milione e mezzo al mese, dormendo nei tuguri con quella maledetta e proverbiale puzza che non ti abbandona mai e quella solitudine per giorni e giorni che ti attanaglia alla gola: "Roba da schiavi" è il commento ricorrente quando, sempre più spesso, l'Ufficio di collocamento pubblica avvisi di offerte di lavoro per pastori. Proprio quest'ultimo è il segno più evidente che sono quasi del tutto sparite le aziende a conduzione familiare che per secoli hanno mandato avanti le greggi. Prima il mestiere passava di padre in figlio. Ora serve il Collocamento.

Così le greggi sono rimaste, i vecchi pastori hanno appeso il capello: restano i padroni ma condurre le gregge abruzzesi, in Abruzzo, ci pensano gli stranieri. Slavi e macedoni soprattutto, qualche albanese e, negli ultimi tempi, anche indiani. L'"invasione" è cominciata negli anni Ottanta. Arrivati in Italia disposti a tutto, anche a lavorare "in nero" per un pasto, un posto-letto e quattro soldi, i "nuovi" pastori si sono fatti sempre più furbi ed intraprendenti. Trattati a principio quasi da schiavi, hanno subito imparato che una denuncia in materia di lavoro mette in ginocchio chiunque. Così, molti di questi lavori risultano regolarmente assunti, con tanto di versamento dei contributi. Ma moltissimi, cambiati col mutare dei flussi della immigrazioni clandestine (prima slavi, poi albanesi, ecc.), accettano di lavorare in nero. Di lavoro, contrariamente a quanto si potrebbe credere, ce n'è parecchio.

In Abruzzo, dicono alla Coldiretti, i capi in circolazione sono stimati in circa 480 mila, un numero ritenuto abbastanza elevato e che, comunque, resta abbastanza stabile negli anni al contrario del crollo verticale subito, ad esempio, dai bovini. Il dato viene desunto dalle circa 6.000 domande per avere aiuti "Pac" (Politica agraria comunitaria) di integrazione al reddito. Domanda che è possibile fare se si sì hanno almeno dieci fattrici. Almeno altri 6.000 sono gli "allevamenti" al di sotto di questa soglia. Le greggi che, invece, ancora si servono della transumanza per cercare sempre i migliori pascoli in ogni stagione sarebbero almeno 200 che si recano per la maggior parte nel Lazio e in Puglia. Circa 700, invece, sarebbero le piccole greggi che si servono della "transumanza verticale" (dalla pianura alla montagna e viceversa ma restando nella stessa zona). In totale, la produzione di latte è di 150.000 litri (costo 1.500 lire al litro) all'anno che rappresentano un "giro" di una ventina di miliardi. L'Abruzzo è ancora una terra di pastori, Pastori stranieri.