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LA NOTTE DI SAN MICHELE: «SI VESTA E CI SEGUA»



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L’AQUILA - «Assessore, preferisce la arance o le sigarette». Alla domanda ”scherzosa” postagli a bruciapelo da un giornalista, l’assessore Paolo Pizzola, l’altro ieri sera a conclusione della seduta del Consiglio regionale, ha avuto la prontezza di rispondere: «Beh, io non fumo...». Ma Pizzola deve essersi accorto che la battuta non era affatto casuale: presso il palazzo dell’Emiciclo all’Aquila s’erano concentrati, silenziosi come formiche in marcia verso il formicaio, una ventina di giornalisti più fotografi e cineoperatori ai quali non sembrava interessare affatto la discussione consiliare ormai alle battute finali. C’era stata la soffiata di una ”bomba” che sarebbe esplosa di lì a poco in Consiglio regionale. Erano le 19,30. È iniziata la lunga, interminabile ”notte degli arresti” che ha spazzato via la Giunta regionale abruzzese.

L’attesa presso la sede del Consiglio è andata a vuoto. Chi doveva eseguire i provvedimenti restrittivi s’e reso conto che s’era ormai sparsa la ”voce” e che eseguire gli arresti durante la seduta consiliare sarebbe stato di una platealità quantomeno sospetta oltre a far carta straccia della recente, chiarissima, circolare contro le ”manette in diretta” del ministro Martelli. Così, il programma degli inquirenti è cambiato: tutto è stato rinviato a notte fonda. E il via all’operazione ”caccia agli assessori” è stato fissato a mezzanotte e trenta.

A quest’ora le auto di carabinieri, polizia e Guardia di Finanza si tono dispiegate ai sette (...anzi nove) venti per tutta la regione. Il primo ad essere raggiunto, perchè unico residente all’Aquila è stato l’assessore Giuseppe Lettere. La Polizia ha bussato alla sua porta qualche minuto prima dell’una. C’erano ancora le luci accese nell’appartamento di una cooperativa all’immediata periferia del capoluogo. Due ore dopo, alle 3,50, Lettere è stato il primo a varcare le soglie del carcere aquilano di San Domenico. Davanti a flash e riflettori, l’assessore ha salutato la folla che stazionava ormai da ore davanti alla porta carraia. Mezz'ora dopo, alle 4,25, è arrivato l’assessore alla Sanità Aldo Canosa, che i carabinieri sono andati a prendere ad Alanno, a pochi chilometri da Pescara.

All’una e trenta, sempre i carabinieri hanno raggiunto a Castilenti, centro dell’entroterra del Teramano, il presidente della Regione. Rocco Salini era in pigiama. La moglie s’è messa a strillare. Lui, invece, con tono dignitoso avrebbe detto: «Non capisco la dimensione di questo provvedimento». Quindi il presidente è stato accompagnato in una villa di sua proprietà, vicino Pineto, per effettuare una perquisizione. Poi le ”gazzelle” sono partite alle 4 e sono arrivate al carcere alle 5,35: la porta carraia, questa volta (sarà l’unica nella nottata) ere già aperta e l’auto non ha dovuto fare la necessaria sosta tanto utile ai fotografi. Un piccolo privilegio per il presidente.

Intanto ha cominciato ad albeggiare. Il buio non poteva mascherare più il volto degli arrestati dietro le auto-civetta. Ma quando è arrivato Domenico Tenaglia, prelevato nel sonno a Orsogna (Chieti), l’assessore non ha cercato di coprirsi. Ha solo alzato il braccio dalla parte dei flash l’assessore Pizzola che, preso in casa sua dagli uomini della Finanza nel quartiere delle Marane a Sulmona, è arrivato subito dopo, alle 6.40. Ormai s’era fatto giorno. Ma la lunga notte degli arresti non era ancora finita: alle 8,35 e arrivato Filippo Pollice che la Finanza era andato a prelevare a Chieti: lui solo s’è messo davanti al volto le fotocopie dell’ordine di custodia.

Sei erano dentro. E gli altri tre? Ugo Giannunzio non è stato trovato né a Capestrano nè all’Aquila; Romano Liberati non c’era a casa sua a Chieti; Giuseppe Benedetto nemmeno a Pescara. Tra la folla, non solo di giornalisti e fotografi, che non hanno abbandonato le proprie postazioni davanti l’uscita del carcere, s’è cominciato a favoleggiare di rocambolesche fughe all’estero. Il carcere è rimasto presidiato per tutta la giornata. «Ma che cercate il parroco?» ha chiesto preoccupata un’anziana signora, che già s’era affacciata durante la notte da una casa appoggiata alla chiesa attigua al carcere.